Complessa figura di frate, mistico, alchimista, astrologo, esperto
di greco, ebraico ed arabo, costruttore di specchi ustori, e forse
scopritore della polvere da sparo, secondo una tradizione non confermata,
Ruggero Bacone è senz'altro la personalità di maggiore
spicco tra i discepoli di Roberto Grossatesta, da cui trasse origine
la grande scuola filosofica di Oxford. Grossatesta, vescovo di Lincoln
vissuto tra il 1175 e il 1253, fu, come è noto, l'esponente
principale di quel filone della filosofia platonico - agostiniana
che va sotto il nome di "metafisica della Luce", un modello
sorto dalla volontà di coniugare la teologia cristiana con
la concezione neoplatonica della causalità intesa come "irradiazione"
di Dio nel mondo. Sotto la guida di Grossatesta la scuola di Oxford
si caratterizzò per una particolare attenzione ai problemi
scientifici, in particolare l'ottica e l'astronomia, pur senza cancellare
i tratti tipici della religiosità francescana, come l'attesa
millenaristica per una imminente renovatio dell'intera cristianità
che avrebbe dovuto inaugurare l'epoca dello spirito profetizzata dall'abate
calabrese Gioacchino da Fiore. Da questo punto di vista, le apparenti
contraddizioni presenti nell'opera di Bacone, si possono almeno in
parte spiegare a partire dal suo primo ambiente di formazione. Nato
ad Ilchester, nella contea inglese di Somerset, presumibilmente intorno
al 1214/1220 e morto a Oxford nel 1294, Bacone fu appunto allievo
di Roberto Grossatesta e Adamo di Marsh. Negli anni Trenta andò
a completare la sua formazione presso la Facoltà delle Arti
di Parigi, di cui assorbì lo spirito pionieristico maturando
una personalità libera e spregiudicata. Dopo aver conseguito
il titolo di Maestro delle Arti nel 1241, si distinse per esser stato
uno dei primi a commentare estesamente i testi scientifici di Aristotele,
da poco tradotti in latino dall'arabo. Tornato a Oxford, nel 1257
entrò nell'ordine francescano, ma il suo interesse per l'alchimia
e l'astrologia cominciò a destare sospetti da parte dei suoi
superiori. Durante il pontificato di Clemente IV, dal 1265 al 1268,
poté godere di una condizione di relativa tranquillità,
grazie alla protezione offertagli dal papa, suo amico ed estimatore.
I suoi tre scritti più famosi, l'Opus maius, l'Opus minus,
e l'Opus tertium, concepiti come abbozzi di una enciclopedia che non
sarà mai realizzata, risalgono tutti a questo periodo. Venuta
meno la protezione di Clemente IV, negli anni '70 si moltiplicarono
le accuse di eresia da parte dei confratelli, in quanto Bacone restava
uno strenuo difensore dell'astrologia. Approfittando della condanna
del 1277 emanata dal vescovo di Parigi Etienne Tempier contro i maestri
della locale Facoltà della Arti, nel 1278 fu avviato un procedimento
giudiziario nei suoi confronti che si concluse con la detenzione,
durata fino al 1292. Ormai in età avanzata e gravemente malato,
Bacone dedicò gli ultimi anni della sua vita alla stesura del
Compendium studii theologiae, che può essere considerato il
suo testamento spirituale.
La trilogia baconiana
che comprende l'Opus maius, l'Opus minus e l'Opus tertium fu redatta
tra il 1265 e il 1268, e venne inviata al papa Clemente IV unitamente
ad una lunga epistola in cui l'autore delinea le linee guida del grandioso
progetto enciclopedico destinato a rimanere incompiuto. Bacone muove
da due esigenze tra loro strettamente correlate. In primo luogo, la
necessità di realizzare una profonda riforma del sapere che
superi la frammentazione e il particolarismo in cui tendono a cadere
le singole discipline, e confluisca in una visione unitaria saldamente
ancorata alla Rivelazione. In secondo luogo, l'idea che tutti i contenuti
del sapere sono incorporati, in maniera esplicita o implicita, nelle
Sacre Scritture. Come il pugno chiuso raccoglie tutto ciò che
la mano aperta dispiega, afferma Bacone, allo stesso modo la sapienza
necessaria al genere umano è contenuta interamente nella Bibbia.
