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EMOCOMPONENTI LEUCODEPLETI
I leucociti
che contaminano i concentrati eritrocitari e piastrinici sono la
causa principale di alloimmunizzazione nei confronti di antigeni HLA
nei riceventi.
Un'alloimmunizzazione
può causare reazioni febbrili e refrattarietà alla trasfusione
piastrinica.
I
leucociti possono inoltre veicolare un'infezione da virus
citomegalico (CMV).
I progressi
tecnologici nella leucodeplezione dei componenti ematici cellulari
hanno reso possibile ridurre il numero di leucociti per trasfusione
a valori inferiori a 5 x 106.
Anche se
molti Paesi stanno percorrendo attualmente la strada di una
leucodeplezione totale dei concentrati eritrocitari e piastrinici,
non sono stati ancora smentiti gli studi che suggerivano che
la leucodeplezione andasse riservata soltanto a selezionate
categorie di pazienti quali i presunti riceventi di trasfusioni
"long-term" al fine di prevenire un'alloimmunizzazione nei confronti
degli antigeni leucocitari (o perlomeno ritardarla) e ridurre la
refrattarietà alle trasfusioni piastriniche o i pazienti che
presentino frequenti reazioni di tipo febbrile (1). I concentrati
leucodepleti sono infine sicuramente efficaci nel prevenire
l'infezione da CMV trasmessa con la trasfusione.
EMOCOMPONENTI IRRADIATI PER PREVENIRE LA GRAFT-VERSUS-HOST DISEASE
La
graft-versus-host disease associata a trasfusione (GvHD-ta) può
essere il risultato dell'aggressione di cellule staminali presenti
negli emocomponenti cellulari quali i concentrati eritrocitari e
piastrinici. I pazienti più a rischio sono quelli immunodepressi,
ma una GvHD-ta può svilupparsi anche in pazienti normalmente
immunocompetenti, particolarmente se il donatore è omozigote per un
aplotipo HLA per il quale il ricevente sia eterozigote (2). Questa
circostanza si avvera molto più frequentemente quando donatore e
ricevente siano imparentati che nel caso il donatore provenga dalla
popolazione generale.
Le principali
manifestazioni cliniche di GvHD-ta sono febbre, rash cutaneo
eritematoso, maculo-papulare e squamoso, diarrea, danno
epatocellulare con marcate anomalie dei test di funzionalità epatica
e pancitopenia (3). Una biopsia cutanea rivela anormalità
caratteristiche ma non diagnostiche. L'evidenza definitiva per la
diagnosi risiede nella dimostrazione di linfociti circolanti con un
tipo HLA differente da quello delle cellule dell'ospite.
In alcuni
casi l'aggressione da parte delle cellule del donatore è stata
documentata con l'analisi del DNA (2,3). La GvHD-ta presenta
un'incidenza più alta di pancitopenia severa con midollo ipoplastico
ed una mortalità più elevata (approssimativamente 85%) di quella
associata a trapianto di midollo osseo allogenico.
L'irradiazione degli emocomponenti si è dimostrata efficace nel
prevenire la GvHD-ta.
L'indicazione principale per l'irradiazione è data dalla necessità
di trasfondere pazienti immunodepressi; anche i pazienti che debbano
ricevere trasfusioni da parenti o concentrati piastrinici
HLA-compatibili dovrebbero ricevere emocomponenti irradiati (2).
Nelle
situazioni nelle quali siano stati segnalati solo occasionalmente
dei casi di GvHD-ta le
indicazioni possono variare a seconda delle esperienze e delle
direttive locali (4).
Le
situazioni a rischio per lo sviluppo di GvHD-ta sono
riportate nella tabella che segue.
Distribuzione del rischio di Graft versus Host Disease TA
(transfusion associated)
|
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Rischio ben definito:
|
Riceventi di
trapianto di midollo osseo
Immunodeficienze congenite
Trasfusioni
intrauterine
Trasfusioni
da parenti
Neonati
prematuri
Neonati
sottoposti ad exsanguinotrasfusione
Riceventi trasfusioni piastriniche
HLA-compatibilizzate
Morbo di
Hodgkin
|
Segnalazioni occasionali che documentano un qualche rischio |
Neoplasie
ematologiche diverse dal morbo di Hodgkin
Leucemia
acuta
Linfomi
non-Hodgkin
Riceventi di
trapianto d'organo
Tumori solidi
trattati con chemioterapia o radioterapia
Neuroblastoma
Glioblastoma
Rabdomiosarcoma
Sarcoma
immunoblastico
|
NOTE: Sorprendentemente, non si hanno segnalazioni di GvHD-ta in
pazienti con AIDS, quantunque siano certamente severamente immunocompromessi.
