Mire di Ezzelino a Ovest (1250 - 1260).
Il 13 dicembre 1250 muore Federico II, lasciando incompiuto il progetto di
fare della penisola italiana un unico regno, sul modello siciliano,
inserito nel Sacro Romano Impero. La sua morte non mette fine alle lotte
locali, ed anzi il ritorno del papa in Italia trova sostenitori decisi a
intensificarle.
Ezzelino volge le mire verso la Lombardia, assegnata ad Enzo prima della
Fossalta, poi a Galvano Lancia come vicari imperiali, ed ora campo d'azione
del ghibellino Uberto Pallavicino signore di Cremona. Nel 1251 con milizie
veronesi, padovane, vicentine e trentine devasta il mantovano, e con Buoso
da Dovara tenta di intervenire a Lodi, divisa da discordie interne, ma è
preceduto dai Milanesi.
Lo stesso anno accoglie Corrado IV duca di Svevia e re di Germania, figlio
di Federico II, diretto a prendere possesso del Regno di Sicilia dal
fratellastro Manfredi, e che morirà nel 1254 dopo aver alimentato le
rivalità tra i feudatari meridionali. La Germania piomba nel "Grande
Interregno" con la doppia elezione a re di Riccardo di Cornovaglia e di
Alfonso re di Castiglia, appoggiato anche da Ezzelino, mentre Buoso da
Dovara e Uberto Pallavicino, per difendersi dall'ambizioso vicino, si
alleano a Manfredi.
Azzo VII, che ha perso Este nel 1249, continua la collaborazione con papa
Alessandro IV, il quale, più che preoccuparsi del triste giogo imposto alle
cittadine sottomesse è interessato al recupero delle decime ecclesiastiche,
che Ezzelino incamera, ed il 20 luglio 1254 indice la Crociata per
debellare il tiranno, promettendo gli stessi vantaggi di quelle contro i
mussulmani. Ezzelino ritiene più pericolose le minacce interne e continua
le repressioni dei sospettati, raggiungendo livelli di violenza tali che,
pur vivendo in un'epoca sanguinaria e violenta, lo faranno passare alla
storia per ferocia e sadismo disumani. Sopratutto le famiglie padovane
subiscono torture ed esecuzioni, anche per un matrimonio ritenuto
politicamente inopportuno o l'ascolto di una canzone offensiva nei
confronti del tiranno.
Nella primavera del 1255 Ezzelino è nuovamente a saccheggiare il mantovano
ma deve poi accorrere a reprimere l'insurrezione in Trentino guidata dal
vescovo Egone. Nell'assedio di Trento è nuovamente affiancato da Mainardo
III conte di Gorizia, che alla resa della città assediata, il 2 maggio
1256, vede riconosciuti i suoi diritti ereditari sul Tirolo ed ottiene
anche Trento. L'estate del 1256 Ezzelino devasta ancora il mantovano,
questa volta congiunto a Uberto Pallavicino podestà di Cremona.
Frattanto però il legato papale Filippo Fontana arcivescovo di Ravenna ha
esaurito le iniziali missioni diplomatiche ed ha radunato a Torre delle
Bebbe, presso Mestre, un discreto quanto composito esercito. Sono presenti
circa duemila Bolognesi e Romagnoli, poco validi militarmente,
fortunatamente affiancati da altrettanti efficienti Ferraresi e Rovighesi,
inviati dall'assiduo Azzo VII d'Este. Un altro migliaio di volontari è
composto da avventurieri, frati e sacerdoti provenienti dalle Marche,
l’Umbria e l’Emilia, e da fuoriusciti padovani e veronesi capeggiati da
Marco Quirini, Tisolino Camposampiero, Ludovico di Sambonifacio e dai Da
Carrara. Decisivo è l’apporto veneziano, dopo la composizione con le armi
di una disputa con Bologna per la navigazione sul Po, nel 1250. La
Repubblica fornisce vettovaglie, navi da trasporto e naturalmente armi,
tra le quali un migliaio di balestre, ottenendo il comando militare, che è
assegnato al veneziano Marco Badoer.
L’esercito avanza baldanzosamente tra stendardi di santi e inni sacri,
riporta i primi successi ottenendo la resa di alcuni castelli e cittadine
(solo a Concadalbero è duramente contrastato dal presidio saraceno) ed il
19 giugno 1256 giunge sotto le munite mura di Padova. La città è difesa da
2.000 uomini, tra i quali dei buoni mercenari tedeschi, guidati da
Andenisio de Guidotti, nipote di Ezzelino, feroce quanto lui nel mantenere
l'ordine in città ma che si dimostra del tutto inabile nel contrastare
l'attacco. I suoi principali errori sono il rifiuto di avvisare Ezzelino,
i maldestri tentativi di soccorrere i castelli attaccati e l'ordine di
deviare il Bacchiglione per bloccare le navi veneziane, privando così
Padova di una efficiente difesa naturale. Il 20 giugno i crociati, esaltati
dai primi successi, lanciano l'attacco contro il ponte di Rudena, il ponte
Contarine e la chiesa di San Michele, ma principalmente contro San Luca e
porta Torreselle. Le difese tengono, ma al ponte Altinate una testuggine
impiegata da un contingente di frati è incendiata dai difensori con olio e
zolfo, e le fiamme si propagano alla porta, che infine cede. Andenisio non
cerca neppure di chiudere la piccola falla e fugge, lasciando la città
nelle mani dell'indisciplinata soldataglia crociata che si abbandona a ben
otto giorni di saccheggi e violenze.