Ne consegue che al vertice della gerarchia delle discipline bisogna
collocare la teologia, raggio dell'infinita Luce di Sapienza che promana
da Dio. Partendo dal presupposto che la Bibbia contiene in sé
la somma di ogni verità, Bacone sostiene che è compito
del teologo approfondire il significato letterale del testo sacro
senza sovrapporvi le proprie compiaciute "divagazioni",
che nel caso di alcuni esegeti finiscono per degenerare in una vana
moda letteraria. La presunzione di coloro che nel commento alla pagina
sacra trovano l'occasione per fare sfoggio del proprio ingegno di
eruditi, è l'aspetto più deleterio della cultura teologica
del proprio tempo, che Bacone condanna senza mezzi termini richiamandosi
a un ideale di umile simplicitas in cui sono evidenti le matrici francescane.
D'altro canto, se la teologia ha da essere una scienza rigorosa, il
commentatore delle Scritture dovrà munirsi degli strumenti
idonei: egli deve attingere in primo luogo alla conoscenza delle lingue
in cui sono scritti i testi originari, l'ebraico e il greco; e inoltre,
dovrà raccogliere tutti i documenti necessari per restituire
la pagina sacra alla sua corretta lezione, nell'intento di isolare
il testo dai commenti che con l'andar del tempo si sono sovrapposti
ad esso dando origine a luoghi comuni e incrostazioni. In tal modo
Bacone fa valere l'ideale di una ricerca filologica applicata al testo
sacro che anticipa in maniera sorprendente alcune acquisizioni che
il pensiero filosofico farà proprie soltanto in epoca umanistica.
Una volta stabiliti
questi punti di riferimento, Bacone introduce la sua dottrina delle
cinque discipline più "nobili" che dovranno costituire
l'ossatura del progetto enciclopedico. Al primo posto egli colloca
la morale, che Aristotele chiamava anche "scienza civile".
In questa disciplina si raccolgono i principi della dottrina cristiana,
l'etica, e la teoria dello Stato, a dimostrazione del fatto che le
conquiste del sapere pagano dell'antichità trovano il loro
compimento nei dettami della Rivelazione cristiana. Il primato della
morale ci illumina su un altro aspetto importante che contraddistingue
l'opera di Bacone. Per il dottore francescano, il progetto enciclopedico
di riforma del sapere deve essere funzionale a un rinnovamento etico
di tutta la società, la "repubblica cristiana" come
egli la chiama abitualmente. E si tratta di un processo che deve investire
in primis le istituzioni della Chiesa, sempre minacciate dal rilassamento
o dalla corruzione dei costumi. Il primato attribuito alla morale,
in questo senso, salda in maniera significativa l'aspirazione tutta
baconiana a un sapere di tipo pragmatico - operativo con la tradizione
mistica e riformatrice che è caratteristica dell'intero movimento
francescano. Il progetto enciclopedico costituisce una riforma complessiva
del sapere del tempo che a sua volta anticipa la renovatio globale
della Cristianità. Ed è proprio il primato attribuito
alla scienza morale che ci permette di delineare le caratteristiche
della "scienza sperimentale", che occupa il secondo posto
nello schema assiologico. Questa scienza è maestra di tutte
quelle che seguono, e il suo scopo, a sua volta, è quello di
porsi al servizio della morale. In questa accezione larga la scienza
sperimentale include l'ottica, la matematica e la conoscenza della
lingue, con le quali si completa lo schema quinario. Ricollegandosi
a scienziati come Avicenna e Al-Hazen, Bacone interpreta il ruolo
dell'ottica nel quadro della metafisica della luce di Grossatesta.
