.
Lo zio patriota del
nonno paterno di
Zia Sandra
Ai miei nipoti
"Entro prigione mi
piombarono desolato"
In queste pagine
intendo rendere omaggio a un antenato (zio di mio nonno
paterno) che entrò nella storia cosiddetta
"minore" dei patrioti del Risorgimento, Nicola
Gaetani Tamburini.
Di lui mi è rimasta solo una trentina di pagine in
sedicesimo, su fine pergamena tagliata a mano, quello che
un tempo si chiamava opuscolo, piccolo opus: sintitola
Tentativi epigrafici.
E si è conservata una biografia, che si apre con un disegno a
tutto busto: corporatura imponente, testa a triangolo
isoscele rovesciato, in cima una chioma piatta e
asimmetrica; cipiglio fiero, occhi che sembrano bistrati
ma potrebbero essere infossati, o sofferenti; sotto il
naso pronunciato, i folti baffi ricurvi e una strisciola
verticale di barba, tra labbro e mento, formano insieme
il disegno di una rondine che salga in verticale.
La biografia descrive un uomo eccellente, con una storia
di prigionia, come troppo spesso capita agli uomini
eccellenti:
...In
quei tempi infelicissimi, in cui leducazione
torturava le tenere intelligenze coi meccanici
artifizi del vecchio classicismo... Nicola Gaetani
Tamburini... incominciò a fare le sue prime prove
nella letteraria palestra, con lo scrivere epigrafi
italiane.
È da
notare però che in quel tempo nello Stato
Pontificio, ed in modo specialissimo nella capitale
del cattolicismo, era inibito espressamente il porre
nelle chiese e ne camposanti iscrizioni che non
fossero dettate in lingua latina.
Era realmente barbara, e stolta nel medesimo tempo,
lambizione della Corte Papale, per imporre un
linguaggio urbi et orbi, che poteva da essa sola
esser compreso e non da migliaia dinfelici che,
mossi dal desìo di rinnovare un saluto, un addio ai
loro cari estinti, accorrevano in quei luoghi.
Il
Gaetani Tamburini adunque adottò la forma
dellepigrafe italiana come arma di
combattimento; ed i suoi tentativi non andarono
falliti.
E
invero, nel 1843, pubblicò un opuscoletto di
epigrafi, al quale tenne dietro un altro pubblicato
nel 1845, poi un terzo nel 1847, nella cui prefazione
si professava sincero e caldo patriota, come lo era
davvero...
Nei
tempi più nefasti per la patria nostra, che
oppressa, lacerata e divisa, giaceva sotto il dominio
straniero, il Gaetani Tamburini non si rimase dal
consacrare tutte le sue forze e il suo ingegno, per
vedere finalmente data alla medesima
quellunità, la quale oggi grandeggia dal
Quirinale sopra incrollabile base.
Si era
nel luttuoso decennio della reazione, e
lItalia, già commossa a nuove speranze di
libertà e dindipendenza al grido entusiastico
di "Viva Pio IX"
il quale con ispirazione veramente divina benediceva,
unico esempio nella storia dei Papi, il sacro
nazionale vessillo ripiombava nuovamente nelle
più crudeli disillusioni.
Glitaliani
però, lungi dal deporre lidea di render libera
la nazione, non potendo più adoperarsi a sì nobile
scopo apertamente, ricominciavano dappertutto il
lavorio delle società segrete.
Nelle
nostre Marche, ricadute nel giugno del 1849 sotto il
giogo pretino, la più estesa di tali società
riuscì quella intitolata Apostolato
Dantesco, fondata sui primi di
marzo del 1855 dal Gaetani Tamburini che, per mezzo
di questa associazione si prefisse spandere in nome
del Divino Poeta idee nazionali, disporre gli animi a
giovarsi scambievolmente in ogni favorevole
congiuntura pel bene dItalia.
Ad
allargare la società fuori della nativa provincia fu
dal Gaetani Tamburini stabilito crearsi soci Onorari
e Corrispondenti, i quali specialmente si ebbero in
gran numero in Abruzzo, da tante conformità e
relazioni legato alle Marche.
LApostolato
Dantesco riunivasi or qua, or là
ad onta della rigorosissima sorveglianza della
polizia in diverse città e paesi Marchigiani,
discutendo temi eminentemente civili e umanitari,
propugnando listruzione e leducazione del
popolo, onde formarne il carattere morale, per
preparare glItaliani a farsi degni e maturi per
le libere istituzioni, che si miravano a conseguire.