Il successo, seppure fortunoso, rafforza la causa dei crociati, infatti la
cittadina di Mestre si dà a Treviso, Este e Montagnana ad Azzo, ed ai
crociati si uniscono più di un migliaio di Veneziani, Chioggiotti, gli
stessi Padovani, fuoriusciti Vicentini e Veronesi ed Azzo VII d'Este, al
quale è affidato il comando. L'obiettivo successivo è la vicina Vicenza,
verso la quale l'esercito si dirige compiendo saccheggi, ma posto il campo
a Longare i crociati subiscono l'impetuoso attacco di poche centinaia di
cavalieri vicentini guidati da Antonio degli Ardenghi, costretto a
ritirarsi dopo un'ora di combattimenti lasciando alcune decine di
prigionieri. I crociati cantano vittoria ma in realtà le perdite subite
sono gravi e causano la defezione di Romagnoli e Veneziani, gran parte
dell'armata. I rimanenti, forse 3.000 uomini, preferiscono quindi rientrare
a Padova l'11 luglio e fortificarsi, diffidando dell'aiuto portato loro da
Alberico da Romano, che torna a Treviso.
La difesa della fresca conquista è preparata accuratamente, viene
ripristinato il corso del Bacchiglione e scavato un fossato presidiato da
due torri con ponte levatoio a est della città, il lato che ha subito
l'attacco crociato. Un migliaio di uomini in rinforzo arrivano con il
napoletano Gregorio di Montelongo divenuto patriarca d'Aquileia, ed il suo
vassallo Bianquino da Camino. Il 30 agosto 1256 giunge Ezzelino da Romano,
con un grosso esercito composto dalle sue truppe più fidate, mercenari
tedeschi, saraceni, bassanesi e volontari lombardi, ma l'attacco, tentato
proprio da est, è respinto tenacemente. Il tiranno non intende porre
l'assedio e constatato che gli avversari rifiutano di uscire in battaglia è
costretto a ritirarsi, riservando una feroce vendetta agli ostaggi
padovani, parte suoi ex soldati, che vengono giustiziati in massa, mentre
Andenisio viene torturato a morte.
Il nuovo successo ridona speranza alla causa papale, Azzo riottiene Monselice ed
altri castelli, i guelfi di Brescia, Mantova e Pavia ritornano al potere mentre
Piacenza caccia Uberto Pallavicino. Alberico da
Romano invece l'8 aprile 1258 si schiera apertamente con il fratello,
reprimendo a Treviso i contrari alla sua politica. I padovani in maggio
tentano un colpo di mano su porta Santiquaranta, simile a quello di Azzo a
Padova, ma anche in questo caso Alberico è avvisato ed infligge un duro
colpo agli attaccanti. La crociata si limita alle consuete scorrerie e a
piccoli, anche se sanguinosi scontri, ed il 3 luglio il papa tenta di
ravvivarla promettendo l'affrancamento dei servi che si ribellino ad
Ezzelino.
L'anno seguente i crociati sono chiamati dai Bresciani, che il 29 aprile
1258 hanno estromesso i ghibellini e sono ora minacciati da Uberto
Pallavicino e Buoso da Dovara, giunti a Volongo. A Uberto e Buoso si
unisce Ezzelino con 3.000 uomini. L'Arcivescovo Fontana vorrebbe ritirarsi
a Gambara ad attendere Azzo VII d'Este, ma Bianquino da Camino ritiene
ignominioso rifiutare il combattimento ed i crociati subiscono l'attacco
presso Torricella il 30 agosto. Un'unica violenta carica dei cavalieri
tedeschi con Ezzelino in testa sconfigge le prime file, formate dagli
inesperti bresciani, e nella rotta è travolto anche il resto dell'esercito.
Gruppi isolati tentano un'inutile resistenza ma sono sopraffatti dai più
abili e numerosi avversari. Lo stesso arcivescovo Filippo Fontana è
catturato con altri 4.000 uomini. Tra i prigionieri illustri c'è Gerardo
Cossadoca vescovo nominale di Verona, Simone da Fojano podestà di Mantova
e Cavalcano da Sala vescovo di Brescia. La vittoria causa la resa di
Brescia, il 24 settembre, e pone praticamente fine alla crociata contro
Ezzelino.
