Test
di laboratorio sulle unità prelevate ai fini trasfusionali
Le unità
di sangue e/o emocomponenti raccolte ai fini trasfusionali sono
sottoposte a vari test di laboratorio, con il duplice fine di
stabilire da un lato la sicurezza d'uso, dall'altro il reale stato
di benessere del donatore.
La
regolamentazione di questa attività è raccolta nel titolo III del
decreto 26 gennaio 2001, che stabilisce che ad ogni donazione il
donatore deve essere obbligatoriamente sottoposto agli esami di
laboratorio volti ad escluderne la positività agli indicatori delle
malattie trasmissibili e a individuarne le principali
caratteristiche immunoematologiche. In particolare, il Decreto
suddivide in due serie gli esami che devono essere effettuati.
A)
Esami per la validazione biologica.
Ad ogni donazione
il donatore deve essere sottoposto ai seguenti esami:
-
emocromo completo;
-
ALT con metodo ottimizzato;
-
sierodiagnosi per la lue;
-
HIV Ab 1-2;
-
HBsAg;
-
HCV Ab;
-
ricerca di costituenti virali dell'HCV.
...
Alla I^ donazione
il donatore deve essere sottoposto ai seguenti controlli immunoematologici:
-
1.
determinazione AB0, test diretto e indiretto;
-
2.
determinazione del fenotipo Rh completo;
-
3.
determinazione delle caratteristiche Kell;
-
4.
ricerca degli anticorpi irregolari anti-eritrocitari.
Su ogni unità
raccolta successivamente debbono essere confermati il gruppo AB0 e Rh nonché, in
caso di stimolazione immunologica del donatore, la ricerca di anticorpi
irregolari.
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Nota: |
Nonostante le probabilità che un donatore si immunizzi in assenza di
fattori stimolanti quali gravidanze o trasfusioni siano estremamente
ridotte, la maggior parte delle disposizioni tecniche stabilisce che
uno screening anticorpale sia effettuato routinariamente su tutte le
unità donate. Qualora vengano identificati degli anticorpi, il
plasma estratto dall'unità dovrà essere invariabilmente inviato al
frazionamento industriale.
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Le indagini
debbono essere effettuate con tecnica idonea e nel rispetto delle correnti leges
artis (GLP) e, per ogni procedura immunoematologica, deve essere assicurato un
accurato programma di controllo di qualità.
Ogni anno il
donatore periodico viene sottoposto, oltre che agli esami di cui sopra, ad esami
finalizzati alla valutazione dello stato generale di salute: i relativi
risultati vanno annotati nella cartella sanitaria del donatore.
B) Esami per il
donatore periodico
Il donatore
periodico, oltre agli esami indicati al precedente punto A, ogni anno deve
essere sottoposto ai seguenti esami:
-
creatininemia;
-
glicemia;
-
proteinemia;
-
sideremia;
-
colesterolemia;
-
trigliceridemia;
-
ferritinemia.
I risultati delle
indagini vengono riportati nella cartella sanitaria del donatore.
Attualmente la Raccomandazione del Consiglio d'Europa 390/97, cui
ha fatto seguito in Italia la circolare 30 ottobre 2000 n. 17, hanno introdotto
i test di biologia molecolare nello screening delle unità di sangue.
Tra questi test si annoverano le tecniche di amplificazione
genomica o degli acidi nucleici (GAT/NAT) e, in particolare, la reazione
polimerasica a catena (Polymerase Chain Reaction - PCR).
TESTS PER
PREVENIRE LA TRASMISSIONE DI MALATTIE INFETTIVE
Le unità risultate ripetutamente
positive ai tests di screening non possono essere utilizzate a scopo
trasfusionale.
I donatori con tests alterati in
maniera clinicamente significativa devono esserne personalmente e
confidenzialmente informati prima di essere esclusi dalle donazioni.
Test sierologici per la sifilide
La sifilide può essere trasmessa con
una trasfusione di sangue prelevato ad un donatore
in fase di spirochetemia, solo se trasfuso fresco (entro 24
ore dalla raccolta).
