I Quanti
«E opinione comune che entro pochi anni tutte le grandi costanti fisiche saranno state valutate approssimativamente e che la sola cosa che resterà da fare agli scienziati sarà quella di raffinare la loro misura di un altro decimale.»
Così si esprimeva il grande James Clerk Maxwell allinaugurazione del Cavendish Laboratory dellUniversità di Cambridge il 16 giugno 1874.
Costato 6300 sterline, una somma enorme per quellepoca, era destinato ad accogliere non solamente gli studenti di Cambridge, ma anche quelli di altre università.
Lopinione di Maxwell era apparentemente ben fondata. Le grandi teorie classiche della fisica (meccanica, termodinamica, elettromagnetismo) erano giunte a un grado di perfezione apparentemente insuperabile nella descrizione di tutti i fenomeni fisici conosciuti, basandosi su funzioni matematiche continue.
Il mondo infatti appariva continuo, secondo limmortale detto: Natura non facit saltus.
Lelettricità appariva come un fluido continuo, il calore pure. Lenergia era una tipica grandezza continua, descritta da eleganti funzioni matematiche.
Lipotesi dellatomismo, avanzata soprattutto da alcuni chimici, era respinta non solamente da fisici, matematici e filosofi, quali Ernst Mach, ma anche da un chimico del valore di Wilhelm Ostwald.
Il quanto dl
Planck
Le ricerche condotte al Cavendish
Laboratory e altrove dovevano distruggere questo quadro idilliaco
nel giro di pochi anni. Il suo terzo direttore, Joseph John Thomson
(il secondo fu John William Strutt, più noto come Lord
Rayleigh), studiando il passaggio dellelettricità nei gas,
dimostrava nel 1897 che lelettricità negativa era composta
da corpuscoli, che battezzava elettroni, e quella positiva di particelle più pesanti, gli ioni.
Tuttavia lelettrone era considerato ancora come una
curiosità di laboratorio, tanto che al pranzo annuale del
Cavendish si brindava così: «Allelettrone. Possa esso
rimanere inutile per chiunque!» Esso era invece la prima crepa
aperta nelledificio della fisica classica, ma altre
dovevano seguire.
Nel 1900, un fisico teorico tedesco, Max Planck, affrontando il problema di descrivere lirraggiamento del corpo nero, faceva uso di un artifizio che consisteva nel considerare lenergia della radiazione non più emessa o assorbita con continuità, ma solamente in quanti uguali a hf, dove f è la frequenza della radiazione e h è una costante molto piccola, la costante di Planck.
Una volta però risolto il problema matematico, Planck era rimasto scosso dellenormità di ciò che aveva fatto. Aveva distrutto la continuità dellenergia, e in maniera irreparabile. Non fu perciò in grado di proseguire sulla strada dei quanti, e il compito fu intrapreso da fisici più giovani e meno colpiti da timore reverenziale verso la fisica classica.
Il primo fu Einstein, che nel 1905 usò il quanto di Planck per spiegare leffetto fotoelettrico. Tuttavia Einstein fu ben presto assorbito dalla relatività e abbandonò la teoria dei quanti. Gli subentrò un giovane danese, Niels Bohr.
La famiglia
Bohr
Niels era figlio di un fisiologo
dellUniversità di Copenaghen, Christian, e di una donna
appartenente alla colta borghesia ebraica. Nella bella casa dei
Bohr si riunivano gli esponenti dellintelligentsia
progressista danese, tra cui il filosofo hegeliano Hans Hoffding.
Assieme al fratello Harald, che doveva diventare un ottimo
matematico, il giovane Niels era ammesso quale ascoltatore alle
discussioni del padre con gli amici.
Ne riportò un interesse duraturo per i problemi della conoscenza filosofica e per la spiegazione fisica dei meccanismi fisiologici, che il padre cercava di chiarire, e divenne un lettore appassionato delle opere di Kierkegaard.
Tuttavia Copenaghen non era ancora un centro famoso di studi di fisica e, una volta laureatosi nel 1911 con una brillante tesi sulla teoria elettronica dei metalli, Niels si recò a Cambridge, nella speranza di proseguire i suoi studi sotto la direzione di Thomson. Questi però non sinteressava più allargomento e non seppe riconoscere il valore del giovane danese, nonostante questi avesse faticosamente tradotto in inglese la sua tesi per fargliela leggere. Bohr non si scoraggiò e si recò allora a Manchester, dove un gioviale fisico neozelandese studiava la radioattività: Ernest Rutherford.