Ogni
socio assumeva, ascrivendosi a quella generosa
schiera di patrioti, il nome di un Italiano illustre,
sì antico che contemporaneo, il quale rammentasse un
fatto glorioso della storia nazionale, quasi a
testimonianza del non mai spento valore latino, e
come fausto presagio di futura grandezza. Il Gaetani
Tamburini imponeva a se stesso il
nome di Italo.
Il
governo che sin dal suo primo nascere ebbe qualche
indizio della società, e delle idee che essa
propugnava, sotto la forma letteraria, fece
improvvisamente relegare il Gaetani Tamburini entro
le mura del paesello natale (Monsampolo
del Tronto, piccola ma graziosa
terricciola del nostro Piceno), sottoponendolo di
continuo a visite domiciliari, durante le quali gli
vennero detratti, anzi rubati a viva forza, libri e
carte, di cui ebbe a rimpiangere amaramente la
perdita, i suoi manoscritti e le lettere
indirizzategli da uomini illustri, così nostri che
stranieri, fra i quali dal Manzoni,
dal Tommaseo, dal Cantù,
da Victor Hugo, dal Michelet,
dal Quinet.
Fu
quindi il 7 dicembre 1856
arrestato e trascinato in prigione nel forte di Ascoli
Piceno, con alcuni suoi
compagni. E lì benché guardato a vista dagli
sgherri pontifici, benché sottoposto alle più dure
privazioni, benché oppresso dal dolore per la morte
del vecchio suo genitore che langoscia
di vedersi strappare dal fianco il diletto figlio
condusse nel sepolcro in pochi giorni pur mai
disdisse il suo fiero carattere, né sconfessò i
suoi patriottici sentimenti, continuando anzi coi
mezzi che destramente poté procurarsi, a mantener
viva in altri la fede al prossimo riscatto della
patria.
Fra le
amarezze che gli cagionò la prigione, e più che
altro il sapere come sempre più infierisse la
reazione nel suo paese, e lessere costretto a
rimanersi inerte in sì deplorevole stato di cose, un
dolce conforto formarono al Gaetani Tamburini le
amichevoli relazioni, contratte molto tempo innanzi,
con illustri letterati italiani e stranieri, coi
quali riuscì eludendo anche in ciò la
vigilanza dei custodi a mantenere segrete
corrispondenze dal carcere.
Piacemi
trascrivere qualche brano più saliente di alcune
lettere scritte dal carcere:
"
A nome del Fisco mi si chiamava responsabile
di opinioni e di fatto antipolitico. Chiesi
il significato della parola
antipolitico, mi si disse che era
parola tecnica, di
procedura; ed insistendo mi si
rispose il significato non saperlo, perché
mai loro era stata fatta una simile domanda,
e perciò anchessi ritenerlo
misterioso...
"...
Il mio Giudice si chiama Eucherio Collemasi
di Camerino, uno dei compromessi del
31, e per spirito liberale in
quellanno egli ebbe processo e condanna
di sei anni di carcere, che per interi gli si
fece espiare. Ed oggi? oggi è processante
per tutte le nostre Marche!".
Ecco alcune
delle epigrafi che, sotto il titolo di Iscrizioni sulle
pareti del carcere, erano racchiuse nella lettera diretta
al Cantù:
"Calava
a sera il 7 dicembre
Divelto damatissima famiglia
entro prigione
mi piombarono desolato".
"Bastante a me stesso
larcano contento del dolore
vivificava lo spirito".
"Mi fu letto il nudo terreno
Sonno la coscienza".
Il processo durò trentatré
mesi, e si chiuse con la condanna
del Gaetani Tamburini e tutti gli altri arrestati a dieci
anni di carcere.
Quel poco che passa alla
storia
Nel 1856
cera stato il Congresso di Parigi,
al termine della guerra di Crimea,
quando il Piemonte, con il favore di Vittorio Emanuele
II, aveva mandato a Sebastopoli un proprio corpo di
spedizione che combattesse al fianco delle truppe
francesi e inglesi; al Congresso, il delegato inglese
Lord Clarendon aveva sorpreso luditorio con una
requisitoria contro il malgoverno di cui erano vittima i
sudditi dello Stato Pontificio.