La maggior parte dei contagi riportati in
letteratura si sono infatti verificati all’epoca delle trasfusioni dirette; attualmente la
trasmissione è
possibile soltanto per gli emocomponenti a breve conservazione, soprattutto se conservati a
temperatura ambiente (ad esempio i concentrati piastrinici). Questi
test sono comunque considerati utili anche per rivelare
comportamenti sessuali a rischio, talora taciuti dai donatori al
momento della selezione.
La diagnosi sierologica si basa su
due tipi di anticorpi, non specifici (reagine) e specifici (anti-treponemici).
I test attualmente più utilizzati sono:
-
VDRL (Veneral Disease Research Laboratory):
test di microflocculazione non specifico che rileva gli anticorpi anti-cardiolipina, sostanza contenuta nei mitocondri e liberata nel corso della
infezione luetica, ma anche nel corso di altre situazioni cliniche (LES); può
dare risultati falsamente positivi; il
test è in ogni modo dotato di buona sensibilità (100% nello stadio secondario).
Nel caso di sieri non diluiti ad alto titolo anticorpale, il fenomeno di prozona
può far risultare falsamente negativa la reazione. Esiste infine una variante di
questo test, la RPR (Rapid Plasma Reagin) a lettura finale facilitata dalla
presenza di particelle di carbone legate all’antigene.
-
TPHA (Treponema Pallidum Haemoagglutination
Assay): test di emoagglutinazione passiva specifico anti-treponema,
in quanto utilizza emazie di montone
o aviarie con adsorbito l’antigene treponemico da estratto di Treponema pallidum
ceppo Nichols,
si positivizza già dopo circa 20 giorni dal contagio; può dare
anch'esso risultati falsamente
positivi in caso di mononucleosi o malattie autoimmuni;
-
Test immunoenzimatici: introdotti relativamente di
recente, i test
immunoenzimatici (EIA) per la ricerca degli anticorpi sia di classe IgM che IgG
presentano un'elevata sensibilità (più
alta di qualsiasi altro test singolo nel rilevare l’infezione primaria non
trattata)
ed il pregio di essere facilmente automatizzabili;
a fronte di questi vantaggi, sono ancora più costosi rispetto ai test
tradizionali.
Per la conferma dell'infezione luetica viene
utilizzato il
test FTA-Abs (Fluorescent Treponemal Antibody – Absorption test) che
si positivizza molto precocemente e tende a persistere per anni e
talora per tutta la vita.
Ricerca dell'antigene di superficie del virus B
dell'epatite (HBsAg)
Il test per la determinazione del virus di
superficie dell’epatite B è stato reso obbligatorio nel 1978. A partire da tale
anno, si è via via passati dai test al lattice degli anni '70 ai RIA
ed agli ELISA degli anni '80-'90, per arrivare alle più recenti tecniche in chemiluminescenza
e chemiluminescenza potenziata.
Ciò nonostante il rischio per l’epatite B è ancora più
alto rispetto sia a quello dell’epatite C che dell’infezione da HIV a causa di
alcune peculiarità dell'HBV.
Il limite di sensibilità per le particelle di
HbsAg dei reagenti attualmente in uso nei laboratori di screening, seppur molto
basso (in alcuni kit inferiore a 0,1 PEI U/mL), a volte non riesce a svelare antigenemie molto
ridotte; in altri casi la contemporanea presenza dell’anticorpo anti-Hbs innalza la soglia di sensibilità mancando di svelare
concentrazioni estremamente basse dell’HbsAg.
Talora, infine, la negatività del risultato del test
è dovuta alla presenza di una mutazione dell’epitopo “a“ dell’antigene di
superficie: alcune varianti dell’epitopo “a“ reagiscono solamente con anticorpi
policlonali, per cui l’utilizzo nei kit di screening di anticorpi monoclonali,
di solito preferiti perché aumentano la sensibilità e la specificità del test,
espone al rischio di non rilevare la presenza di questi virus mutanti.
Nell’epatite B, come nell’ infezione da HIV,
almeno il 90% del rischio di trasmissione della malattia con la trasfusione è
imputabile alla donazione effettuata nella fase finestra, nella quale solo il
DNA virale è dosabile, attualmente calcolata in 59 giorni.