Bacone è convinto che attraverso questa disciplina ancora giovane,
almeno per ciò che concerne il mondo cristiano, l'uomo possa
arrivare alla conoscenza della struttura geometrico - matematica del
cosmo. Infatti, le leggi che governano il diffondersi della luce sono
analoghe alle leggi causali che governano tutti gli altri processi
della natura. Ne consegue che il fondamento dell'ottica rimanda alla
quarta scienza, la matematica, vera chiave di volta di un universo
che fu creato da Dio - come è attestato dal libro della Sapienza
11, 21 - "secondo numero, peso e misura". Bacone insiste
sulla vastità delle applicazioni della matematica, dalla musica
all'astrologia. Sebbene quest'ultimo termine all'epoca fosse l'equivalente
di quella scienza che sarà ribattezzata come "astronomia",
l'autore include esplicitamente nel suo spettro semantico anche la
cosiddetta "astrologia politica", ovvero lo studio scientifico
degli astri necessario a chi governa al fine di deliberare ciò
che è meglio per la repubblica dei fedeli. I sapienti che sono
i naturali consiglieri di principi e papi devono mettere al servizio
della cristianità tutti gli strumenti utili ad anticipare l'avvento
del regno di Dio, senza escludere pregiudizialmente nemmeno i prodigi
dell'alchimia e della magia. Questo tema viene approfondito nel suo
aspetto operativo in un trattato dal titolo Epistula de secretis operibus
naturae, dove l'autore, fra le altre cose, invita a distinguere la
magia falsa dei necromanti dalla magia autentica, che può efficacemente
contrastare gli inganni orditi dal Maligno. Anzi, queste conoscenze
sono indispensabili, perché quando i tempi saranno maturi l'Anticristo
si presenterà egli stesso come "mago" e "negromante",
e la padronanza delle arti magiche ci permetterà di leggere
in anticipo i segni dell'avvento imminente consentendoci altresì
di combatterlo con le sue stesse armi. Nella figura del Doctor Mirabilis,
come Bacone fu soprannominato per la sua abilità di alchimista
e "ingegnere", tornano ancora una volta a convivere il mistico
e lo scienziato, il profeta visionario e il pragmatico, l'uomo di
chiesa imbevuto del profetismo francescano e il razionalista che attinge
a piene mani dalle opere degli "astrologi" arabi. La consapevolezza
che l'apprendimento delle arti magiche si colloca all'interno di un
quadro escatologico che comunque rimanda al mistero della Provvidenza
divina, fa sì che sia piuttosto difficile considerare la passione
di Bacone per la magia e l'alchimia come una anticipazione del motivo
rinascimentale dell'Homo Faber. Un accenno in questa direzione, lo
si può eventualmente rintracciare nel celebre passo della Epistula
de secretis operibus naturae in cui egli immagina future realizzazioni
tecniche di navi senza rematori, macchine volanti e apparecchi per
camminare "sul fondo dei fiumi e dei mari senza pericolo alcuno".
Resta tuttavia il fatto che il suo entusiasmo per i "prodigi"
della scienza sperimentale, unito alla convinzione che con l'alchimia
l'uomo si assicura il dominio sulla natura, non poté non destare
sospetto in un momento storico in cui l'impatto della scienza proveniente
dal mondo arabo nella Cristianità europea doveva mettere in
discussione equilibri fino ad allora consolidati.
La sequenza delle cinque dottrine più nobili che comprende
morale, scienza sperimentale, ottica e matematica, si conclude con
la "conoscenza delle lingue". Bacone sostiene che un intellettuale
cristiano non deve limitarsi alla conoscenza del latino ma deve ampliare
l'orizzonte al greco, all'ebraico e anche all'arabo. Importante, per
quanto riguarda quest'ultimo, non soltanto al fine di impadronirsi
dell'imponente patrimonio della cultura islamica, ma anche per ricondurre
alla Cristianità i seguaci di Maometto utilizzando gli strumenti
dell'apologetica, anziché ricorrere all'imposizione di dogmi
per loro incomprensibili o, ancora peggio, alla guerra.
