Gaffe infinita
L’inferno
è molto simile a Londra: una città
popolosa e fumosa.
Perché non mi spieghi, col tuo sottile modo di ragionare,
come mai un Dio animato da infinita carità e infinita giustizia si permette di spedire
all’inferno quelli che non si sono comportati secondo i suoi voleri?
Se vogliamo parlare
dell’inferno, dobbiamo fare prima un passo indietro. Perché Dio dovrebbe
spedirmi all’inferno? Perché non ho agito secondo le sue leggi?
Questo è di per sé discutibile,
perché un Dio che impone delle leggi implica un Dio che ha dei piani, degli
obiettivi da raggiungere.
Ora, se Dio è perfetto e
immutabile nella sue perfezione, come può esistere o essere esistito un Dio che
non ha ancora raggiunto i Suoi scopi? Dobbiamo pensare che sia meno felice o
addirittura ansioso o di malumore per questo? Suvvia, è ridicolo, è un
antropomorfismo puerile.
Sorge qui anche la
questione se Dio abbia il diritto di giudicarmi ed eventualmente punirmi
(perché l’inferno è una punizione, no?).
Tu parli di un Dio
animato da carità infinita e giustizia infinita. Ma i due concetti sono
incompatibili: la giustizia infinita vorrebbe la punizione (magari infinita)
del reo, mentre la carità infinita concederebbe il perdono.
Stai dicendo che, i teologi, nell’ansia di attribuire a
Dio le virtù in massimo grado non si sarebbero accorti che queste possono
risultare fra loro incompatibili.
Non ho una soluzione per
questo e forse non esiste o non può esistere. Posso solo intuire che se si parla
di carità e giustizia umane, e quindi finite, si può trovare un compromesso,
mentre se si parla di carità e giustizia divine, e quindi infinite, il concetto
di compromesso non può più sussistere.
Probabilmente si tratta
di uno di quei paradossi che si presentano quando si tenta di estendere a enti
infiniti le proprietà degli enti finiti.
Faccio un esempio di
natura matematica. Prendiamo un insieme di numeri finito, i numeri compresi tra
1 e 10. I numeri compresi tra 3 e 7 sono una parte di quell’insieme e di
grandezza inferiore. Si suole infatti dire che “la parte è minore del tutto”.
Se però prendiamo
l’insieme infinito di tutti i numeri, vediamo che è composto dall’insieme di
tutti i numeri pari e dall’insieme di tutti i numeri dispari, insiemi entrambi
infiniti.
In questo caso non si
può dire che “la parte è minore del tutto”. Questo enigma, che affliggeva già
Galileo, si supera nella matematica moderna ribaltando il ragionamento e
affermando che sono finiti quegli insiemi per i quali vale la proprietà che “la
parte è minore del tutto” e infiniti tutti gli altri. Si riconosce pertanto che
le proprietà del finito non sono applicabili all’infinito.
Nel caso in esame, si
suole oggi dire che “l’infinito dell’insieme dei numeri pari ha la stessa
potenza dell’infinito di tutti i numeri”.
Si usa anche definire
infiniti gli insiemi per i quali non vale la relazione “una parte è minore del
tutto”.
Per ora mi sembra solo un gioco di parole.
Può sembrare un gioco di
parole, ma per meglio capire occorrerebbe addentrarsi nelle teorie del
transfinito escogitate da Georg Cantor.
Per ora basta dire che
secondo questa teoria gli insiemi infiniti sono la regola mentre gli insiemi
finiti sono un’eccezione, una minoranza letteralmente infinitesima!
Questo è il famoso paradiso di Cantor. Ma ora torniamo
all’inferno.
Sì, cerchiamo di
definire bene in cosa consiste. È oramai chiaro che l’idea del fuoco eterno è
superata, è una metafora di sapore medioevale.
Alcuni papi si sono
autorevolmente espressi sull’argomento affermando che l’inferno consiste
sostanzialmente nella pena derivante dalla consapevolezza di avere preclusa per
sempre la visione di Dio.
Il cinico potrebbe dire: bella pena! Dio non lo vedo, e
non lo vede nessuno, neppure adesso, in questa vita e in questo mondo, e non
conosco nessuno, neppure tra i più ferventi, che si disperi per questo. Devo
quindi concludere che lo stato d’animo che si prova all’inferno sarebbe simile
a quello che provo io adesso?
Il ragionamento del cinico
sembra difficilmente superabile. Occorre introdurre altri elementi.
Intanto, nessuno al
mondo si dispera realmente per non godere della visione di Dio per un motivo
che, detto con parole in uso oggi, non appare politically correct: secondo me
nessuno, dico nessuno (forse con l’eccezione di san Francesco) è così convinto
dell’esistenza di Dio da considerare dolorosa la mancanza della Sua visione.
Attenzione: non sto
dicendo che non esistano uomini di fede sincera e profonda; sto dicendo che
trattandosi appunto di argomenti di fede, il livello di convinzione è
necessariamente differente da quello che nascerebbe da un’evidenza logica.
In altre parole, nessuno
è autorizzato a dire: non credo nel teorema di Pitagora. Chiunque lo affermasse
sarebbe considerato un minus habens.
Il teorema è lì. Chi
vuole può studiarlo e dimostrarlo anche per conto proprio. A questo punto la
sua convinzione diventa assoluta in quanto risulta un fatto di necessità
logica.
Invece, nessuno è
giudicato pazzo o minorato se esprime il suo dubbio sull’esistenza di Dio, per
il semplice motivo che non ne è mai stata data, e non è possibile darne, una
dimostrazione assoluta.
Per inciso, pochi anni fa è stato pubblicato un grosso
libro intitolato appunto esiste Dio? a firma di un prestigioso
teologo tedesco.
Che enormità! Immagina
un libro intitolato Esistono le onde
radio? magari esposto in un negozio che vende radiosveglie!
Non c’è da meravigliarsi
se il livello di convinzione dato dalla “sola” fede non sia sufficiente a
indurre uno stato di pena profondo per l’assenza di Dio.
Non è colpa di nessuno. È la psicologia umana che
funziona così.
Però, se le cose stanno
come dice la religione, appena morti il dubbio dovrebbe svanire: Dio o c’è o
non c’è. Se c’è, si ottiene istantaneamente una certezza assoluta.
E qui la condizione cambia: immagina di avere rifiutato quello che oramai ti appare in modo assolutamente indubitabile come il Sommo Bene; immagina il tuo stato d’animo per aver fatto un torto infinito a qualcuno che ami infinitamente, immagina di non poter più riparare a questa gaffe infinita per tutta l’eternità!
Questa sarebbe una pena
infinita: la privazione per l’eternità di un Dio che ora sai esistere con
assoluta certezza, che ora ami infinitamente ma purtroppo sai di avere offeso
infinitamente e perso senza rimedio.
Questo è l’inferno.
Non c’è nessun peccato,
tranne la stupidità.