È ormai pacifica e secolare credenza che la costruzione della Chiesa di
Grottammare (trasformazione ed ampliamento della casupola nella quale il 13
dicembre 1521 nacque il Sommo Pontefice Sisto V) sia dovuta alla pietà
della sorella Camilla, pure nata in quella modestissima casa due anni dopo
la nascita del grande fratello. Epigrafi, medaglie, biografie ricordano e
documentano la munificenza della saggia principessa, sicchè ormai parrebbe
fatica vana di novatori farne risalire l'idea e il merito alla stessa
volontà del Pontefice marchigiano.
Eppure è così.
Alcune lettere nell'Archivio Vaticano e pubblicate fin dal novembre 1931
dal montaltese Can.co Francesco Pistolesi prima nel "Foglietto Diocesano",
poi nel suo raro e bel volume "Alma terra natia" tolgono ogni dubbio in
proposito. Poichè per esse resta assodato che, qualche mese innanzi alla
morte di Sisto V (27 agosto 1590), egli non solo aveva voluto che con la
solita sveltezza e con grande impegno se ne iniziassero i lavori, ma che,
pure essendo lontano, li seguiva con paterno e diretto interessamento
bramando fossero presto ultimati si che la chiesa riuscisse decoroso
monumento di cristiana pietà e di pontificia riconoscenza. Nè poteva
essere altrimenti essendone dovuto il disegno (com'è fama) all'artista
ticinese Domenico Fontana, realizzatore, in Roma e fuori di Roma, delle
maggiori imprese architettoniche dell'epoca sistina; ma, anche sopra questa
attribuzione, formulo i miei dubbi giustificati dai documenti che vengo via
via illustrando. [Il Liburdi evidentemente non conosceva la lettera autografa del Fontana che è riprodotta come foto anche nel frontespizio di questa pagina web!]
L'inverno 1589 fu speso soltanto ad ammucchiare sul luogo materiali da
costruzione senza risparmio di spesa, a spianare ed a tagliare la costa del
monte, a diroccare le casupole contigue alla casa natale dei Peretti,
acquistate per assicurare spazio sufficente all'erigendo edificio. Dopo
tutti questi lavori preparatori, il 17 aprile 1590 si procedette al
collocamento della prima pietra del nuovo tempio "con molta sollennità et
dignità", secondo quanto ne scrisse il dì stesso della cerimonia al Santo
Padre Mons. Paolo Emilio Giovannini, Vescovo celebrante in assenza
dell'Ordinario diocesano di Ripatransone Mons. Gaspare Silingardi in
quell'epoca Ambasciatore al Re cattolico pel Duca di Ferrara.(1)
Il Canonico Bernardino Mascaretti (dotto e benemerito degli studi intorno
al paese natio) ha dedicato uno dei suoi più accurati opuscoletti alla
storia di questa chiesa (2), così come di essa a lungo ne parla il non
meno autorevole storico fermano Gaetano De Minicis (3). Eppure, nessuno
dei due (a parte l'errore di far risalire esclusivamente a Donna Camilla il
merito della fondazione della chiesa), ha fatto cenno nè dei veri
costruttori della medesima, nè delle tristi beghe che accompagnarono
l'erezione di quel sacro edificio. E poichè, proprio in grazia dei
contrasti di carattere finanziario, ci è dato gettare un'occhiata su questi
difficili inizi, facciamolo di buon grado ficcando il naso nei verbali d'un
processetto del tempo disgraziatamente frammentario e di ardua
decifrazione, conservato fra i carteggi municipali di Grottammare (4).
Risale questo documento al marzo 1592, epoca in cui, morto da tempo il
fratello Pontefice, Donna Camilla s'era assunta l'impegno di continuare e
portare a compimento l'opera a tutte sue spese. Risiedendo a Roma, la
Nobildonna era in paese rappresentata da Persio Ricci di Grottammare, il
quale aveva il compito di sovrintendere all'andamento dei lavori e di
pagarne il necessario materiale e l'opera dei mastri a norma di
capitolato. Non pare che costui (che pur riceveva assai quattrini da Donna
Camilla legata forse a lui da vincoli di stretta parentela) fosse buon
pagatore, perchè, fra queste carte, è gran querela da parte di tutti i
fornitori (e presso il Vicario di Grottammare e presso il Governatore di
Fermo) che muovono continue lagnanze per ottenere quanto era loro dovuto
per fornitura di calce, di mattoni, di legname e perfino del pane consumato
dagli operai.
