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Scrittori
creativi: scapoli contro ammogliati La statistica, sempre la statistica. E’ notizia ormai di qualche settimana (cioè stravecchia) che un, docente di psicologia dell’Università di Canterbury, in Nuova Zelanda, il professor Kanazawa, ha messo sotto osservazione le biografie di famosi scienziati, musicisti, pittori, scrittori e criminali ed è arrivato alla conclusione che dopo il matrimonio, almeno per gli uomini, c’è poco da fare: la creatività diminuisce fino a scomparire quasi del tutto. Peggio ancora va se ci sono dei figli: l’artista maschio, scienziato pittore musicista o criminale che sia, è ridotto al ruolo di casalingo pantofolaio, soffocato, si immagina, nell’abbraccio letale di una moglie che invece continua ad essere creativa, e anzi, forse, da quel momento lo è sempre di più. Come è noto, a muovere questa ricerca è l’affermazione di Albert Einstein secondo cui se uno scienziato non ha dato il suo contributo alla scienza prima dei trent’anni, non lo farà mai più. Causa del crollo della creatività dei maschi, secondo il professor Kanazawa, è il calo del testosterone, il mitico ormone maschile, che dopo il matrimonio perde fatalmente colpi. Tutto questo potete leggerlo nell'articolo di Laura Laurenzi su La Repubblica on line o di Claudio Lanzieri su Panorama. Ora, il professore avrà anche ragione, ma a me è
venuta subito voglia di ficcanasare nella biografia di qualche
scrittore preso più o meno a caso. E intanto devo dire che a quanto
ne so Mario Puzo ha scritto il Padrino perché non sapeva dove trovare
i soldi per accontentare la moglie e quindi da qui si vede subito che
una moglie al fianco, almeno per gli scrittori,
può avere molteplici (impensati) effetti e arrivare anche a
più che compensare il supposto calo del testosterone. E
infatti Hemingway ha avuto quattro mogli, e a ognuna ha legato almeno
un’opera importante, da Fiesta, dedicato alla prima moglie Elizabeth
Hadley Richardson, fino al Vecchio e il Mare, che ha pubblicato nel
1952, all’età di cinquantatre anni, sposato alla sua ultima moglie,
Mary Welsch. Non c’entra, ma lo dico: certo che per essere uno che
amava pescare e andare a caccia, oltre che scrivere, ha avuto una vita
piuttosto avventurosa. Ma procediamo in modo più ordinato. Vediamo un
po’: Tolstoj, tanto per dirne uno, si sposa all’età di trentadue
anni con una ragazza di diciassette (che tra parentesi gli darà la
bellezza di tredici figli) e tutti i suoi capolavori stanno sulla
sponda matrimoniale: Guerra e Pace, terminato sette anni dopo il
matrimonio, Anna Karenina, sedici anni dopo, Resurrezione, ben
ventisette anni dopo. Il poco più anziano Dostoevskij pubblica
Delitto e Castigo due anni dopo il primo matrimonio, ma tutti i
capolavori successivi sono legati alla seconda moglie, la studentessa
Anna Grigorevna che in un mese aveva steso sotto dettatura il
manoscritto del Giocatore e che poi gli starà vicino nelle varie
peripezie fino alla morte. Meglio di loro – dal punto di vista matrimoniale
– ha fatto il nostro Manzoni: sposa nel 1808 Enrichetta Blondel e
solo tra il 1825 e il 1827, cioè con il testosterone a livelli di
guardia, pubblica i Promessi Sposi. E Musil non è da meno: sposa nel 1911 la vedova
Martha Marcovaldi e solo
vent’anni dopo dà alla luce il primo tomo dell’Uomo Senza Qualità.
Di Musil si sa che invidiava il successo di Thomas Mann, al quale,
esule negli Stati Uniti, bastavano poche lezioni all’Università di
Princeton per mantenersi (lui invece aveva i suoi bei problemi a
sbarcare il lunario e la moglie, appunto, si lamentava che il suo
geniale marito se ne stesse “in utopia” e vivesse in pratica di
elemosina). Su Thomas Mann bisogna riconoscere che ha scritto il suo
più grande romanzo, I Buddenbrok, prima del matrimonio (si sposò nel
1905 ed ebbe sei figli, erano altri tempi) ma insomma non è che la
Morte a Venezia e la Montagna Incantata (ispirata da una visita nel
sanatorio svizzero dov’era ricoverata proprio la moglie Katja) siano
cosette. Forse, almeno per gli scrittori, il rapporto
moglie-creatività è più complesso, e andrebbe magari indagato in più
direzioni, oltre a quella ormonale. Per esempio Scott Fitzgerald
riesce a sposare la bella Zelda Sayre solo quando riesce a far
pubblicare Di Qua Dal Paradiso – al primo tentativo gli era stato
rifiutato il romanzo e il matrimonio. E con la moglie inizia una vita
“spericolata” tra Europa e Stati Uniti e intanto pubblica il
Grande Gatsby e Tenera è la Notte. Stefano D’Arrigo non ebbe di certo una vita
spericolata, ma è documentato che la moglie Jutta Bruto era la prima
lettrice – e critica molto temuta – delle pagine dell’immenso
libro che andava filando (lo pubblicherà nel 1975, ventisette anni
dopo il matrimonio, con il titolo di Horcynus Orca). E Calvino? Il
matrimonio per lui è stato un vero spartiacque: di là il Calvino
favolistico di baroni rampanti e visconti dimezzati, di qua quello
metafisico delle Città Invisibili. Quale il migliore? Insomma, gli scrittori sono una categoria complicata e non mi sembra così assodato che il matrimonio faccia loro male. Piuttosto capisco che siano preoccupati in Cina, dove la nuova generazione dovrà fare i conti con una certa scarsità di femmine (e questa è davvero una brutta notizia: i genitori non vogliono figlie femmine e fanno di tutto per eliminarle, prima o dopo la nascita): mancando i matrimoni, si teme, aumenterà la criminalità. In perfetto accordo con la teoria del professor Kanazawa (sposato e quarantenne). (26-11-2003) |
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