Nel 1857
era stato compiuto lultimo dei tentativi
rivoluzionari dispirazione mazziniana. Carlo
Pisacane, giovane e brillante ufficiale
napoletano, era salpato da Genova con un drappello di
patrioti, aveva liberato i detenuti dellisola di
Ponza che dovevano aggiungersi alla spedizione;
lapprodo a Sapri appartiene alla
poesia più che alla storia: "Eran
trecento, eran giovani e forti, e sono morti".
Per la storia è sufficiente annotare che i contadini del
luogo non insorsero come Pisacane aveva sperato, ma
diedero man forte ai Borboni.
Lidea che il
popolo, e non la diplomazia, avrebbe portato a compimento
lunificazione, era di Mazzini. Di
tuttaltro parere il Cavour, che
peraltro riuscì a tenere in mano liniziativa
politica fino alla primavera del 1860.
Poi, il 6 maggio, Garibaldi era salpato
da Quarto con due piroscafi carichi di volontari.
Vittorio Emanuele II aveva opposto il
suo rifiuto alla richiesta di un reggimento. Cavour aveva
dato ordine di fermare la spedizione quando fosse
approdata a Cagliari. Garibaldi scelse di fare scalo a
Talamone presso Orbetello, dove si rifornì di armi e
munizioni (peraltro pittosto malconce) al presidio
piemontese, e prosegui il viaggio indisturbato fino a Marsala.
Scese a terra l11 maggio, avendo saputo dai
pescatori incrociati in mare che lì non cerano
presidi borbonici. Il primo scontro con le truppe
borboniche a Calatafimi, aspro e
vittorioso, gli valse ladesione di squadre di
picciotti siciliani. Il 30 maggio, eluso il grosso delle
forze borboniche, dopo tre giorni di combattimenti per le
strade, Garibaldi ebbe in mano Palermo.
Cavour era sulle spine,
mentre lEuropa guardava attonita, e entusiasta, lo
spettacolo di un pugno di volontari armato che beffava un
potente esercito regolare e minacciava un regno.
Garibaldi, assumendo a
nome di Vittorio Emanuele II il titolo di dittatore
di Sicilia, dava prova di lealtà alla
monarchia. Ma era fermo nella decisione di marciare su
Roma, dove però dal 1849 stazionava un presidio
francese. LInghilterra dava segnali di approvazione
dellimpresa garibaldina, ma con la Francia
sarebbero sorte, per Cavour, gravi complicazioni
diplomatiche.
Non si poteva certo ostacolare Garibaldi, né fu
possibile dissuaderlo dallo sbarcare sulla penisola.
Tanto che il 7 settembre entrò a Napoli
come un trionfatore.
Fu allora che si
decisero le sorti di Nicola Gaetani Tamburini.
Cavour ottenne da
Napoleone III lassenso a che un corpo di truppe
regolari piemontesi scendesse a occupare le Marche e
lUmbria per dirigersi poi verso sud.
La tensione fra Garibaldi e Cavour giunse al massimo
quando Vittorio Emanuele Il si sentì chiedere da
Garibaldi il licenziamento di Cavour, che però tre
giorni prima aveva già ottenuto un formale impegno del
re a sostenere la sua politica, che prevedeva i plebisciti
per lannessione della Sicilia, ossia
ladesione pacifica allunità dItalia.
I plebisciti, indetti in settembre, si sarebbero tenuti
in ottobre, ma questa è unaltra storia, ancor più
celebre da quando lha celebrata Tomasi di Lampedusa
nel Gattopardo.
Nella prima metà di
settembre del 1860, Garibaldi già si disponeva
allobbedienza verso il re Vittorio Emanuele Il che,
nel mese successivo, vinte le resistenze pontificie, lo
avrebbe incontrato a Teano per il
passaggio delle consegne.
Dunque, in settembre,
le truppe piemontesi stavano scendendo a sud lungo la
costa adriatica quando ebbero uno scontro decisivo e
vittorioso con lesercito pontificio nei pressi di Castelfidardo,
cittadina delle Marche in provincia di Ancona e
appartenente alla Chiesa dal secolo XIII: il generale Enrico
Cialdini sconfisse il generale Lamoricière.
