libero SESSO


Le spigolature di
Roby San

Home Page

Seriamente, perché

Racconti miei vecchi

Racconti miei nuovi

Racconti miei brevi

Racconti miei di altri

Il Libro degli Haiku

I miei Link

Archivio



 

 

 

 

 




Maria Isabella Viola,
Arlecchino disaggregato,
acrilico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le spigolature di Roby San (robysan@aerre.it)
Da Roby San, segnalazioni di "piccole scoperte librarie" in giro per le bancarelle
 Non ho mai letto nulla di Curcio. Sono però curiosissimo ti tutto ciò che ha, o ha avuto, a che fare con gli sviluppi della vita di chi fu brigatista o che, semplicemente, appartenne alla sinistra extraparlamentare negli anni settanta. Per questa ragione il libretto di Curcio, dalla bancarella, mi è saltato in tasca da solo. La "soglia" del titolo è, in istanza, quella del portone del carcere che Curcio oltrepassò per entrare nella semilibertà (o libertà vigilata) nel 1993. Nelle meditazioni sugli stati d'animo, e nel ricordo degli stessi, la "soglia" da oltrepassare diventa l'archetipo di ogni importante cambiamento. Lo stile narrativo di Curcio indulge un po' troppo, a mio avviso, al descrittivismo dei luoghi e delle situazioni (la cella, le piante nel giardinetto, la lavanderia, la partita a calcio, l'organizzazione delle minime cose della propria giornata) ma credo che questo sia inevitabile per chi scrive "dall'interno del carcere". Per ottenere esiti più alti occorre forse essere Carlo Levi ("E' questo il carcer tetro?") e occorre soprattutto non avere, nel profondo del proprio animo, quel mesto senso di sconfitta che traspare da ogni rigo dello scritto di Curcio. Egli non spende parola per accennare alla opportunità di ciò che fu pensato, detto e fatto nell'ambito della lotta armata nei '70/'80. Non la spende né per apologia né per condanna. Curcio sembra ritenere vacuo il farlo e che, appunto in seguito ad una sconfitta, egli pare ritenere la sua opinione non significativa per la "comprensione". Eppure, io ne sono convinto, un sacco di gente ha bisogno - magari senza esserne del tutto consapevole - di "comprendere" come e perché avvenne ciò che avvenne. Sembra che Curcio "tema" di esporsi e di ricevere, in conseguenza, aggressioni verbali. Oppure che la sua opinione venga utilizzata in modi ideologici e parziali. Per questo ogni cosa di cui parla, e quale che sia l'argomento che affronta, è preso con il massimo "sotto tono", quasi con mestizia. Pare dirci: "se la vostra opinione consolidata è che io sia uno sconfitto dalla Storia e un fallito, ebbene tenetevela. Non cercherò di farvi cambiare idea. Nulla di ciò che posso dire può raggiungere il vostro animo". E pare dirci anche che, se qualcosa gli pesa, non può chiarire a noi come e quanto.
 