La stessa esosa tirchieria il Ricci esercitava ai danni degli architetti e
degli appaltatori del lavoro i quali - dopo averci rimesso fatiche e
quattrini - presentavno replicate rimostranze alle Autorità, ma con così
scarso il profitto che alla fine, esasperati, piantano in asso un lavoro
tanto ingrato e niente redditizio, sicchè di essi chi fa sciopero e chi se
ne parte insalutato ospite per tornarsene in patria.
Se non che, uscito appena dalla giurisdizione fermana di cui il territorio
grottese faceva parte, su espressa istanza del crudo agente della Peretti,
uno di essi, mastro Badino, viene fermato dalla giustizia e gli è perfino
sequestrata l'unica sua ricchezza: due miseri muli, meschino ostaggio con
cui cerca far capitale il Ricci denunciatario. Vengono così alla luce
fatti e nomi finora ignorati e si viene a conoscere quali siano stati i
veri costruttori della chiesa. Sono essi certi mastri muratori dimoranti in
Ascoli, tardi e forse non indegni epigoni di quella valente e ben nota
stirpe di mastri "comacini" o "lombardi" che, emigrati nel basso medioevo
dalle natie vallate ticinesi e lombarde, s'era sparsa ed affermata in tutta
Italia sotto il nome generico di "mastri lombardi" erigendo ovunque edifici
pubblici e privati, sacri e civili, belli e vari per mole ed importanza, ma
rispondenti tutti ad un particolare principio stilistico che li rende
pregevoli ed inconfondibili.
Si tratta di certo mastro BADINO e di mastro MARINO di Cicco da Macerata
(ma residenti ad Ascoli) i quali, secondo l'accusa del Ricci, "erant et
sunt obligati ad fabricandum in Ecclesia S.Lucie in Castro Grottarum a
mare, quam Ecclesiam dicta Ill.ma Camilla de suo proprio fabricare facit et
dicti lombardi pro dicta fabrica habuerunt et receperunt a dicto comparente
nomine quo supra florenos ducentum monete, animo fabricandi et ad finem
ducenti juxta formam capitolorum inter ecc. Dicti loncobardi sine causa et
occasione volunt relinquere dictam fabricam imperfectam et sine
restitutione dictorum denariorum ...".
Mastro Badino non si avvilisce per questo nè si piega.
Rinchiuso in Palazzo, si presenta a Francesco Boezio da Ortezzano Vicario
del paese (il Pretore del tempo) e depone contro Persio Ricci dicendo che
egli, con sei mastri e più garzoni, "stetit ad fabricam in Ecclesia dive
Lucie cum aliis suis operaiis sed ad presens non intendit fabricare
amplius". Per questo aveva deciso di far ritorno in Ascoli portantdo seco
le sue due bestie or ingiustamente sequestrategli rimanendo ancora egli
irremovibile nel proposito di essere rifatto del danno patito e di volere
la rescissione dello stipulato contratto.
Messer Persio sostiene essere falsa l'asserzione dell'impresa che il lavoro
languisca per la negligenza sua e dei soprastanti e per l'insufficenza dei
materiali da lui provvisti, ma piuttosto perchè i muratori non compiono un
lavoro coscienzioso e tirano su i muri a secco segna bagnare il materiale:
e forse in questo soltanto messer Ricci poteva avere ragione, perchè, sul
m onte dove sorgeva la chiesa d'acqua ce ne doveva essere pochina e
portarla fin lassù costava fatica e bolognini assai.
Nè miglior trattamento faceva il signor Ricci all'architetto principale
della fabbrica mastro BARTOLOMEO GIOVANNINO d'Ascoli nominato dalla signora Camilla Direttore tecnico dei lavori e soprastante dei medesimi insieme a
DOMENICO PARTINI ed all'ineffabile PERSIO RICCI.