Qui prosegue la biografia:
Vinto
Lamoricier [sic] a Castelfidardo, Ascoli fra le
prime città Marchigiane insorgeva, e il primo
suo atto fu la liberazione del
Gaetani Tamburini (18
settembre 1860), il quale come
uno dei membri della Giunta
provvisoria del governo, nella
sua città e provincia, ebbe il supremo conforto
di proclamare lannessione alla Monarchia
costituzionale di Casa Savoia.
Il Regio
Commissario generale, dopo averlo
chiamato in Ancona per giovarsi dellopera
sua e dei suoi consigli, lo nominò Provveditore
agli Studi nella provincia Ascolana,
ove fu il primo ad impiantare
scuole e istituti educativi
sotto il libero regime.
Con
una festa solennissima e veramente popolare fu
inaugurata in Ascoli Piceno lapertura
delle scuole nel grandioso tempio
di SantAgostino. Scrisse lo scrittore
Marchigiano Carlo Lozzi:
"Mi pare ancora di sentire la voce del
Gaetani Tamburini, che commossa commuoveva
luditorio numeroso e plaudente. Mostrò nel
suo discorso, con rapidi tratti ma
spiccantissimi, di quanto la civiltà andasse
debitrice agli studi classici ed alle arti
liberali, e come gli uni e le altre
compenetrandosi con le aspirazioni, coi costumi,
coi bisogni della risorta nazione, dovessero
ringentilire il popolo...". I
l discorso fu quindi dato alle stampe e
largamente diffuso, raccolse lodi da tutte le
parti dItalia. Nicola
Gaetani Tamburini venne subito decorato dal
Ministero della Croce di Cavaliere della Corona
dItalia.
Inenarrabile
era laffetto che portava al figlio
Alighiero: "Non scrivo
sillaba sulla educazione se prima non penso al
mio figliuolo: la mia gran consolazione è la
ispirazione più sincera".
Nel
1863, il Gaetani
Tamburini costretto per motivi
particolari, vittima di un intrigo, a dimettersi
dallufficio di Provveditore, durante il
quale aveva dato il più possente impulso alla
letteratura classica e civile, fu dal Governo
nominato Preside del Regio Liceo Arnaldo
di Brescia.
In Brescia pertanto il De Castro
e il Gaetani Tamburini si adoperarono con ogni
cura a riordinare listruzione
industriale e professionale,
gittando le basi di un istituto chera
apertamente avversato dai fanatici del vecchio
classicismo e delle vecchie idee...
Cè, tra le
pagine della biografia, un brogliaccio con un appunto
anonimo:
Quando
il travaglio politico del Risorgimento fu
compiuto, restò dichiarato soltanto quel poco
che dello spirito creativo passa alla storia, il
resto fu condannato a perpetuo esilio.
Salì in soffitta una bella letteratura
depoca, sia pur minore, intrisa di
velleità inventive e di inquietudini
invincibili, riflessiva e sentimentale, legata a
un compito di mediazione, gnomico e
pubblicistico, volto alleducazione e
allistruzione degli umili secondo una
nozione vichiana di vita popolare che si svolge
in un ordine provvidenziale, a mezza strada fra
unintelligenza religiosa e pietosa della
vita e uneredità classicistica ambiziosa e
scontrosa.
Riuscirò a trovare
altre notizie dellillustre antenato o di qualche
altro discendente?
Cè stato, a ogni
modo, un silenzioso custode di quelle reliquie, tenute
segrete forse perché compromettenti, nellItalia
fascista, se trovate in mano a un antifascista.
A Brescia sulle tracce di
un patriota
Tra lantenato e i
suoi attuali discendenti cè, in mezzo, tutto un
altro secolo, il novecento, carico di affetti e di
simulazioni, che furono glingredienti nella
travagliata costruzione della famiglia, locata in città,
sedicente borghese: genitori e figli compressi dentro il
benessere di pochi vani.
Senza più famigli, ma diventati a loro volta famigli:
luomo che ha un mestiere, la donna che fa i
mestieri. Poi la donna che simpiega per pagarsi la
messimpiega. Per le arti, in famiglia, mancò il tempo.
Allora.
Guai a chi va a
attingere i ricordi al pozzo della famiglia, e li trae su
con la carrucola, pesanti, dentro il secchio delle cose
sofferte. Non vorremmo essere noi i portatori sani di
tutte le affezioni dei secoli passati.
Ma, quando non sono ricordi familiari, quando sono
memorie storiche, allora non pesano più.