Far from the triumphing court
lady if you so spite me
in darkness let me dwell
John Dowland  
In nessun caso Ceronetti mi lascia indifferente. Sono arrivato a odiarlo ed a scrivere lettere di insulti, mai speditegli. Perché, nonostante i "potenti mezzi" che ha a propria disposizione, alle volte cade in semplificazioni fuori luogo e in sviolinate all'esoterico decisamente sproporzionate. La cosa gli accade più frequentemente negli articoli giornalistici che non nei libri. Questo "Viaggia viaggia, Rimbaud!" è una sceneggiatura per uno spettacolo delle marionette "ideofore" del "Teatro dei Sensibili". L'ideofora è una cosa più semplice e più complessa, ad un tempo, di una convenzionale marionetta. Un solo filo la regge per il capo e non è possibile, a meno di possedere una smisurata abilità nel maneggiarla, farle assumere gli atteggiamenti della marionetta classica. Questa peculiarità pervade di sé il teatro che Ceronetti mette in atto. Non si cerca il virtuosismo: l'attitudine più densa dell'ideofora è quella della marionetta rilasciata. Pare che a distinguere la marionetta viva da quella morta sia solamente la tensione dell'unico filo.  "Dare gioia è un mestiere duro" è il motto dei Sensibili, ma estrarre e gustare il distillato di gioia che può essere ricavato da questa serie di brevi episodi teatrali (non sono sicuro che "teatrali" sia il termine giusto, ma me lo si conceda lo stesso!) è quasi altrettanto duro. Alle volte il sorriso arriva fuori tempo perché hai dovuto abbattere un muro per lasciare che la leggera corrente raggiungesse il tuo intimo più profondo. Ceronetti lamenta, tra le tante cose di cui si lamenta in continuazione, che il mondo "moderno" ottunde la sensibilità dell'animo umano, anzi che dis-anima l'uomo. Non sono completamente d'accordo, né completamente in disaccordo. Non sono ancora riuscito a decidere se amo o se odio Ceronetti. Intanto mi accingo a rileggerlo, a continuare a leggere i suoi articoli e a scrivere lettere d'insulti. Che non spedirò. Torna a inizio pagina 
 O il sommo piacere e la gran goduria di leggersi il Nori in questo breve e pirotecnico resoconto di una giornata d'un giovane scrittore. Scrittore per ipotizzata vocazione. Learco Ferrari ("nome desueto e cognome consueto") crede infatti di essere chiamato alla scrittura, ma una fortuita visita lo convince della sua vera natura: quella di diavolo. Il nostro, colto così, un po' alla sprovvista, va in cerca delle informazioni necessarie a dar pieno sviluppo alle sue intime e testé svelate attitudini su dizionari ed enciclopedie, in un accesso di nominalismo. L'accesso di nominalismo è sbertucciato, una riga dopo l'altra, dallo stile del Nori il quale finge di prendere sul serio le parole per spiegare le cose (che, peraltro, non sono cose!). In alcuni momenti raggiunge un livello da maestro di umorismo (l'etimologia di "esorcista", le poesie da inventare per compiacere una donna, le sarcastiche e "finto-ingenue" valutazioni degli scrittori contemporanei famosi, l'uso a cascata di termini e nomi commerciali deprivati del loro "copyright" per mezzo dell'abolizione dell'iniziale maiuscola o della storpiatura, la descrizione di telefonate reali o ipotetiche, l'incontro finale con i diavoli ecc.). Non vorrei sembrare irriverente ma vi intravedo un omaggio, non so quanto consapevole, allo stile di Frederic Dard, l'autore delle notissime e criticatissime "Avventure del Commissario Sanantonio". Parlare di dissacrazione, nello stile di Nori, è fuori luogo. Così come lo sarebbe parlare di acredine nei confronti degli scrittori, contemporanei e famosi, che cita (più volte, e val la pena di andare a vedere come!): il suo gioco è troppo ben condotto, senza un istante di cedimento, per essere nutrito da così bassi alimenti. Se ti riesce, leggilo con un lieve accento emiliano in testa: io ci ho provato e mi sono divertito moltissimo. Da far crepare d'invidia Bergonzoni. Dimenticavo: il Nori è riuscito persino a concentrare una "morale della storia" in un fulminante finale (l'incontro con i diavoli) che pare non lasciare adito alla speranza che l'occasione più importante della nostra vita possa ripetersi.Torna a inizio pagina 

 

Yambo - L'allevatore di dinosauri - Edizioni Stampa alternativa - Fiabesca 30 
E' chiaro che questo libretto, il suo stile e la scelta dell'argomento, sono ampiamente fuori moda. Niente di meglio per me che con il fuori moda ci vado a nozze. Yambo è pseudonimo di Enrico Novelli (1874-1943) toscano, giornalista, marionettista e scrittore per ragazzi (cioè scrittore, punto e basta). Questo racconto, con il titolo "L'uovo di pterodactilo" venne pubblicato nel '26, a puntate, su "Il giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare"  di Sonzogno. Lo stile è leggero e ironico, la lingua bella (forse un po' troppo toscaneggiante, ma non è un gran difetto) e la storia potrebbe essere usata, oggi, per farci una sceneggiatura cinematografica ottenendo un film di avventura sommamente brillante. Poiché nelle mire dell'ironia c'era pure un certo Cavalier Mussolini (il quale entra di persona nel racconto), allora il racconto non ebbe molto seguito e fu ripubblicato solo nel '47.  Un tranquillo sindaco di un tranquillo paese toscano, con la passione della biologia, riceve la visita inaspettata di un vecchio amico viaggiatore (una specie di Indiana Jones, ma meno timido) di ritorno dall'Africa. L'amico porta, come dono, un uovo di dinosauro trovato in una grotta in cui... La serie di eventi che si scatena dopo la decisione, del sindaco, di incubare l'uovo è davvero pirotecnica. E potrebbe servire da banco di prova per molti sceneggiatori.
Torna a inizio pagina 

