Particelle

I veri mattoni della creazione sono
stati scoperti negli ultimi 100 anni
Facendo in briciole gli atomi.

Per i greci. i primi ad aver creato una teoria delle particelle l’intero universo era composto da tante minuscole sferette che non potevano essere spezzate e che, proprio per questo, prendevano il nome di atomi (parola che in greco significa ‘indivisibili’).
Oggi ne sappiamo molto di più, ma il concetto di base è rimasto: tutto nell’universo, è composto di particelle. Il complicato quadro tracciato dalla scienza è noto come modello standard", ma si tratta di un modello talmente caotico e affollato che alcuni ricercatori lo chiamano ‘zoo di particelle".

PIU’ DI 300 INQUILINI
Fuori o dentro l’atomo. i fisici hanno infatti scoperto circa 300 particelle, anche se la maggior parte di esse non sono fondamentali: quasi tutte sono infatti composte da coppie o terne di altre particelle, e solo queste ultime sono fondamentali.
Per esempio, il pione contiene un quark e un antiquark, il neutrone è i composto da 3 quark e il fotone gamma può essere visto come somma di elettrone e antielettrone.

Tuttavia, fondamentali o no, è lecito chiedersi dove siano tutte queste 300 particelle che non si sentono mai nominare, La risposta è che, da un punto di vista pratico, è come se non esistessero. Quasi tutte hanno, infatti, un’esistenza effimera, della durata di qualche frazione di milionesimo di secondo.
Sono però importanti per i fisici teorici per i quali costituiscono importanti indizi sulle
leggi dell’universo e sul modo in cui potrebbe essersi formato. In ogni caso, quando si parla di particelle, bisognerebbe sempre pensare a entità completamente al di fuori da ogni schema mentale, che si comportano ‘come se’ fossero granellini di materia, ma che non lo sono affatto.
Sarebbe forse più esatto pensare a esse come punti geometrici, dotati di massa, carica elettrica e altre proprietà come la "carica di colore".

A complicare le cose, tra le particelle agiscono alcune forze che a loro volta sono esercitate come scambio di particelle: i tre quark che si trovano nei protoni, per esempio, sono tenuti insieme da un continuo scambio di particelle-colla, i gluoni ("glue" in inglese significa colla).

LEPTONI E QUARK
I mattoni fondamentali della materia sono i leptoni (da leptos che significa minuto, svelto) e i quark (termine proposto dal fisico americano premio Nobel Murray Gell-Mann).
Ci sono 6 leptoni, il più noto dei quali è l’elettrone, e 6 quark Se i leptoni fossero animali, nello "zoo di particelle" si potrebbero raffigurare come gatti: vivono infatti solitari, in libertà assoluta.
In natura si producono durante reazioni nucleari o in collisioni tra i raggi cosmici e gli atomi dell’alta atmosfera terrestre
. Nel confronto con il mondo animale i quark si possono immaginare, invece. come elefanti, perché viaggiano sempre in gruppo a formare altre particelle come neutroni e protoni.

LE ALTRE PARTICELLE
La materia che conosciamo, cioè quella che esiste sulla Terra, è però costituita solo da due leptoni e da due quark, che costituiscono quella che è chiamata prima generazione di particelle.
Che fine fanno allora tutte le altre particelle quando nascono? Decadono, ossia si trasformano in tempi brevissimi in altre particelle (quelle che vivono più a lungo durano qualche centimillesimo di secondo) in una catena di mutazioni che si conclude con i due quark "up" e "down", o con l’elettrone e il neutrino elettronico che formano tutta la materia dell’universo stabile.

Nessuno ha idea del perché esistano tutte le altre particelle fondamentali, dette di seconda e terza generazione.

Risulta chiaro dunque, perché nel 1936, quando venne scoperto il muone (particelle di seconda generazione) da Carl Anderson. il flsico Isidor Rabi di fronte alla notizia esclamò: «Chi lo ha ordinato?». E finché non si capirà perché ci sono altre due "generazioni" di particelle, non si può escludere di trovarne ancora. Per questo c’è chi ipotizza che i quark e i leptoni non siano particelle fondamentali, ma aggregazioni di ignote particelle davvero primitive.

PORTATRICI DELLE FORZE
Oltre ai costituenti della materia, come abbiamo detto, esistono altre particelle: quelle utilizzate per trasmettere le forze.

Si immaginino due giocatori di pallacanestro che si lanciano un pallone invisibile: li si vedrà rallentare, sbandare o inclinarsi ogniqualvolta lanceranno il pallone o lo riceveranno dal compagno e i movimenti saranno proporzionali alla forza e alla direzione del pallone lanciato o ricevuto. Tra i due cestisti, dunque, il pallone invisibile trasmette una forza. Questo esempio serve per immaginare ciò che succede tra i corpuscoli della materia: si influenzano a distanza attraverso particelle "invisibili" che trasportano le forze. I giocatori sono le particelle della materia, la palla corrisponde alle particelle trasportatrici di forze. Ciò che generalmente si chiama "interazione", dunque, altro non è che l’effetto di particelle "portatrici" di forze, per questo definite "vettori".