Fatalmente il possesso della città divide gli alleati ed Ezzelino, che ne
controlla metà, intriga per mettere Uberto e Buoso uno contro l'altro
finchè entrambi abbandonano Brescia che resta completamente nelle sue
mani.
Nel 1259, mentre consolida il potere nel nuovo possedimento, e si concede
solo una puntata sul castello di Friola, presso Vicenza, per punire con la
consueta ferocia la facile resa ai Padovani, gli si presenta una ricca
opportunità. Guglielmo di Soresina ed altri fuoriusciti milanesi, cacciati
dalla loro città dal partito popolare guidato da Martino della Torre,
chiedono l'aiuto del potente signore. Riuscire dove gli Imperatori hanno
fallito è un'offerta più che allettante ed Ezzelino si prepara
accuratamente, raccogliendo un esercito di Vicentini, Veronesi, Bassanesi e
Bresciani, e facendo credere di voler attaccare Cremona, di Uberto
Pallavicino. La minaccia mette in moto le forze dell'alleanza segreta
stipulata a Cremona l'11 giugno tra Uberto Pallavicino, Buoso da Dovara, e
molto opportunamente da Azzo VII d'Este, Lodovico di Sambonifacio ed i
comuni di Ferrara, Mantova e Padova, con l'appoggio di Manfredi re di
Sicilia (incoronato il 10 agosto 1258 a Palermo) e quindi disconosciuta dal
Papa Alessandro IV.
Ezzelino, sottovalutando la minaccia, dopo aver tolto
il castello di Orci (oggi Orzinuovi) a Uberto, rimanda indietro i poco
fidati fanti bresciani, risale l'Oglio lungo la riva sinistra, guadando a
Palazzuola, raggiunge l'Adda tra il 17 e il 18 settembre, lo passa tra
Farra e Cassano su un ponte di legno approntato dai fuoriusciti milanesi,
prende Vaprio e giunge così alle porte di Milano.
Martino della Torre frattanto è uscito dalla città per congiungersi a
Soncino con gli alleati, ma a Pioltello è avvisato da alcuni Bergamaschi
della pericolosa manovra di Ezzelino e torna velocemente indietro,
precedendolo a Milano. Anche gli alleati si stanno movendo, Azzo d'Este
con Ferraresi e Mantovani, Ludovico di Sambonifacio con Piacentini e
Tisolino Camposampiero con Padovani raggiungono Marcaria, mentre Uberto
Pallavicino e Buoso da Dovara con Cremonesi si portano a Soncino.
Ezzelino, con 5 o 6.000 uomini dei quali 1.500 cavalieri, trovata Milano ben
difesa si limita a guastarne il territorio, fallisce un tentativo di
prendere Monza, che gli avrebbe protetto la ritirata, e torna velocemente
indietro. Dover guadare due fiumi per tornare in territorio amico, con
nemici ad attenderlo ed altri che lo inseguono metterebbe in difficoltà
qualsiasi comandante ma ad Ezzelino bisogna riconoscere l'abilità di
saper mantenere il controllo delle proprie truppe nella disperata
situazione. Fallito un tentativo di passare l'Adda a Trezzo, Ezzelino dà
riposo alle proprie truppe a Vimercate, mentre gli avversari si limitano a
presidiare i passaggi del fiume. Martino della Torre ritiene inutile
rischiare una battaglia con un nemico in ritirata e disperato, e si tiene
a distanza, riuscendo ad intercettare un convoglio di viveri.
L'iniziativa resta quindi ad Ezzelino che il 16 settembre tenta di forzare
il ponte di Cassano (che dà il nome a questa sua ultima battaglia)
presidiato da Buoso da Dovara, ma dopo un'iniziale successo della sua
cavalleria, accolta da una pioggia di frecce, una di queste lo ferisce ad
una gamba e vedendolo arretrare i suoi sono respinti, lasciando numerosi
caduti. Nonostante l'insuccesso riesce ancora a mantenere l'ordine tra le
sue truppe ed a guadare più a monte, tra Farra e Cassano. Ma l'arrivo
sull'altra sponda dei Milanesi con Martino della Torre ed i Bresciani della
sua retroguardia che mostrano di voler tradire mentre si prepara ad
affrontare la nuova minaccia, gettano nel panico il condottiero e le
stanche e demoralizzate truppe. Ezzelino recupera subito il controllo di
sè, ma non dell'esercito. Su questa massa disordinata che cerca di
sottrarsi al combattimento, giunge Azzo VII con le sue forze fresche a
Blancanuda, ed in breve la sconfigge. Ezzelino, nuovamente ferito, alla
testa è catturato e condotto prigioniero nel castello di Soncino, dove
muore il 27 settembre per le ferite riportate.
Introduzione.
La Marca e gli Ezzelini.
Piccole Guerre (1220 - 1230).
L'Ascesa di Ezzelino III (1230 - 1240).
Mire di Ezzelino a Est (1240 - 1250).
Mire di Ezzelino a Ovest (1250 - 1260).
Dopo Ezzelino.
Gli Eserciti e le Armi.