FOTTUTO MALEDETTISSIMO SPORCO NATALE (25/
DICEMBRE/1998)
Chi vincerà?
Questo rimaneva del sogno di Daniele.
Daniele doveva svegliarsi alle nove del ventiquattro Dicembre
millenovecentonovantotto. La penultima vigilia di questo millennio, un
muro invalicabile da dover oltrepassare ad ogni costo, anche senza di
lei.
Alle sette fissava le cassette ed i Cds, prima d'accendere lo stereo
abbassò il volume, poi lo accese. Dentro qualcosa di romantico. Una
musica collosa, sfocata e terribilmente vera.
Dopo aver gonfiato i muscoli, esplicati i quotidiani impedimenti nel
piccolo cesso di latta, si rollò una canna. La sveglia suonava adesso
le nove in punto, cinque minuti avanti rispetto al mondo.
Paapaaapaaapaaapaaapaaa!!!
Su di un foglio di carta aveva appuntato ciò che avrebbe dovuto fare
quella lieta mattina.
Dopo aver fumato in garage, guardando la macchina nuova e quella
vecchia, sfrecciò con il suo scooter verso la strada di sopra.
Freddo. Cappello & Sciarpa.
In banca non avevano più liquidi disponibili, ma lui doveva solo
versare. Era il quarto della fila quando l'impiegato si assentò per
prendere la moneta; Daniele guardava l'imbarazzarsi di un altro
operatore bancario, sui venticinque, più piccolo di lui, sicuramente.
Entrambi, quella mattina, avevano perso la loro battaglia.
Come in tutte le file, si creò un'aria di complotto verso l'Istituto di
credito in questione, poca chiarezza e voglia di birra con schiuma.
Daniele predisponeva piani di rapina a mano armata, con tanti morti
qualunque. Tantissimi piccoli morti. Insomma, cose reali.
Versati i suoi soldi andò poi alla Posta centrale.
Anche qui fila, anzi coda, anzi un piccolo microcosmo di sentimenti ed
alterazioni prenatalizie.
Inalterabile escandescenza.
Un avviso per recarsi ad un concorso pubblico, il 29 Dicembre, a Como.
Epico.
A salutare i colleghi di lavoro vero imbarazzo. Autentico imbarazzo
adolescenziale di prima fase. Un discreto spumante, dolce come piaceva a
Daniele. Poi Pablo incontrato per caso, anche lui vigiliante. Con
l'arrivo del Kata una birra per affrontare l'attesa di un giorno
parentale.
A casa, trovando lo zio forestiero e la nonna magistralmente vestita, si
era presentato cantando una canzone di Patti Pravo. Stava sopravvenendo
una certa instabilità e motiva con un massimo minimo comune
denominatore: l'attesa.
Tutti attendevano qualche evento.
Il cielo attendeva qualche altro cielo.
Daniele, in pigiama e dentro il letto, ascoltava musica, sdraiato con le
coperte sulle ginocchia; stava svolgendo il suo compito. Girandosi fra
queste coperte, sognava di frasi pietrificate, absidi corporali e soli
tramortiti da enormi salate fucilate.
Voleva uscire da quel letto, parlare un po’ con qualcuno. Aveva anche
avuto voglia di morire.
In casa troppa gente sconosciuta, chi se ne fregava di lui?
Sbobinando una vecchia cassetta inutilizzabile, aveva pensato a cosa gli
mancava quel Natale; i rustici fritti erano quasi pronti, la nonna già
seduta. Collana di perle e orecchini…di perle.
Dopo i caldi discorsi sui trent'anni fa, la guerra e i c'era una volta,
scostando la bambola di ceramica dal divanetto in stile liberty della
sala da pranzo ereditata dall'altra nonna, quella morta, si era essopito
su di un sonno regale, una lacrima nascondeva il sogno sotto la palpebra
vigile.
Si sentiva un personaggio di qualcosa, mai di troppe però. Arie
d'operette sconosciute gli giungevano alle orecchie saltate, la voce
della nonna ancora non morta.
Il freddo della Steppa.
Allo scoccare della mezzanotte aveva sentito sua madre cantare qualcosa
al Cristo appena nato. Vendetta, era tutto ciò che in quell'istante
Daniele voleva.
Poi una passeggiata con gli amici, il guardarsi attorno cambiato,
propositi di sbarbarsi il giorno prossimo.
Roberta e Stefania erano in Cattedrale, la sua vicina di casa usciva
accompagnata dal fratello minore. Daniele ed il Kata si passavano il
lattone di birra senza muoversi. Quando qualcuno si fermava a parlare
con Daniele, subito era questi accalappiato da qualche conoscente,
lasciandolo in mezzo a tanta gente, solo come prima.
Lui soffriva, nervoso e stracolmo di lattice.
Stefania gli scoccava le guance, lui faceva il buffone con sua sorella,
ma non gliene importava poi molto di quello che stava facendo quella
sera. Alle quattro del mattino, accompagnato al portone di casa, si
accese una canna, lesse delle storie, scrisse delle storie e si
addormentò.
Sognò di dormire bene, assaporare il tanto ricercato riposo. La notte
lo aiutò ben poco, le ore sparse facevano la loro terribile
riapparizione.
Daniele sciava sulle note ronzanti dal piccolo posto ai piedi del letto.
Odore di frittura e colore tendente al giallo, appartamento
relativamente grande. All'improvviso Daniele sentì un rumore, dei passi
al piano di sopra.
Fuori era Natale.
Daniele ancora dorme mentre fuori è già questo fottuto,
maledettissimo, sporco Natale!!!
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