TRASFUSIONE DI ERITROCITI NEL SOGGETTO ANEMICO

 

E' attualmente noto che è sufficiente una quantità di Hb di 7 mg/dL (Ht 21%) per avere una capacità di trasporto dell'ossigeno adeguata a mantenere la funzionalità cardiopolmonare, purché il volume intravascolare sia adeguato a garantire la perfusione dei tessuti (3).

Soggetti sani sono generalmente asintomatici con livelli di emoglobina sopra gli 8 g/dL (3).

Altri studi suggeriscono che la stato funzionale del paziente possa essere migliorato da una elevazione dei valori di emoglobina sopra i 7 g/dL, raggiungendo un plateau a livelli di emoglobina prossimi a 10 g/dL.

Nel decidere se un paziente debba essere sottoposto a trasfusione, devono essere tenuti in debito conto anche altri parametri quali età del paziente, grado di anemia, volume intravascolare, presenza di concomitanti patologie cardiache, polmonari, circolatorie (1-4).

Alterazioni della frequenza respiratoria e della frequenza cardiaca sono difficili da interpretare ai fini trasfusionali mentre rendono conto di un eventuale peggioramento del quadro clinico non necessariamente correlato all’anemia.

Sintomi quali stanchezza e dispnea, anche se soggettivi, possono essere utili nel determinare la necessità trasfusionale in pazienti con anemia cronica.

Le funzioni mentali si deteriorano con l’ipossia cerebrale, ma sono di difficile interpretazione per fini clinici.

In ogni caso l’anemia non deve essere trattata con trasfusioni se esistono delle appropriate alternative, con un favorevole rapporto costo/beneficio quali, ad esempio, il ricorso all’uso dell’eritropoietina.

Ogni problema di salute abbia influenzato la decisione di trasfondere dovrebbe essere documentato nelle registrazioni relative al paziente, in special modo quando abbia portato ad agire in maniera diversa da quanto previsto nelle linee guida.

 

Anemia acuta

 

La principale causa di un'anemia acuta è quasi sempre una perdita di sangue.

In presenza di un'emorragia è innanzitutto importante non confondere gli effetti dell’anemia con quelli provocati dall’ipovolemia.

La trasfusione non deve essere infatti utilizzata quando vi sia soltanto la necessità di espandere il volume, bensì quando debba essere incrementata la capacità di trasporto dell’ossigeno; varie esperienze cliniche hanno evidenziato che perdite di sangue intorno al 30-40% del totale possono essere trattate, in pazienti giovani e sani, con soli liquidi di sostituzione.

Inoltre, se si considera che la curva di dissociazione dell’emoglobina migliora a valori di ematocrito intorno al 30% e che, nel sangue conservato, il 2,3-DPG si riduce, è facile capire come possa essere controproducente un aumento troppo spiccato dell'ematocrito con un prodotto che tende a rilasciare meno l'ossigeno.

Non esistendo metodi che possano determinare con precisione il grado di ossigenazione di organi critici, si sono proposte varie linee di condotta basate sull'entità della perdita o sulla quantità di emoglobina.

La migliore indicazione sembra tuttavia quella di seguire con metodo una condotta che possa portare ad una valutazione quanto più possibile oggettiva.

Di seguito vengono riportate le indicazioni della Development Task Force of the College of American Pathologists, pubblicate nel 1998 (Arch Pathol Lab Med - Vol. 122, Feb. 1998).

 

1.

Valutare il rischio di ischemia e di altre malattie concomitanti.

2.

Stimare o prevedere il grado di perdita ematica:

> 30-40%

perdita rapida di volume (corrispettivo clinico: tachicardia spiccata, tachipnea, ipotensione sistolica, alterazione dello stato mentale): trasfondere emazie.

3.

Misurare l’emoglobina

> 10 g/dL:

trasfusione raramente necessaria.

Tra 6 e 10 g/dL:

la necessità di trasfondere dipende da altri fattori.

< 6 g/dL:

trasfusione certamente necessaria.

4.

Misurare i segni vitali e l'ossigenazione tissutale (particolarmente utile nel range tra 6 e 10 g/dL, allorchè non sia nota l'entità della perdita ematica).

Tachicardia, ipotensione non corretta dal semplice rimpiazzo volumetrico: trasfusione necessaria.

 

Anemia cronica

 

In un paziente con anemia che data da tempo, la sintomatologia è legata all’età, al livello delle attività fisiche ed alla presenza di patologie concomitanti quali problemi di origine cardiaca o respiratoria.

