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Intossicazioni

 

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L'avvelenamento o intossicazione è una condizione patologica causata da esposizione ad una sostanza tossica attraverso varie vie, il cui quadro clinico è caratterizzato da un caratteristico tempo di latenza fra assunzione e comparsa dei sintomi, in stretto rapporto con il tipo di tossico assunto.

La terapia delle intossicazioni acute si basa su interventi che hanno una sequenza temporale caratteristica:

1. trattamento sintomatico di rianimazione
2. prevenzione o diminuzione dell'assorbimento
3. trattamento specifico: a. antidoti 
    b. tecniche speciali di depurazione

Il trattamento sintomatico di rianimazione ha oggigiorno diminuito la mortalità a valori minori dell'1% dei pazienti ricoverati. Esso si rivela tuttavia insufficiente, da solo, nelle intossicazioni gravi da ipnotici, sostanze metabolizzate a composti più tossici (es. metanolo, glicole etilenico) o agenti che determinano tossicità ritardata (es. paraquat, Amanita phalloides, Cortinarius orellanus) tanto che questi avvelenamenti sono ancora oggi gravati da elevata mortalità.

La ricerca di trattamenti efficaci per aumentare la sopravvivenza dei pazienti affetti da intossicazione grave ha introdotto nella pratica clinica, a partire dal 1960, varie tecniche atte a rimuovere i tossici già assorbiti. Queste tecniche speciali di depurazione comprendono tutti i metodi (distinti classicamente in non invasivi e invasivi) che consentono di rimuovere dall'organismo il tossico già assorbito.

 

Tecniche speciali di depurazione
Metodi non invasivi Metodi invasivi (extra-renali)
 
iperventilazione dialisi peritoneale
ossigenoterapia normo- o iperbarica emodialisi
diuresi forzata normale, acida, alcalina emoperfusione
captazione-evacuazione intestinale plasmaferesi
exsanguinotrasfusione

 

I metodi non invasivi accelerano i meccanismi di eliminazione per le vie naturali (polmonare, renale, enterica) e hanno il solo scopo di aumentare l'eliminazione del tossico o dei suoi metaboliti, quelli invasivi (depurazione extra-renale) richiedono invece un accesso cruento alle cavità corporee o al sistema cardiocircolatorio al fine di conseguire, singolarmente o insieme, tre fondamentali risultati:

  1. eliminazione del tossico; 

  2. correzione delle turbe metaboliche legate all'azione del tossico o dei suoi metaboliti;

  3. trattamento delle insufficienze renali acute di origine tossica.

 

Tra i metodi sopra indicati, la plasmaferesi si basa sul principio di uno scambio del plasma contenente una sostanza dannosa per l'organismo con altri liquidi naturali o artificiali.

La quantità totale di tossico che può esser rimossa e il numero di procedure che devono essere eseguite dipendono dalla concentrazione plasmatica e dal volume di plasma rimosso.

Nella patologia da tossici esogeni la plasmaferesi presenta la maggiore indicazione nella rimozione dei veleni che circolano nel sangue legati in alta proporzione alle proteine plasmatiche, vale a dire quelli per i quali sono meno efficaci gli altri metodi di depurazione. In pratica, però, allo stato attuale, non vi sono indicazioni accertate per questo metodo nelle intossicazioni acute. L'unica indicazione accertata della plasmaferesi in tossicologia è data dai veleni emolitici (clorati, acido acetico), benché la tecnica non rimuova il veleno ma i prodotti dell'emolisi. 

In caso di emolisi massiva la tecnica è indicata per diminuire rapidamente il livello plasmatico di emoglobina circolante ed i frammenti di globuli rossi prima che si instauri un blocco renale acuto; in caso di blocco già in atto la tecnica è ugualmente indicata, unitamente all'emodialisi o alla dialisi peritoneale. 

La plasmaferesi può essere efficace anche in alcuni casi di intossicazione da sostanze fortemente legate alle proteine non rimosse mediante emodialisi (es: acido cromico e cromati). 