GRAVITA’ TRASCURATA
Poiché esistono 4 forze (gravità, elettromagnetismo, forza debole e forza forte) dovrebbero esserci altrettante particelle che ne trasportano gli effetti.

La forza gravitazionale. che è la più nota per i suoi effetti quotidiani, non è stata però inclusa nel modello standard, perché la sua azione è estremamente piccola a livello di particelle elementari. Inoltre non è ancora stata scoperta una particella portatrice della forza gravitazionale, anche se molti fisici sono così certi della sua esistenza che l’hanno preventivamente chiamata "gravitone".
Il
fotone, invece, è la particella che trasporta le forze elettromagnetiche che agiscono tra particelle cariche elettricamente e magneticamente. I fotoni sono particelle camaleontiche: in base alla loro energia diventano di volta in volta raggi gamma. luce, microonde, onde radio e così via.
L’unica differenza, in realtà, sono gli effetti sull’uomo (i raggi gamma sono radiazioni pericolose) e sulla tecnologia (che sfrutta, per esempio. le onde radio e le microonde).

Poi ci sono due interazioni che non si notano perché il loro raggio d’azione si esaurisce dentro i nuclei degli atomi, ma dalle quali dipende la struttura dell’universo. La prima è quella che tiene uniti i quark. e la sua intensità dipende dal "colore" di questi ultimi. I quark, infatti, oltre ad avere una carica elettrica e una massa, hanno anche un’altra proprietà che non ha riscontro nel mondo di tutti i giorni e che è stata battezzata. Appunto, colore. Ogni quark può avere colore rosso, verde o blu.

LA PIU’ DEBOLE DELLE FORZE
Ma esistono fenomeni che richiedono altre forze in gioco. Un esempio è l’emissione da parte di alcuni nuclei instabili di raggi beta altro nome degli elettroni: come è possibile che nuclei di protoni e neutroni (cioè particelle composte di quark) possano emettere una particella completamente diversa come l’elettrone? Questo e altri fenomeni hanno fatto ipotizzare l’esistenza di altri tipi di interazioni, cui si è dato il nome di "forze deboli" perché si manifestano a distanze molto inferiori rispetto alle interazioni "forti".
Mentre queste ultime si manifestano a distanze dell’ordine di grandezza di 10-
14 m., infatti, le forze deboli si fanno sentire entro ordini di grandezza di circa 10-16 - 10-17 m. I veicoli delle forze deboli sono altre particelle ancora, note come W e Z. la cui conferma sperimentale valse il premio Nobel a Carlo Rubbia. Nel caso dell'esempio citato il fenomeno è stato spiegato ammettendo che un quark down di un neutrone del nucleo si trasformi in quark up. espellendo un bosone W che a sua volta dà origine a un elettrone e a un anti-neutrino.


La fabbrica delle particelle

Poiché molte di esse sono instabili per studiarle bisogna prima crearle.
Come? Facendo scontrare tra loro fasci di altre particelle,
accelerati quasi alla velocità della luce.

Quando si scandaglia la natura molto in profondità, come si deve fare nella ricerca delle particelle fondamentali. non sono sufficienti i microscopi utilizzati, per esempio, dai biologi. Quei microscopi, infatti, usano la luce per illuminare la struttura degli oggetti che si vogliono vedere ingranditi. e proprio per questo non possono mettere a fuoco oggetti più piccoli delle dimensioni della lunghezza i d’onda della luce. I
microscopi elettronici, tanto usati dai ricercatori di virus, sono più potenti dei primi perché l’energia degli elettroni è maggiore di quella della luce nei microscopi ottici, un’energia maggiore cui corrisponde una lunghezza d’onda minore che consente di mettere a fuoco i virus. Sfruttando questo principio, i fisici hanno escogitato nuovi strumenti per rilevare e studiare le particelle subatomiche: gli acceleratori.

COLLISIONI AD ALTA ENERGIA
Un "acceleratore" è un anello di metallo nel quale un fascio di particelle è accelerato a velocità prossime a quella della luce, per poi scontrarsi con un fascio analogo che viaggia in direzione opposta, oppure contro un bersaglio fisso.
Maggiore è l’energia delle particelle accelerate e maggiore è la capacità di "vedere" oggetti piccoli. L’osservazione avviene attraverso speciali rivelatori sistemati intorno al tubo dell’acceleratore, nei punti in cui i fasci si scontrano.

C’è anche un altro modo per descrivere il funzionamento degli acceleratori: essi letteralmente creano dal nulla le particelle da studiare. La difficoltà maggiore è che per creare particelle di massa molto elevata (come dovrebbe essere il gravitone) bisogna far avvenire lo scontro a una velocità enorme, raggiungibile solo con acceleratori immensi e troppo costosi per un singolo Paese.
L’unico progetto in questo senso, l’americano Superconducting SuperCollider è stato accantonato qualche anno fa dal Senato Usa proprio a causa dei crescenti costi.