In questi pazienti è innanzitutto fondamentale determinare le cause dell’anemia e correggerne, se possibile, le cause ed i fattori precipitanti, con un'adeguata terapia.

Nei pazienti con anemia cronica trasfusione dipendenti, la trasfusione di eritrociti è fondamentale al fine di garantire una riduzione della "fadigue" che è uno degli elementi di maggiore impatto sulla qualità delle vita.

Una trasfusione può rappresentare una soluzione appropriata in caso di anemia cronica:

  • in pazienti senza malattie cardiovascolari, in particolare se giovani, per mantenere un valore di Hb > 6-7 g/dL;

  • in pazienti con emoglobinopatie, per garantire una quota emoglobinica > 7 g/dL.

  • in pazienti con malattie cardiovascolari, per mantenere livelli di emoglobina > 8-9 g/dL.

  • in pazienti gravemente compromessi con valori di Hb compresi tra 8 e 10 g/dL.

  • in pazienti talassemici, per mantenere una quota di Hb > 9,5 g/dL.

Si deve invece considerare una controindicazione assoluta la trasfusione in pazienti con anemie emolitiche autoimmuni, in assenza di concomitanti patologie cardiovascolari, nei quali è preferibile ridurre il più possibile lo stimolo antigenico cercando di non trasfondere nemmeno a concentrazioni di Hb < 6 g/dL. Per questi pazienti è fondamentale una diagnosi precoce, per permettere di impostare quanto prima possibile una specifica terapia.

 

Bibliografia

 

  1. Silberstein LE, Kruskall MS, Stehling LC, et al. Strategies for the review of transfusion practices. JAMA 1989;262:1993-1997.

  2. Amer College Physicians. Practice strategies for elective red blood cell transfusion. Ann Int Med 1992; 116:403-406.

  3. Petz LD. Red blood cell transfusion. Clinics in Oncology 1983;2:505

  4. Practice Parameter for the Use of Red Blood Cell Transfusions

        Arch. Pathol. Lab. Med. - Vol. 122, Feb. 1998

 

TRASFUSIONE DI ERITROCITI IN CHIRURGIA

 

Un atto chirurgico può essere classificato come "maggiore" o "minore" in base a diversi fattori:

  • esperienza del chirurgo;

  • durata dell’intervento;

  • precedenti condizioni del paziente;

  • tecniche chirurgiche ed anestesiologiche;

  • precedenti emorragie.

Tutti questi fattori sono in grado di condizionare la necessità o meno di terapia trasfusionale, tenendo tuttavia presente che la maggior parte degli interventi può essere condotta senza necessità di trasfusioni e in linea di principio, anche in campo chirurgico una trasfusione deve essere praticata soltanto nei casi in cui debbano essere trattate situazioni cliniche in grado di condurre a patologie gravi o mortali e che non siano diversamente curabili.

 

Periodo pre-operatorio

 

Una trasfusione può essere il più delle volte evitata con una diagnosi precoce dell’anemia o delle condizioni che possono causarla e, quindi, correggendola e ricostituendo i depositi marziali durante la fase di programmazione, eventualmente arrivando anche a dilazionare l’intervento.

Il livello adeguato di Hb da raggiungere deve inoltre essere considerato in base alle peculiari  caratteristiche del paziente ed al tipo di intervento cui deve essere sottoposto.

Attualmente si ritiene infatti che, piuttosto che un approccio basato su formule, un corretto riassetto pre-operatorio dovrebbe considerare l'adeguatezza dei valori di emoglobina, la causa e la durata dell'anemia, lo stato cardiovascolare e polmonare del paziente, il tipo e la probabile durata dell'intervento (1).

In un paziente compensato, nell’immediato pre-operatorio di interventi di chirurgia minore, può considerarsi soddisfacente un valore pari a 7-8 g/dL: un livello più alto è richiesto in caso di compenso inadeguato dell’anemia o contemporanea presenza di malattie cardiorespiratorie (per consentire di migliorare l’apporto di ossigeno ai tessuti).

Nel caso di pazienti anemici che dovranno sottoporsi a terapia riabilitativa nel post-operatorio ed in cui è necessario prevedere un target di 9 g/dL al momento dell’immissione nel programma di recupero, è opportuno intraprendere  per tempo la somministrazione di ematinici ed EPO.