Il 10 marzo 2005 mi
faccio accompagnare a Brescia, e in groppa alla graziosa leonessa
voliamo al Liceo Arnaldo
di Brescia, in corso Magenta 56.
La prima cosa che avvertiamo è unarmonia di
dimensioni, un piacevole rapporto tra la larghezza delle
vie e laltezza delle case, quei due o tre piani di
tutti gli edifici più belli che compongono i corsi e le
piazze.
Anche il liceo è un
palazzetto depoca, con portico sui tre lati del
cortile interno, mentre il quarto lato è aperto su una
piazzetta dove si vedono alcune auto in sosta ma non si
sente il rombo del traffico, che altrove è ormai una
malattia dellorecchio, un cronico inguaribile
acufene.
La Segretaria
dellArnaldo, elegante
nellabito nero a pantaloni e con i capelli corvini
tirati e legati, si rivela cortese e ospitale.
Deve piacergli il professore Zanelli perché ci indirizza
a lui come allunico che possa rispondere alla
nostra domanda, e lo cerca con premura,
allintervallo, intrattenendosi con lui un paio di
minuti prima di presentarlo.
Il professore di storia, però, non risponde alla nostra
domanda.
Ci suggerisce di
cercare alla Biblioteca Queriniana in via Mazzini, o forse al Comune
in piazza della Loggia, o meglio allArchivio
di Stato
in via Galilei, dove erano stati portati certi scatoloni
che ingombravano i sotterranei della scuola, unici
eventuali custodi delle notizie che cercavamo.
Mostra attenzione, nonostante che si veda sottrarre i
piacevoli minuti dellintervallo, e scrive il mio
indirizzo su unagendina tascabile. Gli lasciamo
libero il resto dellintervallo.
Anche la bibliotecaria
ribadisce che un tempo cerano fasci di carte,
finite poi allArchivio di stato. Altro non sa
perché è nuova, sussurra confidenziale: forse teme di
non essere creduta.
Che cosa stiamo
cercando?
Il mio antenato
patriota visse a Brescia, fra il 1863 e il 1870,
dove fu provveditore agli studi e preside del liceo
Arnaldo. Il nipote Emanuele Gaetani Tamburini menziona un
monumento alla memoria dello zio, eretto
dalla città di Brescia.
Cerchiamo quel monumento, e se non dovessimo trovarlo
nella città, siamo decisi a cercarlo fra le tombe, nel
camposanto. Non possiamo non trovarlo, a meno di mettere
in dubbio la splendida biografia che descrive la sua
attività.
Ci soccorre, allArnaldo,
un professore di greco, vivace e curioso al punto di
chiederci cosa cerchiamo, quasi ansioso di offrire i suoi
servigi. Sa di una pubblicazione sui monumenti della
città, realizzata dallAteneo, in via Tosio 12. Ignoro il
nome del professore, ma gli sono immensamente grata
perché quellindirizzo sarà il bandolo della
matassa.
LAteneo di
Brescia
fu fondato nel 1802 dal conte Tosio
che lasciò una parte del palazzo con tale destinazione:
la vasta sala in cui ci riceve il responsabile è di una
raffinatezza che il tempo e lincuria non hanno
offuscato: preziosi affreschi mai restaurati e stucchi su
cui loro è annerito, sotto la volta a crociera un
grande tavolo ovale coperto di una pelle integra pur nei
suoi mille graffi, alle pareti le biblioteche in legno
massiccio che racchiudono libri centenari dietro
reticelle di fil di ferro, e un immenso camino
dallimponente cornice di marmo con teste di leone.
Ci accoglie al portone
una donna anziana, e si muove a fatica ma con un
meccanismo muscolare che, facendo leva sulle gambe
inverosimilmente arcuate trova un equilibrio nella
dignitosa schiena curva, un equilibrio non più umano. Ci
conduce dal "signore" che ci fa entrare, e a
noi pare unelezione.
Come non chiamare
signore quelluomo affabile di una settantina
danni, che ci fa accomodare al tavolo e ci ascolta
con spontanea gentilezza? Si distrae un attimo per
alzarsi allo squillo del telefono, ammicca per dare a
intendere che è desolato dellinterruzione, parla
con mitezza ma trova il tono giusto per lamentarsi con
linterlocutore perché la stampa si cura troppo
poco dellAteneo.
Chiude la telefonata e si mette a sfogliare qua e là.
