Federico Callori     

 

Il Conte Federico Callori, esperto latinista, traduce in latino gli INNI SACRI di Alessandro Manzoni.

Si veda questo articolo pubblicato su Civiltà cattolica, 1880 - anno 13°

I Conti Callori di Vignale discendevano da una di quelle illustri famiglie monferrine che dal 1094 circa sino al 1312 costituirono il Comune Signorile di Asti. Il Conte Federico (Casale 1814-1890) fu Referendario di Sua Maestà, Deputato al Parlamento Subalpino e Sindaco di Casale, poeta e latinista e pure Cavaliere Mauriziano. Nel 1845 egli sposò Carlotta Balbo-Bertone nata nel 1827 da Vittorio Amedeo Conte di Sambuy e Maria Luisa Pallavicino dei Marchesi delle Frabose.

Emanuele Gaetani Tamburini lo omaggia con una piccola pubblicazione che cita una poesia scritta "sul dorso di una lettera" da Alessandro Manzoni per l'amico Tommaso Grossi, imitando lo stile del Metastasio

Di Federico Callori scriverà una biografia pubblicata a Ravenna nel 1886.

    

Il testo è oggi pubblicato nel libro "le onde della nostra vita" (Edizioni Spirali - 2005) di Alessandra Tamburini, nipote di Emanuele, qui disponibile in formato PDF.

« Cinquantanni addietro non c'era maestro elementare che non facesse mandare a memoria agli scolari le canzonette più belle del Metastasio, non c'era veglia domestica in cui non paresse prova di onesto spirito l'intercalare nel discorso il suo bravo "È la fede degli amanti come l'araba fenice"... Ebbene, fu intorno a quel tempo che ad Alessandro Manzoni — in un momento, forse, di buon umore — venne il ticchio di celiare col poeta di moda, scrivendo sul dorso di una lettera al suo amico Tommaso Grossi queste cinque strofe di pretto stile metastasiano, strofe che mi sono state gentilmente favorite, per la pubblicazione, da un letterato egregio. Eccole, e s'intitolano Strofe senza indirizzo.

« È una celia, una delle tante stille dell'ironia manzoniana, caduta dalla sua penna in un momento di buon umore; ma quanta verità in quella parodia; quanta arguzia in quella imitazione; quanta finezza di critica in quella leggera caricatura!»

Tu vuoi saper s'io vado.
Tu vuoi saper s'io resto.
Sappi, ben mio, che questo
non lo saprai da me.
Non che il pudor nativo
metta alla lingua il morso,
o che impedisca il corso
quel certo non so che...
Vuoi ch'io dica perché non lo dico.
Ma lo dico — Oh destino inimico!
Non lo dico — Oh terribile intrico!
Non lo dico perché non lo so.
Lo chieggo alla madre
con pianti ed omei,
risponde: Vorrei
saperlo da te.
Se il chieggo alla sposa,
Decidi a tuo senno,
risponde: Un tuo cenno
è legge per me...