Nel valutare la necessità di una trasfusione vanno presi in considerazione anche altri parametri del paziente quali l’età, il tipo di anestesia cui deve essere sottoposto ed il bilancio idrico.

Deve essere infine verificata l’esistenza di alcune condizioni patologiche preesistenti, quali:

  • Disordini della coagulazione: nei pazienti chirurgici un’alterazione emostatica, se non diagnosticata e trattata, rende molto probabile la comparsa intra-operatoria di gravi emorragie;

  • Piastrinopenia: In presenza di situazioni di rischio devono sempre essere attuate misure profilattiche e verificata la disponibilità di concentrati piastrinici; la trasfusione di concentrati piastrinici deve tuttavia essere istituita soltanto qualora vi sia chiara evidenza di sanguinamenti microvascolari ed il conteggio piastrinico sia minore di 50.000/mL.

  • Terapia anticoagulante: in un paziente in terapia anticoagulante (orale o parenterale) si devono considerare il tipo di intervento ed il rischio tromboembolico nel programmare il trattamento farmacologico nel periodo peri-operatorio. Per la maggior parte degli interventi chirurgici l’INR dovrebbe essere < 2.0 prima di iniziare la chirurgia.

  • Uso di farmaci: I farmaci che possono interferire con la funzionalità piastrinica (FANS ed ASA) devono essere sospesi 7-10 giorni prima di un intervento chirurgico.

 

Periodo intra-operatorio

 

Una trasfusione eritrocitaria è indicata in chirurgia qualora si verifichi una perdita ematica del 10-15% o più del volume ematico del paziente (ad esempio, essendo il volume ematico stimato in circa 70 mL/kg, una perdita di 500-750 mL in un adulto di 70 kg, che possiede circa 5000 mL di sangue).

Una perdita di tale entità è in grado di causare un'instabilità emodinamica, messa del resato in evidenza anche da una caduta della pressione arteriosa di oltre il 20% o a livelli inferiori a 100 mm Hg o da un'accelerazione del polso > 100 b/m.

I fattori chiave per la tolleranza ad uno stato anemico sono il mantenimento della normovolemia ed i meccanismi di compenso che incrementano la funzionalità cardiaca ed il trasporto di ossigeno. Ogni paziente dovrebbe essere quindi valutato in base alla capacità di compenso del suo sistema cardiovascolare (2).

Dopo un intervento, valori di emoglobina intorno ad un range di 8-9 g/dL sono considerati sicuri per pazienti senza problemi cardiovascolari; pertanto, il ricorso ad una trasfusione piuttosto che ad un altro modo di reintegrare la perdita di volume dovrebbe essere ben motivato. D'altro canto, la compensazione di uno stato anemico acuto passa attraverso un miglioramento della funzionalità cardio-vascolare. Una moderata emodiluizione (sotto valori di emoglobina di 8-10 g/dL) incrementa il lavoro del cuore ed i rischi ad essa connessi dovrebbero essere soppesati con attenzione nei pazienti con patologie cardiovascolari (3).

 

PRIORITà DURANTE L’INTERVENTO

 

Durante l'intervento si rivela fondamentale la sorveglianza di alcuni fattori:

  • Assicurare una normale volemia con un'adeguata terapia sostitutiva. Se la volemia è mantenuta, un paziente può sopportare perdite di sangue anche cospicue prima che si renda necessario trasfondere. L’apporto di ossigeno in un soggetto sano e a riposo, con una normale concentrazione di emoglobina, è infatti 3-4 volte superiore a quello richiesto dal metabolismo tissutale. Inoltre, a fronte di significative perdite di sangue, l'organismo  attua varie risposte di compenso, tra le quali un aumento della gittata cardiaca, che può avvenire soltanto se la volemia è mantenuta: l’aumento della gittata cardiaca sostiene l’apporto di ossigeno anche quando l’emoglobina diminuisce. Infine, rimpiazzare le perdite ematiche con soluzioni cristalloidi o colloidi provoca emodiluizione che riduce la viscosità ematica e migliora circolo capillare e gittata cardiaca, aumentando l’apporto di ossigeno ai tessuti.

  • Mantenere un’accurata emostasi: l’ipovolemia determina una progressiva acidosi il cui corretto controllo è strettamente necessario per limitare il sanguinamento. Essendo tale stato già di per sé in grado di alterare l’emostasi.