COSTOSISSIMI MAGNETI
Gli acceleratori di particelle sono di due tipi: lineari e circolari. I primi possono essere lunghi anche alcuni chilometri e sono così diritti da essere tangenti alla curvatura della Terra. I secondi, chiamati sincrotroni, sono invece a forma di cerchio.
Sono più costosi perché richiedono potentissimi magneti per curvare la traiettoria delle particelle e mantenerle sempre al centro del tubo. Ma hanno un vantaggio: facendo ripetere al fascio lo stesso percorso varie volte, si può aumentarne l’energia a ogni passaggio. Nel 1932 lo zoo si ampliò di colpo, quando si scoprì che per ogni particella esisteva una "antiparticella" identica in tutto, ma con carica elettrica opposta.

Fino al 1932 sembrava che ogni oggetto materiale nell’universo fosse formato da tre sole particelle: protoni, elettroni e neutroni. Ma in quell’anno si scoprì nei raggi cosmici una nuova particella: un elettrone con carica positiva, subito battezzato "positrone". Era il primo contatto della scienza con l’antimateria: particelle identiche in tutto e per tutto a quelle già note, ma con carica elettrica opposta.
Il primo accenno teorico all’antimateria risaliva al 1928, quando il fisico inglese Paul Dirac stava tentando di combinare, attraverso complesse equazioni, la relatività di Einstein con la meccanica quantistica. La teoria della relatività ristretta descrive ciò che succede quando un oggetto viaggia vicino alla velocità della luce, mentre la fisica quantistica cerca di spiegare come si comportano le particelle a una scala dell’universo molto piccola.
Prima del 1925 queste due teorie si erano sviluppate quasi indipendentemente l’una dall’altra. Ma un punto di contatto esisteva: il moto dell’elettrone. L’elettrone è infatti una particella così piccola che per essa deve valere la meccanica quantistica. Inoltre, l’elettrone si muove nell’atomo a velocità paragonabili a quella della luce, quindi deve rispettare anche le regole della relatività. Ciò che mancava era un’equazione che valesse contemporaneamente per entrambe, e Dirac la trovò.

PREVISTO DA UN’EQUAZIONE
L’equazione di Dirac prevedeva però l’esistenza di una particella con la stessa massa dell’elettrone e carica opposta: il positrone appunto. Dirac aveva anche previsto che se un positrone si scontra con un elettrone, entrambi scompaiono generando un raggio gamma. in un fenomeno chiamato "annichilazione".
L’esistenza del positrone venne confermata 4 anni più tardi dall’americano Carl Anderson che lo scoprì nei raggi cosmici. Per la precisione i raggi cosmici sono particelle ad altissima energia provenienti dallo spazio. che scontrandosi con le molecole dell’alta atmosfera terrestre generano "fontane" di particelle subatomiche.

In queste Anderson individuò appunto i positroni: le tracce che queste particelle lasciavano nei rivelatori erano simili a quelle dei protoni, ma più deboli come se le particelle fossero state più leggere. Inoltre, quando attorno al rivelatore venne posto un campo magnetico. questi forzò la i misteriosa particella a curvare nella direzione opposta a quella dell’elettrone dimostrando che possedeva una carica positiva.
Una volta confermata l’esistenza dei positroni ci si rese conto che queste particelle erano state ignorate perché non ci si attendeva che esistessero.
Particelle che tracciavano curve "sbagliate". infatti, erano state notate anche negli anni Venti, ma i ricercatori avevano messo da parte i dati classificandoli come inspiegabili. Gettando via in tal modo l’occasione di vincere un Nobel.

DOV’È FINITA L’ANTIMATERIA?
Oggi gli scienziati hanno dimostrato che tutte le particelle possiedono un’antiparticella con la quale potrebbero annichilarsi, se si incontrassero. Niente paura però. Nell’universo sembra esserci pochissima antimateria.
Gli scienziati ne sono quasi sicuri, perché non rilevano le radiazioni gamma che dovrebbero essere emesse dall’annichilazione della materia: l’unica antimateria con cui abbiamo a che fare è quella creata dai raggi cosmici ad alta energia. oppure artificialmente negli acceleratori di particelle.

Non è escluso, comunque, che galassie di antimateria possano esistere in luoghi distanti dell’universo e che sia impossibile per noi riuscire a rilevarle. Dopo tutto, la luce emessa da stelle di antimateria sarebbe del tutto identica a quella delle stelle a noi note

A CACCIA DI ANTIPARTICELLE
Proprio per questo gli scienziati hanno progettato un rivelatore di antimateria che sarà installato sulla Stazione Spaziale internazionale nel 2001: scopriremo così se nel vuoto esiste almeno qualche antiparticella, magari proveniente da lontane antigalassie.
Ma sono in pochi a credere che davvero nell’universo siano presenti ancora grandi quantità di antimateria: è più probabile che, poco dopo il
Big Bang. l’antimateria si sia estinta.
Come mai? Perché le leggi del nostro universo appaiono essere leggermente squilibrate a favore della materia. Esperimenti per comprendere meglio questo squilibrio sono in corso a Stanford, Usa e a Frascati.


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