Anticorpi contro il "core" del
virus B dell'epatite (Anti-HBc)
L'utilità della determinazione
dell'anti-core (test non obbligatorio) rappresenta un terreno sul
quale si sono avverate moltissime diatribe. Introdotto nel 1986 e
considerato inizialmente un marcatore surrogato dell'epatite allora
definita "non A non B", è stato licenziato dalla FDA americana
esclusivamente come un ulteriore test atto a ridurre la trasmissione
dell'epatite B.
La sua specificità è tuttavia
relativamente ridotta.
Anticorpi contro il virus C
dell'epatite (Anti-HCV)
Il test sierologico per la ricerca degli anticorpi
è stato reso obbligatorio in Italia nel luglio 1990. Da allora, con l’introduzione dei test
immunoenzimatici di I^ e II^ generazione, il tasso di incidenza in Italia
dell’epatite C postrasfusionale è progressivamente diminuito ed oggi, grazie al
test di III^ generazione, è stimato essere di 1:620.754.
Il periodo finestra è stato calcolato in circa 66 giorni ed è ai prelievi effettuati ai
donatori in questo periodo che si deve attribuire il persistere della
trasmissione dell’infezione: per questo motivo si sono concentrati gli sforzi
dei ricercatori per produrre nuovi test di screening basati sulla ricerca del genoma virale nel sangue dei donatori.
La ricerca con metodo immunoenzimatico dell’antigene core (HCV Ag) ha permesso di ridurre il periodo finestra di 48 giorni,
con una rilevazione della positività per l’HCV Ag in media di soli 2 giorni dopo
il riscontro con il rispettivo test di amplificazione degli acidi nucleici.
Dalla fine di giugno 2002 è infine diventata
obbligatoria in Italia la ricerca dei costituenti virali dell’HCV, mediante
tecnica di amplificazione genica (NAT). Attualmente due sono i kit di screening per
l’esecuzione del test, che può essere eseguito su singolo campione o su pool di
campioni.
Alanina Aminotransferasi (ALT)
Il dosaggio dell’alanina
aminotrasferasi, rappresenta un altro dei cosiddetti
“test surrogati“, termine con il quale si indicano quegli esami non specifici la cui positività
può far sospettare la presenza di patologie specifiche.
Inizialmente l’impiego dell’ALT è stato
quello di test
surrogato per l’epatite "non A, non B"; in seguito, questa determinazione è
stata mantenuta in tutti i paesi
europei anche dopo l’introduzione del test specifico per l’epatite C in considerazione del suo basso costo e del suo accettabile valore
predittivo, aumentando l’ALT prima della siero-conversione per HCV.
Anticorpi anti-HIV 1/2 (Anti-HIV)
Il rischio di trasmissione dell’infezione da HIV si è
drasticamente ridotto a partire dal 1985, con l’introduzione del test di
screening basato sulla ricerca dell’anticorpo.
Attualmente tale rischio viene mediamente stimato intorno a 1:600.000.
Il metodo standard di screening, introdotto in
Italia come
test di legge nel luglio 1988, si basa sulla ricerca degli
anticorpi anti-HIV 1-2 con metodo immunoenzimatico.
Il metodo ha attualmente una sensibilità superiore
al 95% ed una specificità pari al 95%: falsi positivi possono verificarsi per
reazioni crociate verso antigeni di istocompatibilità o autoanticorpi (cfr.
vaccini antiinfluenzali).
Come test di conferma viene utilizzato il
Western Blot, test ad alta specificità e sensibilità (pari al 99,9%), rivolto ad
identificare tutti gli anticorpi diretti contro gli antigeni virali delle
diverse regioni (gag, pol, env).
Risultati falsamente negativi sono limitati al
“periodo finestra" (attualmente calcolato in 22 giorni), mentre la positività per una sola proteina caratterizza i
test “indeterminati".
Antigene HIV-1
p24 e PCR
La determinazione dell’antigene p24 (obbligatorio
dal marzo 1996 negli Stati Uniti), riduce il periodo finestra di circa 6 giorni mentre le
tecniche di amplificazione genica sono in grado di ridurlo di 11 giorni.
La discussione sull’introduzione di questi ultimi
test nello screening dei donatori è accentrata sul rapporto costo/beneficio, dal
momento che i dati epidemiologici dei Paesi che li utilizzano non sono cambiati
significativamente dopo la loro introduzione.
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