Miguel De Unamuno - Come si fa un romanzo -Ibis -L'Ippogrifo-ISBN 88-7164-039-X 
Non è che dopo avere letto questo breve saggio del De Unamuno, uno possa mettersi alla scrivania e produrre il capolavoro della propria vita. Anzi, se hai un po' di timori circa la forza e la consistenza delle tue motivazioni, potresti decidere che non scriverai mai più una riga. Perché è proprio questo che il De Unamuno sottolinea con la matitona rossa: o hai una vita da mettere nel tuo romanzo o non c'è arte letteraria che tenga. E non c'è motivo di scrivere un romanzo. Non è necessario che tu abbia da metterci la vita di Napoleone o quella di Giulio Cesare. La vita dello spazzino che tutte le mattine vedi all'angolo della strada va benissimo. Deve essere che senza quella vita e senza il suo romanzo, il mondo ha qualcosa di meno. Allora c'è il motivo di mettere quella vita in un romanzo. Sfortunatamente, aggiungo io, non c'è alcun modo di sapere se val la pena di scrivere un romanzo, prima di averlo scritto. Perciò bisognerà scriverlo, facendo sì che quello sia il romanzo in cui c'è la ragione della vita di chi scrive. E dopo bisognerà accettarne le conseguenze, e la valutazione, sulla base di quanta vita c'è (di quanto di autentico c'è) in quel romanzo. Qualcuno ha detto che per fare un film bisogna avere una storia da raccontare. Per fare un romanzo è più o meno lo stesso. Se non si ha una vita a disposizione, bisognerà cercarla da qualche parte. Con tutte le forze. Se no, il romanzo non viene. 
Torna a inizio pagina     

Franco Ruffini - Analisi armoniche - Einaudi La ricerca letteraria, serie italiana 
Si sarebbe tentati di parlare di sperimentalismo ma farlo sarebbe perlomeno limitativo. Ruffini tenta una strutturazione tipografica del racconto. Il problema è che non vi è racconto nel senso convenzionale del termine. Non chiamerei racconto, appunto, l'elencazione dei gesti che un tizio fa, seduto e addormentato al sole pomeridiano. Ma l'esperimento ha un suo fascino. Le note in postfazione, a firma di Gian Carlo Roscioni, ci avvertono che "Il tecnicismo con cui in queste pagine sono sottolineati, anche graficamente, i diversi livelli e procedimenti della scrittura non deve trarre in inganno: l'operazione sottesa è fondamentalmente essoterica e mira a persuadere il lettore e laico che il discorso, soprattutto il discorso letterario, è necessariamente ipotetico" e che "... gli anelli che formano la catena del discorso sono legati da vincoli congetturali e provvisori: tra un membro di periodo e l'altro, anzi tra una parola e l'altra, si possono inserire apposizioni, incisi, divagazioni e sviluppi illimitati". E così infatti il Ruffini fà. Chiunque avesse, per qualche anno, passato parte del proprio tempo a scrivere programmi in linguaggio PASCAL, o in Modula 2, non farebbe la minima fatica ad andare dietro alle "apposizioni e divagazioni" di Ruffini. Il testo è proprio scritto con lo stesso stile con il quale, nei primi anni '80, prese piede la cosiddetta "programmazione strutturata". C'è naturalmente una differenza radicale che và ben al di là dell'aspetto di strutturazione tipografica che l'insieme ha. Chi scrive un programma per computer lo fà, generalmente, volgendosi a un obiettivo esterno rispetto alla macchina che gestisce le procedure (il computer) e usa la macchina e un linguaggio strutturato allo scopo di costruire enunciazioni che non effettuano, nel modo più assoluto, analisi introspettiva. Una "routine" non scava nella materia che la costituisce. Le analisi armoniche di Ruffini, all'opposto, fanno proprio questo. Il trucco tipografico di scrivere chiose o apposizioni a un membro di periodo principale per mezzo del rientro di un paragrafo, permette al lettore di leggere su tutti i livelli possibili e di decidere fino a quale livello di "scavo" ci si vuole spingere. Se si legge come se tutto fosse scritto sullo stesso livello si rimane storditi. Se si legge seguendo il "profiling", cioè tutti i capoversi che appartengono allo stessso livello, si banalizza l'argomento del narrare. Si scopre che non si stà, appunto, narrando nulla di più che una serie di eventi naturali (il raggio di sole che scalda la mano la quale, non sorretta, è ricaduta di fianco. La barba non rasata che rompe alcuni esilissimi fili del colletto consunto della camicia, ecc.) ai quali non si presta, ordinariamente, la benché minima attenzione. Perché non  significano nulla di più che il fatto che il tempo trascorre e gli eventi possibili, prima o poi, accadono, e che quelli che possiamo osservare sono solo i più probabili. Non fanno parte di alcun disegno legato ai nostri desideri. Ciò che giustifica il "rientro" è proprio la volontà di scavare nella  materia del narrare. Perché? Perché si vuol sapere se sotto l'evidenza c'è qualcosa di più di quel che appare a una osservazione superficiale. Si vuol sapere se il meccanismo narrativo può trovare una totale giustificazione in sé. Si vuol scoprire se le idee narrative nascono dalla materia stessa dello scrivere. E' uno sforzo titanico. Che è destinato a non darci risposte. Scavare nella materia dello scrivere, con questi intenti e in modo così autoreferenziale, non può sortire altro effetto che quello di distruggere la narrazione stessa. E' come se un chirurgo cominciasse ad aprirsi la pancia con le sue proprie mani e dati alcuni tagli netti ai principali organi viscerali, li allineasse sul tavolo e proseguisse a sezionarli allo scopo di preparare vetrini per microscopio e saggi per il laboratorio di analisi. Dopo aver fatto questo, non dovrebbe stupirsi troppo di morire. Non credo Ruffini così sprovveduto da non sapere questo molto bene. Nonostante ciò, la curiosità di indagare nella materia che si ha di fronte - usandola e torcendola contro sé stessa con l'impiego di mezzi che non le sono peculiari - è irresistibile. E, probabilmente, sarebbe vile resistere. Nessuno oggi scriverebbe utilizzando questi mezzi ma nessuno scrittore, o aspirante tale, dovrebbe sottrarsi a interrogativi ed esperimenti del genere.  
Torna a inizio pagina        