Il nucleo
atomico
Rutherford si era specializzato
nello studio di un particolare tipo di radioattività, quella
detta alfa.
Egli faceva esperimenti in cui i raggi alfa colpivano una lamina
metallica e ne erano deviati o riflessi. Secondo le idee allora
correnti sulla natura dellatomo, esso era composto da una
sfera diffusa di carica positiva nella quale erano immersi gli
elettroni, come uvetta nel panettone (modello di Thomson).
In questo caso, però le pesanti particelle alfa avrebbero dovuto essere deviate solo leggermente passando attraverso latomo, mentre Rutherford e i suoi collaboratori osservarono numerosi casi in cui le particelle alfa venivano riflesse bruscamente allindietro, quasi avessero urtato un nucleo duro.
Ciò era maggiormente in accordo con i modelli atomici di Hantaro Nagaoka e John William Nicholson, in cui gli elettroni ruotavano attorno a un nucleo di carica positiva. Cera però una difficoltà fondamentale: secondo le leggi dellelettromagnetismo classico (equazioni di Maxwell) gli elettroni avrebbero dovuto irraggiare energia e cadere sul nucleo in brevissimo tempo.
Latomo di Nagaoka e Nicholson aveva un grosso difetto: non era stabile. A ogni buon conto Rutherford pubblicò nel 1911 i risultati dei suoi esperimenti. Poco dopo Bohr si recò da lui e fu accolto con benevolenza. Rutherford aveva il dono di intuire le qualità dei giovani che si recavano da lui e di stimolarli a dare il meglio di sé. Così fu per Bohr che, a contatto di Rutherford, maturò molto rapidamente.
Le righe
spettrali
Cera un altro enigma che
attendeva spiegazione, quello delle righe spettrali emesse dai
singoli atomi. Si trattava di radiazioni di frequenza ben
definita, che gli spettroscopisti avevano imparato a catalogare
in serie distinte cui avevano dato i propri nomi (Lyman, Paschen,
Brackett, Pfundt, ecc.).
Nella teoria di Thomson, le frequenze delle righe corrispondevano a quelle del moto di rotazione degli elettroni entro il nucleo diffuso di carica positiva: più veloci gli elettroni, maggiore la frequenza della radiazione.
Uno spettroscopista dellUniversità di Lund in Svezia, Johannes Robert Rydberg, aveva però mostrato come la frequenza delle righe di una determinata serie potesse essere espressa come differenza di due termini, ciascuno dei quali appariva come linverso del quadrato di un numero intero moltiplicato per una costante, la costante di Rydberg.
Era una formula che non aveva alcun analogo classico, e attendeva una spiegazione.
Latomo di
Bohr
Bohr rimase a Manchester fino
allautunno deI 1912, quando ritornò a Copenaghen per
assumere i suoi compiti di assistente. Seppe da un collega dei
risultati raggiunti da Rvdberg, ed ebbe così in mano tutti i
dati del problema. La soluzione che trovò per esso si basava su
due postulati rivoluzionari.
il primo diceva che latomo può esistere in una serie di stati stazionari (i termini di Rydberg) in cui non assorbe né emette energia;
il secondo che, passando da uno allaltro di questi stati stazionari, latomo emette o assorbe energia secondo le modalità già postulate da Planck e Einstein per la radiazione, e cioè per quanti.Per ottenere ciò, Bohr aveva modificato il modello di Nagaoka-Nicholson-Rutherford con lipotesi che gli elettroni non potessero percorrere, nel loro moto attorno al nucleo unorbita qualsiasi ma solamente una di una serie discreta contraddistinta da una particolare condidizione in cui aveva un ruolo preminente la costante di Planck (quantizzazione del momento angolare).
Sulle orbite permesse lelettrone non irraggiava energia, e ciò rappresentava una brutale violazione dellelettromagnetismo classico. Così Bohr fu in grado di spiegare, in una volta sola, la struttura a righe almeno degli spettri più semplici e i risultati degli esperimenti di Rutherford, a prezzo però di due ipotesi ad hoc prive di qualsiasi fondamento teorico.
Il suo modello atomico, un ibrido di teorie
vecchie e idee nuove, apriva almeno altrettanti problemi di
quanti ne risolveva.
La pubblicazione sul Philosophical Magazine di tre articoli sulla
struttura dellatomo, avvenuta nel 1913 oltre a rendere
famoso Bohr suscitò un vespaio di polemiche.