Era fama universale (e confermato da molti testimoni) che l'architetto,
nell'interesse del buon andamento del lavoro commessogli, non solo ci
applicasse l'intelligenza e l'opera sua, ma perfino v'impiegasse buona
somma di scudi propri o accattati qua e là a prestito e da lui anticipati
per l'acquisto del materiale da costruzione affinchè il lavoro non subisse
dannose soste. Ma anch'egli, ormai, ne aveva abbastanza della taccagneria
di messer Persio e, d'accordo con mastro GIULIANO (altro architetto
ascolano coadiutore nei lavori, non meglio specificato), la voleva ad ogni
costo far finita. Infatti, liquidate le sue spettanze, mastro Bartolomeo
cede la direzione del lavoro ad altra persona capace di cui pure è
spiacevole di non aver trovato il nome fra questi frammentari fogli
processuali. Tutto cio' ci viene rivelato dai vari quesiti rivolti ai
testimoni dal Vicario fungente da giudice istruttore. VINCENZO IACTO di
Grottammare, infatti, testifica: "che la calcina nelli borghi della spiaggia
della marina di fora del Castello et anche dentro del Castello illi alla
fabrica delle Grotte a mare, appresso l'ostaria delli Signori Orsini nella
quale è stata presa e tenuta da messer Domenico Partino io non ne so
niente che ce habia pegliata tenuta esso Domenico, ma so bene che la detta
calcina sopradetta fo comprata da messer BARTOLOMEO BONGIVANDI archetetto et lui l'have fatta condurre, smorciare et pagata et hauto cura et ne have
messo in opera nella fabrica della chiesa". Asserisce, inoltre, di sapere
che messer Bartolomeo "have tolto denari in prestito da varie persone per
la fabrica della chiesia et specialmente da ser OTTAVIO PEROTTO et da
SERVIGLIANO SCOCCIA a S.Lucia de detto Castello per comprar monitione per
dettas fabrica; l'o` inteso dire da esso Bartolomeo: e have portati assai
denari dalli sui de casa ...". Lo stesso è confermato dal teste VINCENZO
SECCIA il quale dichiara anch'egli: ">d'haver inteso dire da mess.
Bartolomeo Bongiovannino che ce have speso del suo et se ne lamentava et so
che have pigliati denari in prestito ... Io so che la calcina è stata
comperata da mastro Bartolomeo Bongiovannino et lui li pagava et so bene
che delle volte mandava per li denari a Fermo, a Monte Alto et se ...
compra la calcina delli denari della signora Camilla o de m. Giovannino ...
io non ne so niente".
Il medesimo è confermato da FLAMINIO POLIDORI, il quale, aggiunge che, la
detta calce, comperata a credito da Domenico Partino da m. Bartolomeo e
fatta da lui condurre e spegnere come cosa sua, era poscia stata
sequestrata dal Vicario delle Grotte "ad istantia de Domenico Partino, come
creditore di detto mastro Bartolomeo". Egli, inoltre, mostrasi ben
informato di tutta questa faccenda perchè afferma che, nel tempo che
"mastro Bartolomeo stette architetto sopra detta fabbrica" trovo' a
prestito denari da diversi, oltre il bel gruzzolo portato "de casa intorno
a 300 scudi di oro in oro". Eppure anch'egli conferma essere notorio che la
signora Camilla costruiva la chiesa delle Grotte a proprie spese "et anco
so che a` dato a detto m. Bartolomeo ed a mastro Giuliano architetto et a
messer Persio Ricci per fare fare detta fabrica buona quantità di denari,
ma non so se tutto quello che è fatto et speso lì per la fabrica, come
anco per la monitione, sia de denari della detta Signora ... Io so che il
Bognanino, mastro Giuliano et detto M.Persio sovrastanti della detta
fabrica hanno speso et spendono li denari per detta fabrica, del resto io
non so niente ... Io so bene che la calcina articulata l'haveva comprata et
smorciata detto Bognanino et che la lscio' et consegno' al novo architetto
...".
E possiamo far basta su questo argomento, benchè altri ed altri testimoni
ripetano la medesima canzone. E non per gli architetti e per gli angariati
mastri lombardi soltanto ! Il medesimo trattamento venne fatto allo
scalpellino capo della fabrica, certo "Magister Antonio Rocchi Florentinus"
il quale cita "Persio Ritio agiente dicte fabrice pro Ill.ma et Ex.cell.
D.na Camilla Peretta" perchè paghi i 50 fiorini che gli deve di mercede
pei lavori eseguiti e da lui inutilmente più volte richiestigli. Inoltre
teneva a far sapere al sig. Ricci che egli aveva alla sua dipendenza
quattro operai i quali desideravano essere regolarmente pagati, pena la
sospensione dei lavori. Ed intanto anche il bravo artista fiorentino
declina ogni responsabilità pel ritardo dei lavori e chiama il Persio
responsabile di ogni danno che gliene potrebbe derivare. Per addivenire ad
una ragionevole composizione della vertenza mastro Antonio invoca ad
arbitro mastro Badino lombardo affinchè, stimati i lavori da lui eseguiti,
fatto il computo degli acconti avuti, si veda quanto ancora debba avere:
somma non inferiore ai cento scudi, secondo la perizia dell'arbitro e
secondo quanto conferma CENSORIO di Domenico da Grottammare, altra
testimonianza indotta dal fiorentino (5).