Giacomo Guilizzoni - Accadde a Roraro -  MobyDick - I libri dello Zelig - 41 
C'era una volta il '68 e c'era tutto ciò che lo ha generato. Guilizzoni è un insegnante che nel '68 era poco più che quarantenne. Stava dunque dalla parte del vecchio. Sarebbe facile tacciare di intenti velatamente reazionari la sua ironia e il suo umorismo. Ma sarebbe sbagliato. Guilizzoni stigmatizza perfettamente lo spirito che, in quegli anni, andava per la maggiore. Il fatto di definire "rivoluzione blablale" e "scuotimento dei discenti" il movimento studentesco, la dice lunga su che cosa lui pensa sia rimasto degli "ideali" sessantottini. E purtroppo ha ragione lui. Il libro è scritto con mano lievissima e con vero umorismo e potrebbe forse fare incavolare un Mario Capanna, ma non è il caso di prendersela per questo. Anche alcuni ciellini di vecchia data potrebbero sentirsi sfottuti: era certo ciò che Guilizzoni voleva. I fatti, che a Roraro e dintorni si svolgono, sono conditi da premesse chiare e da una solida caratterizzazione dei personaggi. La narrazione è brillante e a tratti addirittura esplosiva. Il libro ha vinto un premio Navile per la letteratura satirica. Guilizzoni minimizza dicendo che lo ha scritto per divertire i figli ed esorcizzare alcuni rospi che dovette ingoiare a suo tempo (e non dubito che li ingoiò: io stesso ricordo certi atteggiamenti nei confronti di taluni insegnanti, in quegli anni. E il ricordo mi da fastidio, trenta anni dopo). Non cercherò di esemplificare lo stile del racconto, bisogna leggerselo. E' scritto benissimo ed è autenticamente piacevole. Non male davvero, per un professore di chimica. C'è pure una prefazione di Patrizio Roversi nella quale si dice che il racconto non ha contorni precisi: è evidente che anche Patrizio voleva fare dell'ironia.
Torna a inizio pagina      

Valerie Solanas - Manifesto per l'eliminazione dei maschi - ES Ars Amandi - 9
Fare analisi è fuori delle mie capacità. Il libretto vale la spesa dei pochi Euro e il paio d'ore di lettura, non foss'altro che per avere un'idea di quali fossero le posizioni, diciamo così, del femminismo più radicale in USA sul finir degli anno'60. Valerie Solanas è un tipo che, nel '68, sparò ad Andy Warhol. Fu attrice in un film dello stesso Warhol (prima di sparargli, è ovvio). Mi son divertito a leggere questo "Manifesto", pieno di ingenuità senza fondo miscelate a una rabbia solo in parte autentica, e a farlo leggere a un certo numero di donne (senza dir loro che stavo facendo un esperimento): moglie, amiche, amiche della moglie, amiche degli amici ecc. Beh, credici o meno, alla fine il meno colpito, dalle uscite della Solanas, ero proprio io. Perché proprio non mi è riuscito di prenderla sul serio. Comunque, se ti capita, leggilo. Potresti rivalutare te stesso (e magari pure tuo padre!) alla luce delle considerazioni "solanesiane".  Torna a inizio pagina 

