Sick
Non sto bene. Non sto
bene da tre giorni.
Lunedì avevo tosse e non
potevo girare gli occhi; martedì è andato a posto l’occhio destro e oggi il
sinistro; pertanto la mia breve influenza è già finita, sennonché… mi viene in mente di controllare la
temperatura e leggo 39°, proprio oggi che mi sento bene, così bene che sono
stato fuori tutto il giorno e non mi sento neppure stanco, pur senza aver mangiato
da tre giorni.
Adesso ho paura. Non
avrò un malanno strano che mi consuma internamente senza sintomi? e poi, tutto
d’un tratto, paff, stramazzo ed è finita?
Gli amici fanno il loro
mestiere.
Chiamano sempre più
numerosi e mi tengono in piedi al telefono per ore, nell’ingresso tra gli
spifferi, con addosso una coperta che tiene freddo. Mi dicono cosa fare: fa
questo, non fare quello, non uscire senza ombrello. Io protesto debolmente: da
quando esiste, l’influenza trascurata sparisce in sette giorni, mentre, curata
al meglio, dura una settimana.
Gli amici fanno il loro
mestiere.
“Chiedo subito a Mirella
di far bollire un pollo intero e te lo mando col mototaxi”. E io a protestare
sempre più debolmente. Vorrei vedere loro, in pantofole, in strada, alla nove
di sera, nella nebbia, con la coperta che tiene freddo, ad aspettare la
zuppiera!
Gli amici fanno il loro
mestiere.
Non sempre capiscono. Se
capissero, sarebbero ancora amici?
Per evitare di passare altre
ore discutendo al telefono, prometto di andare dal medico.
I medici a me non
piacciono. Per me, sono parassiti dell'umanità. Per me, molti di loro non hanno
né arte né parte.
A me piacciono i
meccanici e i chirurghi: un pezzo non funziona? Via! E sei come nuovo. Mi
piacciono anche gli ortopedici: la gamba è rotta? Una bella colata di gesso,
plaf, e dopo venti giorni sei come nuovo.
Apprezzo molto anche i
veterinari. “Questa mucca è pazza”. Pam, una schioppettata, e la sistemano,
senza neanche sentire le sue ragioni. D’altra parte, che ragioni può addurre
una mucca, per giunta pazza?
Ma i medici generici,
quelli no, non li sopporto.
Non sanno mai cosa fare
di preciso, e la prognosi è sempre riservata.
Il medico generico odia
i pazienti che leggono l’inserto medico del “Corriere” e mostrano di saperne
più di lui. Non capisce neppure che anche lui potrebbe leggerlo; non può
capire; se per fare il medico ci volesse intelligenza, i medici non sarebbero
più numerosi dei malati di Alzheimer.
Avrete già sospettato
che la mia opinione sui medici deriva da brutti ricordi d’infanzia.
Da piccolo abitavo sopra
uno studio e ricordo i malati che bivaccavano sulle scale a tutte le ore:
urlavano come anime del Purgatorio.
Quelli dei gradini più
alti erano in preda al vomito e alla dissenteria, con effetti devastanti su
quelli dei gradini bassi, ma questi non volevano, non potevano perdere il loro
posto.
Ricordo di mattina il
portinaio che, con l’idrante e il forcone, rimuoveva i liquami e le bende dei
lebbrosi brontolando se po minga andà
avanti inscì.
Ogni tanto arrivava
un’ambulanza e trascinavano per i piedi quelli che non ce l’avevano fatta…
Ricordo il medico,
quando finalmente arrivava due ore dopo l’orario di chiusura ufficiale,
scavalcando corpi esanimi: “Oggi niente visite! Solo ricette. Chi vuole una
visita torni quando gli pare”.
E, chi poteva, docile,
tornava, anche più di una volta.
Oggi, con la promessa
fatta agli amici, ho deciso di andarci, e ci andrò ad ogni costo.
Certo, non bivaccherò
sulle scale e, se sarò l’ultimo, non mi siederò sui divani di plastica lurida.
Nossignore, andrò sul balcone e aspetterò il mio momento, in piedi, nel vento.
E non chiederò: chi è l’ultimo? Chi
mai al mondo ammetterebbe di essere ultimo?
Al mio turno mi dirigerò
verso il medico, che avrà minimo settant’anni, la barba giallastra rigata dal
colaticcio di pipa, e quella maledetta proboscide che è solito tenere nelle
orecchie, quella con la placca ghiacciata da passare sulla schiena e sulla
pancia.
Ci sono. Sono il primo!
Sbircio appena nel saloncino dai divani luridoplasticati immersi nell’aria
greve, fatta di tenebre, gonfia di odori.
Un trentacinquenne con
la proboscide nelle orecchie m’invita ad accomodarmi direttamente nello studio
tappezzato di giallo e viola.
L’arredamento mi fa
pensare a una discarica bombardata.
La poltrona con le zampe
di leone sembra davvero un leone; giurerei che si è mossa per mordermi un
piede. Non voglio sedermi.
“Buonasera. Mi lasci
indovinare: lei ha l’influenza di quest’anno, con tosse e febbre a 39°. Non è
grave e non c’è nulla da fare. Tre giorni fa avrei fatto finta di prescriverLe
uno sciroppo inutile e qualche pastiglia di Ruminol, ma ormai…”.
Sono spiazzato. Gli
racconto che ho paura e vorrei che mi facesse un po’ di 33 sulla schiena,
almeno per escludere la polmonite.
Il dannato sghignazza: “L’ultimo che ho visto con la polmonite non
riusciva neppure a sedersi nel letto. Sono anni che non si fa più 33. Oggi si
ausculta! Con questo”.
Ecco come fanno: lo tengono
sempre nel ghiaccio secco, in un bicchiere, sotto il tavolo!
Drin…Drinn… Adesso cosa succede? Perché non risponde al telefono?
Drin…Drinn… Cosa sta facendo? Perché non si muove più?
Drin…Drinn… Mi sembra che sfumi nella tappezzeria gialla e viola.
Drin…Drinn… Il leone si avvicina al mio piede.
Drin…Drinn… Ho paura, cerco di uscire e non riesco¼
Drin…Drinn… Mi sembra di sognare. Mi sembra di sognare. Mi sembra di sognare.
Ho sognato.
Aspettando l’ora della
visita mi sono accomodato in poltrona, col timer del forno acceso per
sicurezza; e ho fatto bene. Ora vado.
Sono il primo. Un medico
trentacinquenne con la proboscide nelle orecchie mi invita ad accomodarmi
direttamente nello studio.
“Buonasera. Mi lasci
indovinare: lei ha l’influenza di quest’anno, con tosse e febbre a 39°. Non è
grave e non c’è nulla da fare. Tre giorni fa avrei fatto finta di prescriverLe
uno sciroppo inutile e qualche pastiglia di Ruminol, ma ormai…”.
Torno a casa con le idee
confuse.
Drin…Drinn… Adesso cosa
succede? Stavolta è davvero il telefono.
Pronto. Pronto. Ah. È
lei, segretario. Certo che mi ricordo della conferenza di domani. Come dice? È
stasera?
Ma io non sto bene… l’influenza… il medico… Ho dormito
ventiquattr’ore difilato…Dice che non
si può rimandare? Va bene, terrò la conferenza. Ma la avverto che potrei morire
in sala e la conferenza sarebbe davvero memorabile.
L’arte della
medicina consiste nel divertire il paziente
mentre la natura cura la malattia.