  • Evitare l’ipotermia: Tranne i casi di ipotermia indotta e sotto controllo, è necessario evitare l’ipotermia che può determinare un peggioramento delle risposte compensatorie all'ipovolemia, una piastrinopenia con aumento del sanguinamento in sede chirurgica, un aumento della richiesta post-chirurgica di ossigeno ed una maggior facilità all’infezione della ferita chirurgica.

Nel caso si verifichi una perdita acuta di sangue, se questa raggiunge valori superiori al 15%, si può verificare un'instabilità emodinamica; in tal caso, una trasfusione può essere considerata indicata se la pressione sistolica scenda di almeno il 20% rispetto ai valori iniziali o, comunque, a livelli pressori < 100 mm Hg ed il polso aumenti oltre ii 100 b/m.

 

Periodo post-operatorio

 

Alcuni parametri fondamentali devono essere monitorati con attenzione anche nel periodo post-operatorio.

1.  Volume:

  • segni clinici di ipovolemia ed emorragia;

  • perdite dai drenaggi e dalle ferite.

2.  Ossigenazione:

  • obbligatoria dopo un intervento in anestesia generale.

3.  Bilancio idrico:

  • infusione EV di liquidi in quantità tale da sostituire le perdite ematiche per mantenere la volemia a valori normali; l'infusione dei liquidi deve essere continuata finché l’assunzione orale non diventi adeguata

4.  Analgesia:       

  • deve essere adeguata per evitare ipertensione ed irrequietezza che a loro volta possono aggravare le perdite ematiche. 

 

NECESSITà DI RIMPIAZZO DELLE PERDITE

 

Giornalmente si verifica una perdita di fluidi attraverso la pelle, l’apparato respiratorio, le feci e le urine; normalmente essa è di circa 2.5–3 litri al giorno in un adulto sano (1,5 ml/kg/h).

Tale perdita è proporzionalmente maggiore nei bambini ed aumenta in corso di alcune situazioni quali diarrea, febbre e digiuno pre-operatorio.

Di norma tali perdite, del resto lente e progressive, vengono rimpiazzate autonomamente. Nel periodo post-operatorio può invece verificarsi la necessità di dover aiutare questo compenso, come può avvenire per le perdite che si verificano durante un intervento.

Nel caso di perdite ematiche è innanzitutto fondamentale assicurarsi che la perdita percentuale ed il più basso livello accettabile di emoglobina riflettano esattamente le perdite sanguigne che il paziente è in grado di tollerare.

Vanno quindi attentamente valutate le condizioni cliniche, tenendo presente che la capacità di compensare ogni decremento nell’apporto di ossigeno è limitata da:

  • disturbi cardiorespiratori

  • trattamento con farmaci (es. b-bloccanti)

  • anemia preesistente

  • età avanzata.

La decisione di ricorrere ad una trasfusione deve essere basata sull’attenta osservazione di:

  • volume di sangue perso;

  • ritmo del flusso di sanguinamento;

  • risposta clinica del paziente alle perdite e alla terapia di sostituzione;

  • sintomatologia significativa di un'inadeguata ossigenazione tissutale.

 

RICHIESTA DI SOSTITUZIONE IN ADULTI SOTTOPOSTI A INTERVENTI CHIRUGICI

 

Liquido perso

Liquido di sostituzione

Volume da infondere

 

Sangue

(oltre la quantità consentita)

Soluzioni cristalloidi

Soluzioni colloidi

Sangue

 3 volte il volume perso

 1 volta il volume perso

 1 volta il volume perso

Altri liquidi

Mantenimento bilancio

Perdite nelle cavità organiche

Perdite continue

Soluzioni cristalloidi

Soluzioni cristalloidi

Soluzioni cristalloidi/colloidi

  1,5 ml/kg/h

 5,0 ml/kg/h

 determinarne l’entità 

 Volume di rimpiazzo in un adulto = Perdite di sangue + altre perdite.

 

Bibliografia

 

  1. Welch HG, Meehan KR, Goodnough LT. Prudent strategies for elective red blood cell transfusion Ann Int Med 1992,116:393-402.

  2. Amer College Physicians. Practice strategies for elective red blood cell transfusion. Ann Int Med 1992; 116:403-406.

  3. Silberstein LE, Kruskall MS, Stehling LC, et al. Strategies for the review of transfusion practices. JAMA 1989;262:1993-1997.

  4. Petz LD. Red blood cell transfusion. Clinics in Oncology 1983;2:505

 

 Copyright© 1999/2005 - Francesco Angelo Zanolli - Ultimo aggiornamento in data 16/11/2005