EMOCOMPONENTI PER PREVENIRE L'INFEZIONE DA CITOMEGALOVIRUS (CMV)
I pazienti con
immunodeficienza severa mai esposti in precedenza al CMV sono a
rischio per l'infezione da CMV trasmessa con la trasfusione. Questa
infezione può essere associata a una sostanziale morbilità e
mortalità. essa può essere evitata con lo screening dei donatori per
selezionare quelli sieronegativi per il CMV (5).
Anche la
leucodeplezione per filtrazione degli emocomponenti cellulari è in
grado di ridurre la trasmissione del CMV (6). Essendo poco
praticabili sia la via di fornire a tutti i riceventi prodotti
siero-negativi per il CMV a causa dell'elevata frequenza della
sieropositività per il CMV che la leucodeplezione globale per il
costo ancora molto elevato di tale procedura, molti autori
suggeriscono tuttora di riservare questi emocomponenti soltanto a
quelle categorie di pazienti che possano trarre realmente un
beneficio dal loro uso.
Di
seguito sono riportate le attuali indicazioni per la prevenzione
dell'infezione da CMV correlata a trasfusione.
Indicazioni per l'uso degli emocomponenti speciali
per
la prevenzione dell'infezione da CMV correlata a trasfusione |
|
Pazienti
per i quali l'indicazione è stabilita con certezza |
riceventi
CMV-sieronegativi di trapianto di midollo allogenico da donatore
CMV-sieronegativo
riceventi
CMV-sieronegativi di trapianto d'organo da donatore
CMV-sieronegativo
candidati
CMV-sieronegativi a trapianto di midollo allogenico
riceventi
CMV-sieronegativi con infezione da HIV
riceventi
CMV-sieronegativi in gravidanza
Neonati
prematuri di peso inferiore a 1200 grammi
|
Pazienti
per i quali l'indicazione è
meno ben
stabilita
|
riceventi
CMV-sieronegativi di trapianto di midollo
autologo
riceventi
CMV-sieronegativi
di trapianto di midollo o d'organo da donatore
CMV-sieropositivo
riceventi
CMV-sieronegativi da sottoporre a splenectomia
|
Pazienti
per i quali l'indicazione non è chiara |
riceventi
CMV-sieropositivi
di
trapianto di midollo o d'organo
Neonati di
peso superiore a 1200 grammi
|
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ALBUMINA
Le
indicazioni per l'uso dell'albumina sono controverse. Aldilà del
rischio infettivologico, della cui esistenza non vi è alcuna
dimostrazione, a condizionarne l'uso è soprattutto la considerazione
che le soluzioni colloidi e cristalloidi, che ne costituiscono la
valida alternativa perlomeno quando si tratti di riequilibrare il
volume (1), sono molto
meno costose.
In ogni caso,
l'uso dell'albumina sembrerebbe comunque più indicato a tal fine nei
pazienti più anziani, che non sembrano ben tollerare i cospicui
volumi di soluzioni alternative necessari per la rianimazione.
L'albumina si è
dimostrata migliore anche nel prevenire complicanze acute quali l'iponatremia
e lo squilibrio renale associato con la paracentesi e, in
combinazione con la terapia diuretica, in pazienti con edemi
secondari a sindrome nefrosica, quando i diuretici da soli
siano insufficienti.
L'albumina viene
spesso utilizzata in pazienti con ustioni ma studi prospettici e
randomizzati non hanno finora dimostrato alcun beneficio definito.
Nessun beneficio è infine stato dimostrato per l'uso dell'albumina
quale supplemento nutrizionale aggiunto alla nutrizione parenterale (1).
IMMUNOGLOBULINE
PER VIA ENDOVENOSA (IgEV)
I benefici
della terapia con immunoglobuline per via endovenosa (IgEV) sono
descritti in un'oramai vasta letteratura, frequentemente costituita
tuttavia da osservazioni anedottiche
(2-7).
La
tabella che segue tenta una classificazione ragionata delle
condizioni in cui tale approccio terapeutico viene o è stato
utilizzato.
