Fondazione Arturo Pinna Pintor SIQuAS VRQ
Dalla qualità percepita alla percezione dell'errore medico - Metodologia integrata per l'individuazione dell'errore medico
Sabato 15 Ottobre 2005
Aula Fondazione Arturo Pinna Pintor
Via Vespucci 61 – Torino

Tavola Rotonda

La pubblicizzazione dell'errore medico e l'aumento del contenzioso influenzano la qualità delle cure?

Intervento del dott. Maurizio Laudi

Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Torino

Riprendo alcuni dei temi già posti nel corso di questa tavola rotonda, per fornire chiarimenti e tentare risposte dal punto di vista giuridico rispetto alle domande prospettate.
Primo problema: un eccessivo ed indiscriminato intervento della magistratura inquirente, cioè dei Pubblici Ministeri, in materia di responsabilità professionale medica, specialmente a seguito di una denuncia presentata da un paziente o dai suoi familiari. Si lamenta, in particolare, che la magistratura intervenga “ a pioggia “ raggiungendo con avvisi di garanzia un numero sproporzionato di medici la cui estraneità ai fatti viene poi dichiarata in modo tardivo con conseguente danno rilevante sia sul piano dell’immagine che su quello patrimoniale (spese legali; rescissione dei contratti di assicurazione).
Fermo restando che in determinati singoli casi queste critiche possono essere fondate perchè il P.M. ha esercitato i suoi poteri in modo non sufficientemente equilibrato, va ricordato che per obbligo costituzionale il P. M. in Italia deve esercitare l’azione penale in presenza di una qualsiasi notizia di reato giunga a sua conoscenza. E’ un sistema diametralmente opposto a quello dei paesi anglosassoni nei quali l’esercizio dell’azione penale è facoltativo, legato cioè anche a valutazioni discrezionali di opportunità da parte del prosecutor (intervenire o non intervenire; intervenire soltanto nei confronti di Tizio e non di Caio).
Ciò significa che il nostro P.M. ha l’obbligo di avviare un procedimento penale in presenza di un esposto, di una querela o di una notizia comunque raccolta dal suo ufficio per una vicenda asserita di responsabilità professionale medica. Con l’unica eccezione per i casi nei quali fin da subito risulti l’assoluta infondatezza della denuncia: casi non del tutto rari, ma neppure troppo frequenti.
Da questa premessa, che discende non da una facoltà ma dall’obbligo imposto al P.M. dall’art. 25 Costituzione, deriva una conseguenza rigida, alla luce delle regole vigenti del nostro processo penale. Il P.M. deve notificare l’informazione di garanzia a tutti coloro che risultano, sulla base della notizia di reato, aveva avuto un qualche ruolo, attivo od omissivo, nella vicenda oggetto della denuncia, ogni volta che debbano essere compiuti accertamenti non ripetibili. Nel campo medico, accertamenti non ripetibili sono ad esempio una autopsia o lo svolgimento di una indagine tecnica su reperti o tracce che devono necessariamente essere utilizzate, e quindi inevitabilmente distrutte, in sede di accertamento tecnico.
Quindi, un P.M. coscienzioso non correrà mai il rischio di effettuare o far effettuare questo genere di accertamenti senza aver prima “informato” tutti i sanitari una cui responsabilità potrebbe emergere dall’esito di tali accertamenti. In caso contrario infatti, il medico non avvisato dell’esistenza dell’indagine potrebbe giustamente dolersi di non essere stato messo a tempo debito nelle condizioni di difendersi sin dall’inizio, ad esempio attraverso la nomina di un suo consulente di fiducia, autorizzato a seguire e partecipare al lavoro dei consulenti nominati dal Pubblico Ministero.
Mi rendo perfettamente conto che questo meccanismo è produttivo di conseguenze anche pesanti, sul piano dell’immagine e sul piano patrimoniale, per il medico che viene ad essere indagato nella fase iniziale delle indagini, per vedersi poi prosciolto da ogni accusa al termine delle indagini stesse. A maggior ragione concordo su un giudizio di totale iniquità della prassi che – secondo quanto è già stato detto da altri in questa tavola rotonda – è adottata dalle compagnie di assicurazione che rescindono il contratto con un medico per il solo fatto che egli abbia ricevuto una informazione di garanzia. E’ però un problema che non può essere risolto dall’Autorità Giudiziaria, ma chiama direttamente in causa i rapporti tra l’Ordine professionale dei Medici e Associazioni delle Compagnie Assicurative. Un problema che tutti auspichiamo sia definito un modo equo per i medici, ma al quale non si può far fronte con soluzioni di scorciatoia quale l’elusione da parte del Pubblico Ministero dei suoi obblighi procedurali.


Secondo problema: quello di una indebita pubblicità attraverso i giornali di notizie relative alla pendenza di indagini preliminari in materia di colpa medica.
Sono il primo a riconoscere che si tratta di una situazione patologica perchè le notizie su procedimenti in fase di indagini sono coperte da segreto e quindi non dovrebbero uscire sui giornali o alla televisione.
Non ho difficoltà ad ammettere che più di una volta la responsabilità di queste indebite violazioni del segreto di indagine ricade sull’ufficio giudiziario che tratta quel determinato caso. Ritengo che in generale i rapporti tra Pubblici Ministeri e organi di informazione dovrebbero avvenire con molta maggiore avvedutezza e cautela da parte dei magistrati.
Aggiungo peraltro, dopo questa ammissione di colpa per la categoria, che più di una volta l’uscita giornalistica non è frutto di condotte scorrette da parte dei magistrati, ma passa attraverso altri canali, specialmente nel campo dei processi per responsabilità medica.
Talora si tratta di vicende che, per la loro gravità, hanno una immediata risonanza pubblica esterna.
Altre volte sono le stesse parti lese, o i loro difensori, a ritenere di loro interesse pubblicizzare la notizia rendendola di pubblico dominio.
Altre volte è dallo stesso ambiente medico, ospedaliero o accademico, che filtrano notizie che riguardano altri medici, secondo una logica che certamente non è ignota di contrapposizioni, gelosie, invidie professionali che trovano sfogo censurabile nel far giungere ai media notizie comunque idonee a danneggiare l’immagine di uno o di un altro medico.