Sta già lavorando per noi. Lo distoglie lingresso
di un visitatore attempato e abituale che simmerge
nella lettura di grossi tomi.
Ritorna da noi. Veste
un abito scuro di gusto tardottocentesco, la giacca di
una tonalità verde simile al loden. Al collo porta una
farfallina gialla a pallini rossi, non propriamente
vistosa, ma tale che non sia possibile non vederla, e da
cui emanano un fascino come di festa e, insieme, la
simpatia di un giocherellone.
Pizzo e baffi ben curati sintonano con la voce
garbata: non senza orgoglio si affretta a dichiarare che
quella è una accademia di scienze lettere e arti.
Trova il nome
dellantenato, e furtivamente sinchina davanti
alla pagina. Forse è soltanto per leggere meglio, ma io
milludo che quel lieve inchino sia un ossequio.
Più di mezza colonna è dedicata al patriota, socio
attivo dellAteneo dal 1863, e
riporta le numerose pubblicazioni.
Il fascicolo in cui compare il nome è il Compendio
biobibliografico dei Soci dellAteneo di Brescia, redatto nel 2002 per il
bicentenario della fondazione.
Ci sorprende la
spigliatezza del signore quando si siede al computer e
stampa la pagina che ci riguarda.
Vorremmo sapere chi sia
e se anche il suo nome compaia fra i soci. Si schermisce
annuendo. Ma subito mette in campo unarte lombarda
antica e mal compresa in altre regioni: previene un
nostro eventuale sospetto di conflitto dinteressi,
ma lo fa confermando tutti i possibili sospetti.
Di fatto li sventa, con uniperbole. Ammette di
avere redatto il Compendio biobibliografico
dei Soci dellAteneo di Brescia al
solo scopo di parlare di sé: se ha aggiunto gli altri
1600 nomi, è stato per farsi una cornice! Così dice,
mentre laria austera si volge in mimica giocosa e
culmina in una risatina, in cui la farfalla gialla prende
a svolazzare.
Non vuole che leggiamo
di lui. Catturo di sfuggita il suo nome: Blesio,
autodidatta, naturalista, con molte pubblicazioni su
animali e piante, da lui curate. Non meno, a quanto pare,
si è curato degli uomini.
Per aprire altre strade
alla nostra ricerca, ci indirizza alla Direzione
musei civici darte e storia, in via dei Musei, e ci
fornisce un paio di nominativi a cui rivolgerci (dott.ssa
Stradiotti, dott.ssa Ragni, dott. Mondini esperto di
monumenti).
Verremo a sapere che il monumento non risulta fra quelli
recensiti, potrebbe essere stato distrutto, rimosso,
spostato, rubato e finito in qualche casa privata.
Invece, lEnciclopedia
bresciana
(edizione La voce del popolo, 1982) riporta il nome
che cerchiamo, al volume quinto, con riferimento ai Commentari
dellAteneo per i titoli delle opere,
ma con più ampia notizia sulla vita.
Ci congediamo. Si mette
sullattenti per il saluto, e a me fa il baciamano.
Mentre ci avviamo alla porta, ci insegue il suo
arrivederci. Ci voltiamo, e il signore assume laria
di chi ha troppo osato e rientra in fretta in quello che
lui chiama "il mio antro".
Siamo felici. Ci
concediamo un paio dore per la visita, in via dei
Musei, della splendida mostra di Monet e ci sediamo poi
in una saletta a goderci un video in cui le acque della
Senna si muovono con un effetto di vitalità che mi ha
strabiliato perché, prima dora, mai nessuna
pittura mi aveva mostrato il colore in movimento
nellondulazione dellacqua.
Poi ritorniamo a
cercare. Almeno la lapide vorremmo trovare, perché il
nonno, tanto legato allo zio, ne ha riportato le parole.
La troveremo nel Cimitero Vantiniano, il più antico della città,
ma sarà una caccia la tesoro.
Il custode trova
finalmente il nome dellantenato in un polveroso
registro con gli elenchi dei defunti nellottocento,
ma si tratta di capire il senso dellubicazione
della tomba, indicata all "ingresso
semicerchio sera".
Il custode sembra che
conosca bene il suo mestiere e riscuote la nostra
fiducia. Prende la mappa del cimitero,
evidenzia quella che ritiene sia la collocazione della
tomba e ci fa tanti cordiali auguri di trovarla in quel
punto. Auguri non richiesti, insomma gratuiti.