Indicazioni per l'uso delle immunoglobuline oer via endovenosa (IgEV) |
|
Indicazioni ben documentate |
-
Immunodeficienze congenite
-
Porpora
trombocitopenica idiopatica (PTI), soprattutto infantile
-
Sindrome di
Kawasaki
-
Sindrome di Guillain-Barrè
(4)
-
Trapianto di
midollo allogenico (5)
|
Malattie
nelle quali alcuni studi suggeriscono che le IgEv potrebbero
essere indicate |
-
Gravidanza
complicata da trombocitopenia alloimmune neonatale (3)
-
Leucemia
linfatica cronica con ipogammaglobulinemia e infezioni
batteriche recidivanti
(9,12)
-
Profilassi
infezioni batteriche recidivanti in bambini con AIDS (3,17)
-
Myasthenia
gravis (in associazione con altri presidi terapeutici) (8)
-
Inibitori dei fattori VIII
e IX (in
associazione con altri presidi terapeutici) (8)
-
Porpora
post-trasfusionale (PPT) (10)
-
Polineuropatie croniche infiammatorie demielinizzanti in bambini
troppo piccoli per poter essere sottoposti a plasma-exchange (10)
|
Malattie
per le quali esistono studi che suggeriscono l'utilità delle
IgEv, ma per le quali i dati a favore sono scarsi (3) |
-
Anemia emolitica
autoimmune
-
Neutropenia autoimmune
-
Difetto
isolato della linea eritroide (Pure red cell
aplasia)
-
Alloimmunizzazione
dopo trasfusione piastrinica
-
Sclerosi
multipla
-
Lupus
eritematosus sistemicus (LES)
-
Polimiosite e
sindrome di Sjoegren
-
Artrite reumatoide
-
Diabete
mellito insulino-dipendente
-
Malattie
oculari legate a disfunzioni tiroidee
-
Uveite
-
Pemfigoide
bolloso
-
Artrite reumatoide
giovanile
-
Morbo di
Crohn
-
Neonati di
basso peso alla nascita a rischio di infezioni
|
I principali
svantaggi delle IgEV sono frequenti, anche se non severi, effetti
collaterali e l'elevato costo. Raramente, tra gli effetti
collaterali, è da annoverare un'emolisi dovuta alla presenza di
anticorpi anti-eritrocitari nei preparati (8,9).
IMMUNOGLOBULINE ANTI-Rh
Le
immunoglobulina anti-Rh sono una soluzione concentrata di IgG anti-D
derivate da plasma umano.
Una dose di 1
mL è sufficiente a contrastare gli effetti immunizzanti di 15 mL di
eritrociti Rh-positivi.
La loro
preparazione è stata inizialmente motivata dalla necessità di
prevenire l'immunizzazione in donne Rh-negative e, in tal modo,
prevenire la malattia emolitica neonatale (MEN) da anti-D (10).
Le
RhIG vengono
in genere somministrate a donne Rh-negative verso la 28a-30a settimana di gestazione
ed entro 72 ore dalla nascita del bambino, a meno che non sia
Rh-negativo. Le RhIG sono anche indicate dopo un aborto, una
gravidanza ectopica, un'amniocentesi, un prelievo di villi coriali,
un'emorragia pre-partum o una morte fetale. Qualora la gravidanza in
una donna Rh-negativa termini prima della 13a settimana di gestazione,
una dose anche piccola (mini-dose) è sufficiente a coprire dai
rischi derivanti dallo sviluppo del feto nel primo trimestre.
La terapia
con RhIG dovrebbe essere presa in considerazione anche in giovani
donne o bambine Rh-negative esposte ad eritrociti Rh-positivi a
causa di trasfusioni (ad esempio di concentrati piastrinici).
La dose va in tal
caso stimata sulla quantità di eritrociti presenti nell'emocomponente
trasfuso.
L'infusione deve essere fatta quanto prima dopo
l'evento trasfusionale e deve essere protratta nell'arco di vari
giorni, in caso di dosi elevate di eritrociti incompatibili
trasfusi.
Relativamente
di recente, è stata segnalata l'efficacia RhIG nel trattamento di
pazienti con PTI cronica, sia in età adulta che bambini (11-13) e
nella PTI correlata ad infezione da HIV (11,13,14).
E' stato
segnalato che non si ha invece alcun effetto in pazienti Rh-negativi (11,13).
Attualmente è
stata approvata dalla FDA statunitense una formulazione endovenosa
di immunoglobuline anti-D sia per il trattamento della PTI che per
la prevenzione dell'immunizzazione Rh in giovani donne Rh-negative.
Tra gli
effetti
sfavorevoli della terapia con RhIG deve essere segnalato un calo
dell'emoglobina con reticolocitosi di accompagnamento; è stata
inoltre segnalata la comparsa in rari casi di un quadro importante
di anemia emolitica su base immune (15).
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