Terzo problema: l’importanza di una “pubblicizzazione” dell’errore medico, o comunque di una circostanza anomala nel corso di una terapia, al fine di farne oggetto di riflessione comune nell’ambito della struttura sanitaria interessata onde evitare il ripetersi dell’errore stesso.
E’ una tematica relativamente nuova, di grandissimo interesse non solo sul piano dell’organizzazione sanitaria ma anche su quello dei profili legali connessi alla prassi dell’incident reporting.
Va dato atto in termini di grandissimo apprezzamento dell’impegno su queste tematiche di alcune direzioni sanitarie e per Torino voglio citare il nostro moderatore, il dottor Rapellino, che tanto sta facendo in questo senso  all’interno del suo ospedale.
Ragionando in termini di inevitabile sintesi, mi sembra che il problema principale connesso al sistema dell’incident reporting ruoti attorno al timore dell’operatore sanitario di compiere un atto autoincriminante che un domani, vicino o lontano, possa giocargli addirittura contro, trasformando quindi un suo gesto di scrupolo professionale in una fonte di pregiudizio, legale ed economico, per lui.
E’ sicuramente un problema vero e sentito. Questa settimana ho partecipato ad un convegno medico durante il quale un illustre clinico universitario ha ricordato che durante i suoi primi anni di insegnamento, l’ultima lezione del corso era appunto dedicata agli errori compiuti durante il trattamento terapeutico, mentre ora non vi è più nessuno che si prenda la responsabilità di tenere una lezione di tal genere per la paura che dall’esposizione pubblica di casi caratterizzati da errori possano derivare dei pregiudizi. Se questo timore è avvertito con riferimento ad una attività didattica, possiamo ben figurarci quanto ancora di più sia sentito in rapporto alla quotidianità professionale.
Da un punto di vista giuridico il problema non è stato ancora studiato in modo organico e approfondito e da parte mia posso portarvi il frutto di mie riflessioni, che peraltro sto sviluppando già da qualche tempo.
Non ravviso nessun rischio di autoincriminazione, quando il report su un errore riguardi una vicenda fortunatamente conclusasi senza conseguenze lesive per il paziente sottoposto a trattamento medico. Per fortuna, non tutti gli errori o le manchevolezze che comprensibilmente possono caratterizzare l’attività professionale medica (come qualunque altra attività umana caratterizzata da complessità) comportano necessariamente un danno al paziente. In questi casi, quindi, non ravviso nessun pericolo di autoincriminazione per il medico che abbia segnalato un suo errore, o comunque una situazione di non corrispondenza tra la pratica concreta di un certo caso ed il modello ideale.
Il discorso diventa più complicato, invece, nell’ipotesi in cui il report riguardi un caso nel quale il paziente ha subito, per effetto dell’errore, un danno alla sua salute, più o meno rilevante.
Si ritiene normalmente che l’anonimato del report, e la mancanza di riferimenti di immediata individuazione specifica del caso concreto, costituiscano una garanzia assoluta per l’operatore sanitario interessato alla vicenda, sulla base della considerazione che un documento anonimo non può essere utilizzato come fonte di prova in un processo penale.
La considerazione è corretta da un punto di vista legale, ma parziale.
Infatti l’articolo 240 del codice di procedura penale nello stabilire la non utilizzabilità da parte del giudice di uno scritto anonimo, fa una eccezione: il caso in cui lo scritto anonimo provenga da chi è stato autore del reato (o abbia comunque concorso nel reato stesso).
Da ciò deriva che ad pubblico ministero non è vietato acquisire scritti anonimi, e poi utilizzarli, se vi sono ragioni per ritenere che lo scritto stesso provenga da persona in qualche modo coinvolta nella commissione di  un reato.
Quindi un profilo di un possibile effetto autoincriminante di un report per quanto anonimo, non può a mio giudizio essere escluso.
Sono consapevole che queste mie considerazioni possono in qualche modo ostacolare la prassi assolutamente virtuosa ed apprezzabile delle segnalazioni di errore nel corso dell’attività professionale, specie all’interno delle strutture ospedaliere. Ma mi sembrerebbe venir meno ad un obbligo deontologico di chiarezza se tacessi su questi profili, che devono invece essere conosciuti per approntare le migliori soluzioni.
Personalmente sarei favorevole, proprio in considerazione del grande valore positivo dei report a fini di prevenzione degli errori nella pratica medica , ad una specifica previsione legislativa che impedisse di utilizzare in ambito processuale documenti di tal genere. Ciò può avvenire solo attraverso un intervento legislativo e credo che gli ordini professionali interessati e in generale il mondo della sanità dovrebbero farsi portavoce di una tale esigenza.
In mancanza di ciò, credo che la strada giusta sia quella di un impegno congiunto della comunità medica e di quella giudiziaria per elaborare una soluzione di fatto che consenta di valorizzare e quindi rafforzare le prassi positive di incident reporting , garantendo che da esse non derivino pregiudizi proprio ai medici che dimostrano di avere un alto senso di responsabilità e di coscienza professionale.



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