La plasmaferesi è stata sperimentata anche in numerose intossicazioni da Amanita phalloides; l'amanitina realizza rapidamente lesioni necrotiche a carico del parenchima epatico che provocano la morte in circa l'80% dei pazienti. La nozione, che ha inizialmente rappresentato il razionale di questo trattamento, che l'amanitina fosse legata in larga misura alle proteine plasmatiche prima della penetrazione nel fegato è tuttavia risultata errata, in quanto varie ricerche hanno dimostrato che la quantità di amanitina che può essere sottratta anche con sostituzione di elevate quantità di plasma, risulta tossicologicamente irrilevante e di gran lunga inferiore (1/20 o meno) a quella che può essere eliminata mediante diuresi forzata e dialisi peritoneale. 

Alcuni autori giustificano tuttavia ancora il trattamento plasmaferetico ed alcuni studi rilevano che, se praticato tempestivamente e correttamente, può determinare una riduzione della mortalità a meno del 20%.

Nelle intossicazioni da digossina, sostanza in gran parte legata alle proteine plasmatiche, la plasmaferesi potrebbe teoricamente consentire di ottenere una notevole diminuzione del livello plasmatico di questa sostanza con attenuazione della sintomatologia soggettiva; nei soggetti così trattati, tuttavia, gli effetti tossici a livello cardiaco persistono per circa 70 ore dopo l'impiego della tecnica. 

Non vi sono dati, invece, né sperimentali né clinici, sulla possibile efficacia di questo metodo in altre intossicazioni da sostanze legate in alta proporzione alle proteine plasmatiche come gli antidepressivi triciclici, il propranololo, il warfarin, la fenitoina, le benzodiazepine, le fenotiazine, la tossina botulinica, etc. 

La plasmaferesi può invece essere utile nelle intossicazioni che determinano insufficienza epatica fulminante con accumulo di grande quantità di metaboliti tossici nel sangue; la metodica è efficace nel rimuovere i metaboliti legati alle proteine, come acidi biliari e bilirubina.

 

Un metodo alternativo alla plasmaferesi è rappresentato dall'exsanguinotrasfusione, che consiste nello scambio dell'intera massa ematica del paziente o di multipli di essa con sangue di donatori. Il metodo raccomandato è quello isovolemico (scambio di sangue a flusso continuo, senza di variazioni di volemia) che, pur richiedendo uno shunt artero-venoso o veno-venoso profondo, non richiede circolo extracorporeo né apparecchiature complesse come l'emoperfusione o la plasmaferesi. Per sostituire il 95% del volume ematico di un paziente è necessario infonderne un quantitativo pari al 300%.

La sua indicazione principale, o forse esclusiva, è data dalle intossicazioni con gravi alterazioni dell'emoglobina: sulfonmetemoglobinemie e metemoglobinemie con tassi di metemoglobina superiori al 60%. In quest'ultimo caso il trattamento con l'antidoto specifico, il blu di metilene, può essere insufficiente a impedire gravi danni anossici cerebrali; una rapida exsanguinotrasfusione può invece avere efficacia risolutiva. 

L'exsanguinotrasfusione è utile anche nelle intossicazioni con grave emolisi, con o senza alterazioni dell'emoglobina (clorati, acido acetico); non si hanno tuttavia dati sulla potenziale utilità di questo metodo in confronto alla plasmaferesi e nelle intossicazioni da acido solfidrico. Nelle intossicazioni gravi da CO il metodo è da considerarsi in alternativa all'ossigenoterapia iperbarica: elemento principale nella scelta fra le due terapie è il fattore tempo, cioè si deve utilizzare il trattamento che può essere messo in opera per primo.

L'exsanguinotrasfusione è una tecnica depurativa particolarmente utile e molto utilizzata nei pazienti neonati e lattanti (necessità di quantità di sangue relativamente piccola), quando le tecniche che richiedono circolazione extracorporea (emodialisi, emoperfusione) diventano particolarmente impegnative o rischiose oppure non sono disponibili. Sono invece attualmente molto ridotte le indicazioni dell'exsanguinotrasfusione nelle necrosi epatiche tossiche massive (es: Amanita phalloides, tetracloruro di carbonio), in quanto le tossine endogene da necrosi possono essere meglio rimosse con metodi dialitici, mentre le alterazioni della coagulazione possono essere corrette in modo più rapido e mirato con l'apporto dei fattori specifici carenti.

 

 Copyright© 1999/2005 - Francesco Angelo Zanolli - Ultimo aggiornamento in data 16/11/2005