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Sicurezza

 

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Leucodeplezione
Decontaminazione
Inattivazione

 

La trasmissione di malattie infettive attraverso il sangue ed i suoi derivati può essere oggigiorno molto ridotta mediante l'adozione di adeguate misure preventive; tra queste, appaiono fondamentali quelle considerate nella tabella che segue.

 

Misure di sicurezza trasfusionale
 

livello di azione

  tipo di intervento

 

pazienti

  • valutazione delle reali necessità trasfusionali.

  • valutazione della praticabilità di soluzioni alternative.

donatori

  • ricorso a donatori periodici.

  • informazione ai fini dell'autoesclusione.

  • miglioramento dei questionari e della selezione dei donatori.

unità trasfusionali,

emocomponenti ed emoderivati

 

  • ricorso a screening sierologici per le infezioni trasmissibili.

  • uso di più marcatori per lo stesso agente (es. anti-HIV e HIV Ag; HbsAg e anti-HBc).

  • miglioramento delle performance ed evoluzione continua dei test; aumento del controllo dei processi (reagenti che cambiano colore, controlli statistici di processo); uso di standard di lavoro o campioni di controllo; controllo e monitoraggio delle prestazioni dei test; uso di kit validati.

  • rilevazione di acido nucleico virale o batterico (metodologia NAT).

  • uso concomitante di saggi biochimici (ALT, etc.)

  • .
  • diffusione di automazione ed informatizzazione.

  • leucodeplezione degli emocomponenti.

  • decontaminazione degli emocomponenti.

  • inattivazione virale dei prodotti di frazionamento del plasma.

 

Una corretta diagnosi delle situazioni che realmente necessitano di terapia trasfusionale riveste un'importanza preliminare, dal momento che condiziona un uso di sangue, emocomponenti ed emoderivati limitato a casi di effettiva necessità, valutati in base a criteri certi e consolidati.

Un attento studio del paziente permette inoltre di favorire il massimo ricorso alle varie alternative possibili.

Per quanto riguarda la sicurezza della "materia prima" sono di fondamentale importanza un'attenta selezione ed un accurato screening dei donatori, che si basano su criteri che possono essere definiti "passivi" ed "attivi".

Un criterio "passivo" (non richiedendo l'intervento del personale che opera nei Servizi Trasfusionali) è l'autoesclusione, che si basa su una capillare diffusione delle informazioni riguardanti le modalità di trasmissione delle infezioni connesse alla trasfusione. In base a tale criterio il candidato donatore è invitato ad astenersi di sua spontanea volontà dal donare qualora ritenga di avere praticato comportamenti a rischio.

La selezione dei donatori rappresenta invece un intervento "attivo", richiedendo una partecipazione diretta dei medici dei Servizi Trasfusionali. Essa inizia infatti con un'accurata anamnesi (che deve essere basata soprattutto sull'indagine relativa alle modalità di trasmissione degli agenti infettivi) che, da sola, può consentire di escludere un certo numero di soggetti a rischio. In questa ottica si inserisce anche il ricorso preferenziale a donatori periodici, accuratamente controllati e selezionati. 

Lo screening delle donazioni rappresenta anch'esso un intervento "attivo". I test per l'identificazione dei marcatori di infezione e il loro continuo aggiornamento sono infatti un mezzo validissimo di selezione. Negli ultimi anni le possibilità diagnostiche in questo campo si sono continuamente arricchite di nuove metodologie sempre più sensibili, quali il recente impiego delle sonde di acidi nucleici per la diagnostica virologica, permettendo di ridurre sempre più il rischio dovuto all'uso di unità di sangue o plasma provenienti da donatori sieronegativi perché ancora nella cosiddetta "fase finestra". 

Capitoli a sé stanti sono rappresentati dalla leucodeplezione delle unità di sangue e dalle misure di decontaminazione degli emocomponenti ed inattivazione virale.

Nonostante l’eliminazione dei microrganismi intracellulari mediante la filtrazione prima della conservazione e la riduzione della "finestra diagnostica" con lo screening mediante NAT, gli emocomponenti cellulari mantengono ancora un sia pur sempre più ridotto rischio infettivo: l’HIV ed i virus epatitici possono essere trasmessi con il plasma o i leucociti e il CMV o l'HTLV-I possono essere presenti nei leucociti degli emocomponenti labili. Inoltre, le piastrine hanno la capacità di inglobare notevoli quantità di HIV ed i globuli rossi possono legare, tramite i determinanti antigenici P, il parvovirus B19 e, anche se il ruolo di queste cellule nella trasmissione dei virus non è stato chiaramente dimostrato, è difficile non tenere conto di tale possibilità nel trasfonderle.

La non completa eliminazione del rischio trasfusionale ha stimolato anche la ricerca di metodi di inattivazione virale applicabili alla singola donazione di sangue. La scelta di tali metodi è stata tuttavia sempre molto limitata dall'azione denaturante della maggior parte delle tecniche conosciute.

Per quanto riguarda le procedure di inattivazione virale nei concentrati commerciali, i primi studi sono stati effettuati all'inizio degli anni '80 con lo scopo di ridurre il rischio dell'infezione da HBV e dell'epatite allora detta nonA nonB.

L'instaurare sempre nuove metodiche di inattivazione non può essere comunque ritenuto un problema disgiunto da quello del controllo del sangue e, soprattutto se si tiene conto che durante il frazionamento i virus si concentrano in alcune frazioni, è necessario porre particolare cura nel controllo a livello del singolo donatore, in quanto la mescolanza del plasma di migliaia di individui può portare il tasso di antigenemia al di sotto della soglia di sensibilità del test di screening.  

Nella storia della sicurezza trasfusionale, una tappa fondamentale è stata il 1985 in quanto in questo anno sono comparsi i test per la ricerca dell'HIV sulle unità di sangue e plasma ed è stato introdotto il trattamento al calore dei plasmaderivati (albumina, gammaglobuline, fattori della coagulazione).

Con l'introduzione delle procedure di inattivazione virale al calore umido, il rischio di trasmissione dell'epatite C è diminuito del 50% mentre si è attestato su valori sostanzialmente più bassi il rischio dell'epatite B.

Il resto è storia più recente e merita una trattazione più approfondita.

 

 Copyright© 1999/2005 - Francesco Angelo Zanolli - Ultimo aggiornamento in data 16/11/2005