Seguiamo le indicazioni
alla lettera ma non troviamo nulla. Cerchiamo
dinterpretare le indicazioni ma evidentemente
restiamo sempre più sviati dalla meta.
Quella notte sognerò
lapidi, e anche la notte successiva, ma in uno stato
febbrile, sempre vedendo, a occhi chiusi, prato verde e
cippi bianchi.
Scorriamo centinaia di
lapidi per tre ore. Stremati dalla lettura delle
iscrizioni, a volte incise da lettere ormai consunte e
pressoché illeggibili, ci sediamo sui primi gradini che
ci troviamo sotto i piedi.
Però, che pace in quel
camposanto, con lo sfondo delle Alpi, il cielo azzurro
del pomeriggio, un tappeto erboso costellato di grossi
cippi bianchissimi. Lassenza di visitatori lo
farebbe credere uno dei cimiteri prediletti da Sergio
Leone, un far west di devozione e di spari, come
forse fu la battaglia che portò alla liberazione
dellantenato Nicola, illustre anche se tuttora
sprovvisto di monumento.
Nella mente rimuginiamo
le parole che abbiamo letto sul registro: ingresso
- semicerchio - sera.
Ci basta guardarci
intorno e di nuovo guardare la mappa per capire che
abbiamo vagolato dove non potevamo trovare nulla, ossia
al centro, nel cerchio da cui emerge una
stele a forma di faro, mentre il semicerchio
sta in fondo e ha, appunto, due ingressi.
Il sole declina, a
indicarci lingresso sera.
Chi mi accompagna
un amico che non dovrà mai mancare nella mia vita
trova liscrizione, ben visibile anche dal
prato, nel punto in cui il portico a semicerchio si piega
per creare un solenne ingresso.
Vedo lamico
aprire in alto le braccia, e lo sento leggere a voce
spiegata, nel camposanto deserto:
Nicola
Gaetani Tamburini
Ascolano
Sinnamorò dogni cosa alta e gentile
Patì il carcere per la Patria
Fu VII anni Preside al nostro Liceo
Lo colse morte fulminea
Il XXIV marzo MDCCCLXX
Con lutto pubblico
Ateneo di Brescia 2004
Accademia di Scienze, Lettere
ed Arti, già Accademia del dipartimento del
Mella.
Dal Compendio biobibliografico dei Soci dallanno di
fondazione allanno del bicentenario:
GAETANI TAMBURINI
Nicola (prof.), letterato e patriota; Provveditore
agli Studi (1863) e preside del Liceo di Brescia.
Nasce nel 1824
(26-Gen) (*) a Montesanpaolo (**) del Tronto (Ascoli
Piceno), risiede a Brescia; muore nel 1870 (24-Mar).
Socio attivo dal
1863 (27-Lug).
Necrologio e/o Commemorazione:
P.E. TIB0NI (in: «Commentari Ateneo di Brescia»
1870-73: Pag.181).
Note: cfr. Elenco
generale dei Soci, in appendice a: G. FENAROLI, Primo
secolo dellAteneo di Brescia, 1802-1902 (Brescia,
1902).
Pubblica:
La
Divina Commedia. Discorsi tre (in «Comm. Ateneo di
Brescia» 1862-64: 330/ms); Origine e classificazione
delle arti (in « Comm. Ateneo di Brescia» 1862-64:
337/ms); Lantichità in relazione col genio dei
moderni (in «Comm. Ateneo di Brescia» 1862-64: 340;
Id., in: «LEco delle Libere Assoc.», Brescia
1864); Donna e amore. Pensieri (Milano 1864; Id., in
«Comm. Ateneo di Brescia» 1865-67:112); Edoardo
Quinet. Studii (Milano 1865); Sulla poesia di Aleardo
Aleardi (in «Comm. Ateneo di Brescia» 1865-67:
118/ms); Cenni biografici del deputato di Sessa, di
Francesco De Sanctis (in «Comm. Ateneo di Brescia»
1865-67: 160); La mente e il cuore di Edgardo Quinet
(in «Comm. Ateneo di Brescia» 1865-67: 164);
Notizie sullistruzione del popolo in America
(in «Comm. Ateneo di Brescia» 1865-76: 179);
Augusto Vecchi (in «Comm. Ateneo di Brescia»
1865-67: 210); La coscienza umana di faccia
allavvenire (in «Comm. Ateneo di Brescia»
1865-67: 216; Id., Torino 1867); Aleardo Aleardi (in:
«Riv. Contemp. Nazion. Ital.» Torino 1867);
Listruzione moderna (Torino 1868);
Lindividuo e lo Stato (in «Comm. Ateneo di
Brescia» 1868-69: 6); La Società negli Stati Uniti
dAmerica (in «Comm. Ateneo di Brescia»
1868-69: 13; Id., in: «Riv. Contemp. Nazion.