Aldo Palazzeschi - Due imperi mancati - Linea d'ombra - Aperture ISBN 88-09-15003-1
Questo qui è un "pamphlet" cioè, in italiano, un libello. E' un libello assai bello. Per l'argomento, la grande guerra, la lingua, un bell'italiano toscaneggiante e la veemenza anti-bellica e anti-imperialistica espressa con modi e toni da grande libertario e da grande umanista. Se ti mancano le parole per parlare contro la guerra ebbene, prendile di qui. Lo stesso prendi di qui le parole, o almeno il modo, per parlare di sdegno per la violenza, di attiva opposizione alla violenza stessa e di fratellanza (sì,lo so, ho scritto una parola fuori moda. L'ennesima). Da evitare se sei un fanatico dannunziano. Sì, ho scritto proprio "fanatico".  
Torna a inizio pagina 

Yukio Mishima - Lezioni spirituali per giovani samurai - SE - Saggi e documenti... ISBN 88-7710-116-4
Bisogna leggere quest'uomo con un certo distacco. Talvolta l'impulso è di catalogarlo tra gli irrimediabili fanatici e nostalgici del bel tempo in cui Berta filava, i treni arrivavano in orario e gli anziani erano più rispettati. In realtà Mishima è ossessionato da sé stesso: in questo mondo in cui si può sopravvivere senza assumersi tremende responsabilità lui è, appunto, uno di quelli che tremende responsabilità non ne ha. Ma una vita deresponsabilizzata non è una vita adulta. La vita non può essere, ci dice esplicitamente Mishima, al pari dell'arte. L'arte consente la mancanza di responsabilità, anzi ne fiorisce. La vita no. Allora la vita di un artista assume l'aspetto di una lacerante dicotomia tra la necessità di essere liberamente "irresponsabili" per poter essere artisti ed essere gravemente responsabili per poter essere "uomini". I tempi, osserva Mishima, spingono in direzione di una crescente e generalizzata deresponsabilizzazione. Se vi sono agitazioni è solo per una recita di fronte a sé stessi (vedi tutte le citazioni del movimento studentesco di Tokyo). Insomma: Mishima si è suicidato. La sua visione del mondo non lascia spazio a sogni. Solo un impegno smodato e, al limite, doloroso può condurre allo scopo di essere padroni di sé e responsabili verso il proprio mondo. Non c'è riconciliazione tra l'arte e la vita. L'artista - irresponsabile verso il suo prossimo - dovrebbe anche prestare una specie di servizio militare permanente così da rendersi conto delle difficoltà del reale e impegnarvisi. Potrebbe colpire molto - affascinare, addirittura - coloro che, molto giovani, fossero un poco sprovveduti. Che fortuna, per me, aver conosciuto Kurosawa. Prima di Mishima.  
Torna a inizio pagina 

L'arte di petare ovvero: Il manuale del subdolo artigliere - ES - Ars amandi - 6
E' singolare che questo indispensabile manualetto - tanto utile per affinare l'arte liberatoria del peto (o loffa, che dir si voglia) - sia catalogato nella serie Ars Amandi da quei giocherelloni della ES. Davvero, sarò limitato a crederlo, ma nella flatulenza non vi è ombra di valenza erotica. Ma a scopo blandamente provocatorio e per sottolineare una mia solidarietà e simpatia nei confronti di Daniele Luttazzi, te lo segnalo. Che c'entra Luttazzi? Niente. Non direttamente per lo meno. Il manuale è più che altro classificativo e nomenclatorio (o classificatorio e nomenclativo, boh) ed è utile, più che altro, come Manuale di Armonia. L'idea di base è che, essendo l'attività in oggetto del tutto connaturata con l'essere umano, non si debbano insegnare tecniche nel dettaglio ma, piuttosto, elencare e descrivere modi e illustrare l'opportunità di usarne uno o un altro a seconda delle occasioni. L'esperienza e il talento, ammaestrati nella capacità di riconoscere gli elementi della forma, faranno il resto. Niente insegnamenti dottrinari, dunque, ma una piana e ben esposta fenomenologia. Della scoreggia, naturalmente.  
Torna a inizio pagina 

Un saluto
Roby San

Home Page

Osservazioni & Commenti