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L’incastro

 


E’ come un gioco ad incastro.

Io sono un incastro dalle mille sporgenze, rientranze, punte, valli ed ho bisogno di trovare colui che riempia, colmi, assorba ciò che sono.

Non è facile, no.

Mi è capitato di riuscire ad incontrare l’uomo quasi perfetto, quello che combaciava la maggior parte dei miei rilievi e conche ma restava sempre qualcosa da scartavetrare, un pregio troppo spinto, un difetto appena accentuato, una qualità inutile.

E ci ho perso gli anni migliori della mia vita a fare la falegname improvvisata.

Oggi sto con Mauro.

Nemmeno lui mi si incastra a dovere, spesso mi accorgo di un tremolio nell’incedere, come di un vuoto d’aria che si insinua tra l’incastro. E mi deconcentro.

Nella parte centrale del mio gioco c’è una valle profonda e umida che aspetta ancora di trovare il giusto cuneo che la appaghi, che elimini quel fastidioso e lasco sfregamento che avviene tra due oggetti non compenetranti.

Renato possedeva quel cuneo, massiccio e vigoroso, si spingeva nella mia valle fino a riempirla del tutto, ma baciava come un pesce appena pescato, con la lingua molliccia e zuppa di saliva.

O l’incastro è perfetto o io mi deconcentro.

Tornando a Mauro: ieri, mentre mi infilava la sua bella testa ricciuta tra le gambe, a leccarmi via ogni residuo liquido che impedisse un perfetto ancoramento della sua sporgenza alla mia cavità, gli ho chiesto di esprimere qualche parola.

Anche la parola è un incastro.

 

-         Dimmi qualche porcata Mauro…

 

Silenzio.

 

-         Dai, dimmi che ti piace la mia figa, fammi eccitare!

 

E lui, muovendo impercettibilmente la testa si è limitato a muggire.

Così mi tocca architettare montagne di fantasie che avvolgano come una fascia il suo cuneo, fino a renderlo dello giusto spessore.

A Mauro manca spessore.

Non in termini metrici, essendo fornito di un bel trapano vitale, ma in termini verbali.

Mauro tace sempre. Non ha il coraggio di farmi sentire la valle che sono! Non ha il coraggio di gonfiare il suo cuneo con lettere oscene.

 

-         Quando ti vedi con la tua amica diventi più porca. Non mi piace mica, sai?

 

Mi dice. Come se fosse la valle della mia amica aperta sotto di lui e non la mia, ricettiva e capiente, vogliosa.

 

-         Usa un po’ di più quelle mani…

 

Molti uomini minimizzano l’importanza delle mani, arnesi altrettanto efficaci per sondare volumi e profondità, per testare la possibilità dell’incastro, per saggiare le pareti del gioco e percepirne il valore.

Un gioco si afferra, inanzitutto, e poi si spacca e si apre per vederne il contenuto, così fanno i bambini e così dovrebbero fare tutti, e poi si rimonta, pezzetto per pezzetto fino ad apprezzarne completamente la ludicità.

 

-         Insomma, stringi, spingi, fammi sentire qualcosa!

 

Gli dico.

E lui a rigirare un ditino sul mio clitoride con la delicatezza di una farfalla.

Forse è una valle anche lui.

E il lasco si appesantisce sempre più e io mi deconcentro.

Mi deconcentro e non godo.

Mi infurio.

Mi incazzo!

Ma taccio e rattoppo la mia cavità con il pensiero di Bruno, ragazzotto compatto e rustico che mi dipinge le pareti di casa. Mi guarda il culo di sottecchi, vergognandosi quasi e tentando di celare l’imbarazzo che l’erezione gli provoca. Mi fa sesso Bruno, saranno quelle mani nodose e tozze che muove con tanta abilità lungo i muri della mia camera da letto o quei jeans sbiaditi che a malapena lo contengono o i suoi piedi nudi e abbronzati, ben saldi sulla scala.

Oppure sarà il suo gergo stringato ma diretto che mi penetra meglio di un cazzo.

 

-         Te le dipingo di giallo.

 

-         Veramente a me piacerebbe un arancione spento o magari un ecrù bruciato. Cosa dici?

 

-         Che è meglio come dico io!

 

Chissà cosa dice lui e come lo dice, soprattutto. Che sia questo l’incastro?

Ci provo, è un gioco, una selezione, un test naturale, mi presento davanti a lui in costume.

 

-         Vado in terrazza a prendere il sole.

 

Lui si volta, ha il viso macchiato di giallo, arrossisce e poi torna al suo lavoro.

E io mi eccito al pensiero di questo stronzo che mi respinge con il silenzio, mi bagno e attendo, concentrata sui rumori che potrebbero provocare i suoi passi nudi. E mi addormento.

 

-         Voltati!

 

Mi dice, mentre ancora non capisco in che mondo sono.

E’ il mio momento, ho la possibilità di scartare il giocattolo e di guardarci dentro.

Mi afferra con violenza e mi volta di peso, poi mi scioglie i laccetti laterali degli slip.

 

-         Porca...

 

E bagnata, eccitata con la frenetica voglia di riempire la valle mi dimeno aspettando l’intruso, mi masturbo con le mani, ma lui pare non avere fretta. Sbircio un attimo con la coda dell’occhio destro e lo vedo tirarsi su i pantaloni.

Ragiono.

La mia schiena non è stata bagnata da una cacca di piccione ma dal suo tiepido getto poco paziente.

Nemmeno questo è il mio incastro.

 

 

 

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