Secondo il fisico inglese James Jeans, la teoria di Bohr non
aveva altra giustificazione allinfuori di quella, molto
probante, del successo. Bohr era riuscito, infatti, a calcolare
la costante di Rydberg con grande precisione in base al suo
modello atomico, senza alcun parametro aggiustabile.
La scuola di
Copenaghen
Nel 1913 Bohr ritornò a Manchester
per lavorare con Rutherford, cui era legato ormai da profonda
amicizia. Portava con sé la giovane moglie, Margrethe, che aveva
sposato nel 1912 e da cui doveva avere sei figli, di cui due
morti in tenera età.
Uno di essi, Aage, avrebbe poi seguito le orme del padre nella
ricerca fisica. I Bohr rimasero due anni a Manchester, fino a che
le autorità danesi non offrirono una cattedra a Bohr. Tuttavia,
alla morte di Thomson, Rutherford divenne direttore del Cavendish
Laboratory e rinnovò il suo invito a Bohr perché lo
raggiungesse a Cambridge.
Bohr stava per accettare, quando un gruppo di amici ed estimatori
riuscì a persuadere il governo danese ad offrirgli la direzione
di un nuovo Istituto di Fisica teorica, che sarebbe stato
costruito a Copenaghen.
Era il nucleo della futura "scuola di Copenaghen", che
avrebbe dato al mondo una nuova visione della realtà fisica: la
meccanica quantistica.
La meccanica
quantistica
A differenza della relatività,
opera del genio solitario di Einstein, la seconda grande teoria
fisica del XX secolo, la meccanica quantistica, fu il risultato
di uno sforzo collettivo compiuto da fisici di molte nazioni, per
lo più di età giovanissima.
Ad essi Bohr diede ospitalità nel suo Istituto di Copenaghen e ogni possibile appoggio, con il prestigio che gli derivava dal premio Nobel per la fisica, concessogli nel 1922.
Fu così che, quando si venne al problema dellinterpretazione del formalismo di una teoria elaborata da più fisici di nazionalità diverse, quella che prevalse alla fine fu detta interpretazione di Copenaghen, ed è quella tuttora accettata dalla maggioranza dei fisici.
Tuttavia il primo passo verso la
spiegazione delle contraddizioni contenute nellatomo di
Bohr non fu compiuto a Copenaghen ma a Parigi, dove un giovane
aristocratico, il principe Louis de Broglie,
nella sua tesi di dottorato del 1923 postulò che a ogni particella materiale
corrispondesse unonda
(onda di materia), per cui il problema degli elettroni
nellatomo si riconduceva a quello, noto classicamente, di
risolvere un problema di onde stazionarie, simili a quelle di una
corda vibrante fissata agli estremi.
Le idee di de Broglie furono riprese da un giovane austriaco, Erwin
Schròdinger, che le portò fino a una teorizzazione
matematica completa, culminante nellequazione di
Schròdinger, base della meccanica quantistica ondulatoria
(1926).
Il principio dl
Heisenberg
Frattanto a Copenaghen Bohr, con il
suo assistente olandese, Hendrik Kramers, e un giovane americano,
John Clarke Slater, aveva elaborato una teoria quantistica della
radiazione su basi puramente statistiche.
Essa fu immediatamente smentita dai risultati sperimentali di un altro americano, Arthur Holly Compton, che dimostrò però anche la validità dellipotesi corpuscolare per la radiazione nei suoi urti con gli elettroni (effetto Compton). Se da un lato de Broglie e Schròdinger ponevano quindi laccento sugli aspetti ondulatori della materia, i processi tipo Compton e quelli di assorbimento ed emissione mettevano in luce laspetto corpuscolare della radiazione.
Una trattazione di questi processi, che si verificano irraggiando latomo di Bohr, fu tentata da un giovane tedesco, Werner Heisenberg, su una linea dapproccio totalmente diversa da quella ondulatoria.
Ciò che Heisenberg
intendeva fare era di rinunciare, nella descrizione dei processi
atomici, a tutte quelle grandezze che non fossero direttamente
osservabili e misurabili.
Procedendo per via totalmente empiriche imponendo sempre alla sua
teoria di riprodurre i risultati della teoria di Bohr nei casi in
cui questa era applicabile, Heisenberg arrivò a uno schema
matematico in cui i fisici della scuola di Gòttingen, tra cui
Born e Jordan, riconobbero il calcolo delle matrici (una matrice
è una specie di scacchiera di cui ogni casella ospita un
numero).