Naturalmente diversa è
l'opinione di messer Persio, il quale afferma d'aver dato a mastro
Antonio "scarbellino" in vari tempi fiorfini 177 e bolognini 20, oltre il
pane fornito agli scalpellini per l'ammontare di fiorini 12. Inoltre il
Rocchi aveva in sua mano fiorini 12 quale deposito della scrittura: ed
anche d'essi si doveva tener conto. Il Vicario dà alla fine la sua
sentenza: Persio Ricci taciti ogni pendenza con lo scalpellino e coi suoi
operai versando a mastro Rocchi fiorni 14 "accio' possano ritornare a
lavorare in detta fabbrica". Per allora la faccenda fu aggiustata, ma si
tratto' di toppa provvisoria; perchè di lì a non molto, sorte nuove
differenze per eguali motivi, mastro Antonio sospende nuovamente i lavori,
s'appella al Giudice di Fermo e n'ottiene piena soddisfazione perchè
l'esoso Persio è costretto a depositare, nel termine di dieci giorni, in
mano di fidata persona scudi 40 (pari ad 80 fiorini) che Servigliano
Scoccia "ordine et mandato magistri Antonii Firmi" terrà pronti ad ogni
richiesta di mastro Antonio a conto e saldo dei lavori da lui eseguiti per
la costruenda chiesa di S.Lucia di Grottammare.
Così, tra una bega giudiziaria e l'altra, fra una sospensione ed una
ripresa, i lavori procedevano lenti si, ma senza sensibili ritardi , e
senza che messer Persio Ricci smettesse il vezzo del difficile pagatore,
quasi se la godesse a far tribolare il prossimo e a sentirsi ad ogni
momento citato n giudizio pel pagamento del legname da GIANFELICE ARGILI e
da DOMENICO PARTINO, dei mattoni da SERVIGLIANO e da PIERSIMONE SCOCCIA fornaio pel pane fornito per suo ordine ai mastri lombardi MARTINO e
MELCHIORRE e perfino dall'ultimo mulattiere che aveva trasportato col suo
povero giumento il materiale da costruzione ... Ma tant'è: quando Dio
volle la chiesa fu ultimata nel 1595 e Donna Camilla (se pur fu a giorno
delle malefatte nel suo ministro) avrà tirato un sospiro di sollievo, dopo
averci spesi ben 18.000 scudi, disposta, ora, a spendercene diverse altre
migliaia per la onorevole dotazione della chiesa. Ma chi, più di lei, ne
avrà gioito saranno stati indubbiamente i poveri operai che tutti -
proprio tutti - dall'architetto all'ultimo garzone ed al più modesto dei
fornitori - avranno sbraitato chissà quante volte contro il poco onesto
agente dell'Illustrissima ed Eccellentissima Donna Camilla Peretti Contessa
di Celano, sorella degnissima di Sisto V.
NOTE
(1) - "Beatissimo Padre. Andai ieri alle Grotte per l'avviso che me ne
diede Mons. Governatore di questa città che M. Bartolomeo Architetto
voleva cominciare a fondare la chiesa. Piantai la croce nel luoco
dell'altare maggiore; e della detta chiesa col titolo di S.ta Lucia,
essendo venuto a servire in questa attione l'Arciprete con sei canonici ed
altri chierici et musici della Ripa Transone: talchè è passata con molta
solennità et dignità ...". Di Montalto, li 17 di aprile 1590 - Paolo
Emilio Vescovo di Montalto. (F. Pistolesi, Alma terra natia: Montalto
Marche, Roma, Maglione, 1934, pp. 246-247).
(2) - Memoria sulla Collegiata di S. Lucia di Grottammare, Ripatransone,
Jaffei, 1855.
(3) - Sulla medaglia di Camilla Peretti, Fasc. VI dè "Monumenti di Fermo e
suoi dintorni".
(4) - Fa parte di un ragguardevole numero di volumi e di carteggi comunali
(e precisamente del volume "Parlamenti di Atti civili dal 26-3 al 27-8-
1592) già distolto improvvisamente dalla sede municipale ed ammucchiato
nell'archivio delle scuole elementari. Di là furono levati per mia cura e
consiglio e restituiti, qualche anno fa, al Comune di Grottammare, con la
speranza che siano meglio conservati.
(5) - Mastro Badino, un ventennio dopo (1611), è il consigliere tecnico
della ricostruenda Cattedrale di Ripatransone architettata dal modenese
Gaspare Guerra. Allora era in progetto la costruzione della cupola, ma in
mastro Badino si poneva tanta fiducia che, col di lui "sentimento tutto si
faceva": ed a ragione perchè, fin dall'inizio della bella costruzione
(1597), egli n'era stato il principale costruttore nella sua qualità di
capomastro.
Cfr. March. F. Bruti Liberati, VII Lettera sulla "Cattedrale Ripana",
Ripatransone, Jaffei, 1848 e "XLVIII Mem. sulle BB.AA. nei sagri tempi di
Ripatransone" dello stesso. Ivi, Jaffei, 1860
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