Qualsiasi lettore
di Dante ha ben presente il ruolo che la metafisica della luce gioca
nella costruzione delle possenti geometrie speculative del Paradiso.
Meno noto il fatto che la tesi del "primato della morale"
nell'enciclopedia delle scienze, sostenuta da Dante nel secondo libro
del Convivio, trova un suo precedente illustre proprio nella riflessione
epistemologica che il Doctor Mirabilis sviluppa nella lettera al papa
Clemente IV. In Dante viene a cadere, senza dubbio, il contesto riduzionistico
del programma baconiano, secondo cui ogni singolo contenuto del sapere
dev'essere ricondotto alla Rivelazione. Ma restano comunque delle
analogie degne di nota. Il sommo poeta illustra la gerarchia delle
dieci discipline a partire dallo schema allegorico che associa ogni
singola scienza ad una delle sfere celesti del cosmo tolemaico. Le
arti del trivio (grammatica, dialettica, retorica) corrispondono,
rispettivamente, ai cieli di Luna, Mercurio, e Venere. Le arti del
quadrivio (aritmetica, musica, geometria, "astrologia")
ai cieli del Sole, di Marte, Giove e Saturno. A un livello superiore
si colloca la sfera delle stelle fisse che accoglie, insieme, la Fisica
e la Metafisica, complementari in quanto la prima studia la realtà
nei suoi elementi sensibili e corruttibili, la seconda indaga le strutture
dell'essere nei suoi aspetti sovrasensibili e incorruttibili; segue
quindi il Primo Mobile, dove risiede l'Etica, e infine l'Empireo,
il cielo che accoglie la Teologia, scienza divina che sovrasta e contiene
in sé tutte le altre restando tuttavia completamente separata.
Il fatto che il cielo della Metafisica sia collocato al di sotto del
Primo Mobile, ove risiede l'Etica, non deve indurci a concludere che
Dante affermi l'assoluta supremazia della vita attiva sulla contemplativa.
Ci riferiamo alla discussa tesi di Etienne Gilson circa il primato
della morale sulla metafisica, che lo studioso francese considera
"un fatto del tutto straordinario nel Medioevo" (Etienne
Gilson, Dante e la filosofia, trad. it. Milano, Jaca Book, 1985, pagg.
83 - 149), tale da collocare il Convivio in una posizione eccentrica
rispetto alla tradizione. Sappiamo invece che la funzione architettonica
delle scienze pratiche rispetto alle teoretiche è già
stata rivendicata dallo stesso Tommaso d'Aquino nel suo commento all'Ethica
aristotelica, in alcuni passaggi a cui Dante si ricollega esplicitamente
(si veda ad esempio il testo della Expositio in Ethicam II, lect.
I). Abbiamo inoltre l'epistola di Bacone, dove questo principio viene
formulato all'interno di un progetto teologico che trova un precedente
nel De reductione artium ad theologiam di Bonaventura da Bagnoregio.
Sembra difficile a questo punto sostenere la tesi gilsoniana dell'assoluta
novità dell'idea dantesca di assegnare all'Etica il ruolo di
Primo Mobile nell'enciclopedia del sapere. Ancora una volta, Dante
non fa altro che variare un topos ampiamente diffuso nella cultura
scolastica, appropriandosene da par suo e inserendolo in uno schema
laico, rispetto al quadro tracciato da Bacone. Per ulteriori approfondimenti
su questo tema mi permetto di rinviare al mio recente volume: La gloria
del volgare. Ontologia e semantica in Dante dal "Convivio"
al "De vulgari eloquentia" (editore Rubbettino).