Ciò stupì alquanto Heisenberg, che in una lettera a Jordan si
esprimeva così: «Ora i dotti matematici di Gòttingen non fanno
altro che parlare di matrici hermitiane, ma io non so neanche
cosa sia una matrice».
Caratteristico del calcolo delle matrici è che il prodotto di due di esse, A e B, dipende dallordine dei fattori, cioè AB non è uguale a BA. Da ciò deriva immediatamente una relazione matematica, il principio di indeterminazione di Heisenberg, per cui esistono coppie di grandezze fisiche (grandezze coniugate) che non possono essere misurate contemporaneamente con precisione arbitrariamente grande, ma per cui un aumento della precisione nella misura di una va a scapito della precisione nella misura dellaltra. Il prodotto degli errori nella misura delle due grandezze coniugate è sempre nell'ordine di grandezza della costante di Planck.
Partiti per sostituire la meccanica
classica con una più adatta a descrivere il mondo atomico, i
fisici si trovarono così non più con una, ma con due teorie fra
loro concorrenti. Ne seguì un periodo di fervide discussioni,
che avvenivano per Io più all Istituto di Bohr a
Copenaghen.
Ma nel 1927 un giovane inglese, Paul Adrien Maurice Dirac,
elaborò una sua versione della meccanica quantistica usando
strumenti matematici molto raffinati (gli spazi di Hilbert). Fu
presto chiaro che sia la meccanica ondulatoria di Schròdinger
sia quella delle matrici di Heisenberg erano casi particolari di
quella di Dirac.
La
complementarità
Due importanti progressi nella
conoscenza della struttura dellatomo si erano intanto
verificati. Nel 1924 Wolfgang Pauli aveva
formulato il suo principio di esclusione, in base al quale
nessun elettrone nellatomo poteva avere gli stessi
numeri quantici di un altro elettrone; inoltre ai tre
numeri quantici noti in precedenza, corrispondenti
allenergia, alla forma e orientazione spaziale
dellorbita dellelettrone, due fisici olandesi, George
Eugene Uhlenbeck e Samuel Abraham Goudsmit,
avevano aggiunto un quarto numero, quello di spin,
corrispondente alla rotazione dellelettrone su sé stesso.
Tutti questi fatti poterono trovare una spiegazione mediante la meccanica ondulatoria applicata allatomo di idrogeno (anche se lo spin dovette attendere la versione relativistica dellequazione di Schròdinger, o equazione di Dirac, (1928).
Se quindi da un lato la nuova meccanica otteneva i primi successi, dallaltro si accendeva il dibattito sulla sua interpretazione fisica. Dalle onde di materia di de Broglie e Schròdinger si era passati infatti, soprattutto a opera di Max Born, Pascual Jordan e Heisenberg, alle onde di probabilità, ma questa interpretazione era violentemente contestata dallo stesso Schrodinger, oltre che da Einstein e Max von Laue.
Fu a questo punto che Bohr, il cui ruolo nellelaborazione della meccanica quantistica era stato alquanto indiretto, rientrò in campo per difendere lopera dei suoi giovani collaboratori.
Risale nel 1927 la sua prima formulazione del principio di complementarità, in base al quale vi sono aspetti della realtà fisica (come quello corpuscolare e quello ondulatorio) che non possono essere osservati contemporaneamente, ma losservazione delluno dei quali preclude quella del. laltro.
Si trattava di unestrapolazione del principio di Heisenberg, su cui Bohr cercò di impostare tutta una filosofia della natura, con risultati talvolta discutibili. Vi fu chi, infatti, cercò di servirsi del principio di Heisenberg e della complementarità per un rilancio dellidealismo in filosofia, il che procurò molti avversari alla scuola di Copenaghen, compresi parecchi fisici sovietici e marxisti in genere.
Bohr dovette perciò difendersi su due fronti, quello fisico e quello filosofico, e se, nelle conferenze Solvay del 1927 e 1930 riuscì a superare tutte le obiezioni mosse allinterpretazione di Copenaghen da parte di fisici quali Einstein, fu solamente nel secondo dopoguerra che riuscì a chiarire la sua posizione anche sul piano filosofico dopo uno scambio di idee col grande fisico sovietico Vladimir A. Fok (scomparso nel dicembre 1974).
La fissione
nucleare
Dopo questa parentesi di tipo
filosofico, Bohr ritornò alla sua prediletta ricerca fisica, con
ricerche sulla quantizzazione non più dellatomo, ma del
campo elettromagnetico (elettrodinamica quantistica), compiute
assieme ai suoi allievi, tra cui il sovietico Lev Davidovic
Landau. Tuttavia, allinizio degli anni Trenta, il campo
delle ricerche di punta si andava progressivamente spostando dai
fenomeni atomici a quelli nucleari.