Ital.», Torino 1868); Il pensiero moderno (in:
«Riv. Contemp. Nazion. Ital.», Torino 1868; Id., in
«Comm. Ateneo di Brescia» 1868-69; 184); Il Comune,
la Contea e lo Stato negli Stati Uniti dAmerica
(in «Comm. Ateneo di Brescia» 1868-69: 187/ms);
Giacomo Leopardi - Statua di Ugolino Panichi (in
«Comm. Ateneo di Brescia» 1868-69: 191); Il
Cittadino e lo Stato (Milano 1869); LUnione
degli Stati in America (in «Comm. Ateneo di
Brescia» 1870-73: 106).
(*) Data esatta: 4
aprile 1820
(**) Toponimo esatto: Monsampolo.
A. Fappani
Enciclopedia Bresciana, Vol. V
Edizione La Voce del Popolo,
Brescia 1982
GAETANI Tamburini
Nicola (Monsanpaolo (*) del Tronto, Ascoli 26
gennaio 1824 (*) - Brescia, 24 marzo 1870). partecipò
alle vicende della Repubblica Romana
del 1869 e fu in relazione con liberali. Ideò
"LApostolato Dantesco"
per mantenere vivi gli ideali di italianità. Arrestato
nel 1837 per idee liberali fu condannato a dieci anni di
galera di cui ne scontò sette nel forte di Porta
Maggiore ad Ascoli. Fu liberato dal popolo il 19
settembre 1866. Partecipò poi allinsurrezione
delle Marche. Arrivato a Brescia nel 1863 fu
provveditore agli studi e preside del Liceo di Brescia.
Il 27 luglio 1863 veniva nominato socio dellAteneo
di Brescia e vi tenne numerose comunicazioni.
Fu tra i primi divulgatori accurati di storia degli Stati
Uniti dAmerica. I Commentari dellAteneo
elencano i seguenti suoi contributi:
"La
Divina Commedia. Discorsi tre." (1862-1864, p.
330); "Origine e classificazione delle
arti" (1862-64, p. 337); "L
Antichità in relazione col genio dei
moderni" (1862-64, p. 340); "Donna e
amore" (1856-67, p. 112); "Sulla poesia di
Aleardo Aleardi" (1856-67, p. 118); "Cenni
biografici di Francesco De Sanctis" (1865-67, p.
160); "La mente e il cuore di Edgardo
Quinet" (1865-67, p. 164); "Notizie
sullistruzione del popolo in America"
(1865-67, p. 179); "Augusto Vecchi"
(1865-67, p. 210); "La coscienza umana di faccia
all avvenire" (1865-67, p. 216);
"Lindividuo e lo Stato" (1868-69, p.
6); "La Società negli Stati Uniti
dAmerica" (1868-69, p. 13); "Il
pensiero moderno" (1868-69, p. 184); "Il
Comune, la Contea e lo Stato negli Stati Uniti
dAmerica" (1868-69. p. 187); "Giacomo
Leopardi - Statua di Ugolino Panichi" (1868-69,
p. 191); "Lunione degli Stati in
America" (1870-73, p. 106). A Brescia, pubblicò
inoltre: "Plebisciti danteschi proposti alla
Società degli Amici dellIstruzione popolare in
Brescia" (Brescia, tip. Venturini 1864, pp. 16
in 32°).
(*) Data esatta: 4
aprile 1820
(**) Toponimo esatto: Monsampolo.
Mappa di Brescia
Tratta da "Piante di
attraversamento di 170 città" TCI 1956
Per lindividuazione del
cimitero, a ovest, in via Milano.
Mappa del cimitero di Brescia
Fornita dal Custode
Per lindividuazione
dell
"Ingresso Semicerchio
Sera"
Foto
"Ingresso
Semicerchio Sera"
Fotografia della lapide
Ubicata al centro, sopra
larco del portico.
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