La scoperta del neutrone nel 1932, a opera di Jàmes Chadwick (un allievo di Rutherford) aveva stimolato i fisici a descrivere la struttura del nucleo atomico in funzione dei suoi costituenti (protoni e neutroni). Le prime teorie del nucleo furono opera di Ettore Maiorana, Heisenberg e Hideki Yukawa; fu questultimo a prevedere lesistenza di un ulteriore particella elementare, da lui battezzata mesone perché di massa intermedia fra quella dei nucleoni e quella dellelettrone.
Il mesone doveva fungere da quanto delle forze nucleari, e, scambiato fra i nucleoni, doveva servire da colla per tenere assieme il nucleo nonostante la forte repulsione elettrica dei protoni.
Era questo uno dei primi esempi di una forza di scambio, tipicamente quantistica e priva di analogie classiche. Le ricerche sul nucleo furono affrontate a Cambridge, a Berlino, a Parigi e a Roma. Si apriva così il sipario sul dramma della fissione nucleare.
Enrico Fermi, allUniversità di Roma, fu il primo ad adoperare i neutroni come proiettili per sondare la struttura del nucleo: privi come sono.di carica, essi non vengono infatti respinti dalla barriera elettrica dei protoni. Irraggiando sistematicamente gli elementi chimici con neutroni, Fermi indusse una radioattività artificiale in parecchi di essi. Arrivato però ai nuclei pesanti uranio e tono, ebbe dei risultati che lo lasciarono perplesso. Pensò dapprima di aver prodotto il primo elemento transuranico (cioè posto dopo luranio nella classificazione periodica di Mendeleiev) e interpretò in tal senso i suoi risultati, pubblicati nel 1934.
Una scienziata cecoslovacca, Ida Noddack, dimostrò subito che la cosa non era possibile, e suggerì invece che Fermi avesse ottenuto la scissione (più tardi detta fissione) del nucleo di uranio in grossi frammenti. Nessuno la prese sul serio.
Pareva impossibile che un piccolo proiettile quale il neutrone, per di più rallentato artificialmente da Fermi, potesse spaccare un nucleo massiccio quale luranio, tenuto assieme dalle potenti forze nucleari.
Ancora una volta, come già per latomo, fu Bohr a suggerire la spiegazione giusta. In una relazione tenuta nel 1936 allAccademia di Copenaghen, Bohr propose un modello del nucleo (il modello composito) in cui il neutrone incidente viene catturato dal nucleo e vi eccita delle oscillazioni collettive che possono deformarlo fino a farlo dividere in due parti, in alcuni casi, in maniera simile a quella di una goccia dacqua che si scinde nella caduta (per cui il modello è detto anche a goccia liquida).
Intanto a Berlino le ricerche di Fermi erano proseguite dal chimico tedesco Otto Hahn e dalla sua collaboratrice austriaca Lise Meitner. Questultima era ebrea e, allavvento del nazismo in Germania dovette fuggire a Stoccolma. Fu perciò sostituita da Fritz Strassmann, ma rimase in contatto con Hahn. Pure la moglie di Fermi era ebrea, per cui, ricevuto a Stoccolma il premio Nobel nel 1938, Fermi partì anchegli per gli USA. Mentre il nazismo gettava la sua ombra sullEuropa, lIstituto di Bohr divenne ben presto un centro di raccolta per scienziati ebrei, o semplicemente antinazisti e antifascisti, diretti in Inghilterra o in America (la Danimarca appariva troppo poco sicura), cui Bohr diede ogni possibile aiuto. Anche il cattolico Schròdinger scelse la via dellesilio e finì a Dublino, in Irlanda, dove avrebbe scritto un libio fondamentale per le applicazioni della fisica quantistica alla biologia (What is life?, 1944).
Nonostante tutto, la ricerca continuava, anche sullorlo della catastrofe. Nel dicembre 1938 la Meitner ricevette a Stoccolma una lettera di Hahn, che dava per certa la creazione di elementi più leggeri (e non più pesanti) nel bombardamento con neutroni delluranio e del torio. Ne discusse con il nipote Otto Robert Frisch, anchegli ebreo ed esule dalla Germania, durante una gita nei dintorni innevati di Stoccolma. Assieme pervennero alla spiegazione del fenomeno della fissione nucleare. Era il Natale del 1938.
La chiave del fenomeno stava proprio nelle
oscillazioni indotte dal neutrone incidente nel nucleo
considerato come una goccia liquida, secondo il modello intuitivo
proposto da Bohr.
Tornato a Copenaghen, dove allora lavorava, Frisch
ne parlò subito con Bohr, che si picchiò la fronte ed esclamò:
«Che scemi siamo stati! È meraviglioso, è proprio come
devessere!» Bohr incitò Frisch a pubblicare subito le
conclusioni raggiunte con la Meitner, e larticolo per la
rivista Nature fu concordato telefonicamente fra Stoccolma e
Copenaghen.
Esso conteneva per la prima volta il termine fissione,
che era stato suggerito a Frisch da un giovane biologo,
collaboratore di Bohr, in analogia a un fenomeno biologico.
Intanto però Bohr che doveva recarsi in America per un ciclo di
conferenze, approfittò del viaggio per elaborare, assieme al suo
assistente Léon Rosenfeld, la prima teoria della fissione
nucleare.
La nave attraccò a New York il 16 gennaio 1939; sul molo, ad attendere Bohr, cera anche Fermi. Dopo pochi giorni, Fermi aveva già ottenuto la conferma dellipotesi di Meitner e Frisch sugli esperimenti di Hahn e Strassmann. La fissione nucleare era una realtà. Era il gennaio 1939; nellagosto successivo Einstein avrebbe scritto una lettera al presidente Roosevelt sullenergia ottenibile dalla fissione delluranio mediante una reazione a catena.
La guerra e Il
dopoguerra
Bohr ritornò a Copenaghen, che fu
ben presto invasa dai nazisti. Nel 1943 fu fatto fuggire dalla
Resistenza a Stoccolma e poi a Londra, dove trovò in pieno
svolgimento le ricerche sulla fissione nucleare, dopo che Frisch
e un altro suo allievo, il berlinese Rudolf Peierls, avevano
dimostrato la fattibilità di una bomba a fissione. Ben presto
tutti gli scienziati implicati nel progetto, e lo stesso Bohr,
furono trasferiti negli USA per prendere parte al Progetto
Manhattan.
Bohr vi rimase però solamente ai margini, anche perché, prevedendo nel tempo, si rese conto dei pericoli impliciti in un confronto nucleare Est-Ovest e scongiurò Churchill e Roosevelt di accordarsi con i sovietici su un controllo internazionale delle armi nucleari. La cosa lo mise peraltro in pessima luce, e Churchill minacciò perfino di farlo internare.
Finita la guerra, Bohr si dedicò al compito di stabilire una collaborazione internazionale nella fisica nucleare, cooperando alla nascita del Centro Europeo di Ricerche Nucleari di Ginevra e, su scala geografica minore, del Nordic Institute for Theoretical Atomic Physics a Copenaghen.
Nei suoi ultimi lavori ritornò al problema dei rapporti fra fisica quantistica e biologia, posti sotto una nuova luce dai progressi della biologia molecolare, nonché al problema generale della conoscenza scientifica.
Dopo i tragici eventi della seconda guerra mondiale molte polemiche degli anni Trenta apparivano ormai superate, e Bohr non contava ormai che estimatori, sia allEst sia allOvest, per cui morì compianto da tutti, nella sua Copenaghen, il 18 novembre 1962.
Sviluppi
La meccanica
quantistica è una delle terie fisiche più precise che si
conoscano. Pur essendo praticamente impossibile da comprendere
secondo i termini delle parole comuni (è impossibile
visualizzare un oggetto contemporaneamente sotto forma di onda e
di corpuscolo) e implicando conseguenze aparentemente paradossali
(ma verificabili) la teoria ha numerose applicazioni pratiche
(es. il laser) che ne rafforzano la validità.
Attualmente sono allo studio teorie, non del tutto sviluppate e non del tutto soddisfacenti, tese alla integrazione con la teoria della Relatività.(teorie del tutto)
Le frontiere della cosmologia si situano sul tentativo di integrare la Relatività con la fisica Quantistica.
Infatti le condizioni estreme presenti nal momento dell'origine dell'universo richiedono, per poter essere indagate, di tener conto anche degli effetti quantistici della gravitazione.
Questo vale anche per indagare l'evoluzione e l'eventuale fine dell'Universo. Poichè la gravità, a sua volta, "gravità", occorre tenerne conto nel calcolare le conseguenze sull'universo nel suo complesso.