Tavola Rotonda
La pubblicizzazione dell'errore medico e l'aumento del contenzioso influenzano la qualità delle cure?
Intervento del
Dott. Leonardo la Pietra
Direttore Sanitario Istituto Europeo di Oncologia IRCCS
I parte
…Spero innanzitutto di non deludervi, perché non vi
parlerò né di colpa né di responsabilità,
né di denunce né di querele né di contenzioso,
perché di questo me ne occupo come Direttore Sanitario, ma sono
stato invitato qui a parlare a nome della Joint Commission (JC), e in
tale veste vi porto i saluti del Presidente della Joint Commission
International Karen Timmons e di Paul Van Ostenberg che sono molto
lieti di quest’evento. Vi porterò poi l’esperienza
sul tema della qualità e della sicurezza dei pazienti legati
alla gestione del rischio, rievocando penso un coetaneo di Arturo Pinna
Pintor, Ernest Amory Codman [
2]
laureatosi alla fine dell’800 a Boston con una tesi
sull’anestesia. Anzi, all’epoca non si parlava di
anestesia, e neanche di cartella anestesiologica. La tesi che lui fece
era sulla “Ether Chart”. Compagno di tesi era Harvey
Cushing, un altro noto chirurgo. Già all’inizio del 900
Codman sosteneva che noi medici dovremmo preoccuparci di analizzare i
nostri errori, di non parlare solo dei nostri successi e quindi di non
alimentare la cultura di queste aspettative illimitate di una medicina
mitica. Dovremmo analizzare soprattutto i nostri errori [
3].
E Codman per questa ragione diciamo non se la passò bene.
Infatti fu considerato un eccentrico rispetto a quella che era la
società medica dell’epoca [
4].
Comunque la nostra storia inizia da Codman, da quegli anni. Non
dimentichiamo però che Codman era negli Stati Uniti. Qualcuno
parlava dell’importanza della formazione, e c’era un altro
coetaneo e collega di Codman qui in Italia che si chiamava Augusto
Murri, clinico medico a Bologna che invitava a istituire una Cattedra
di Storia della Medicina, o meglio lui suggeriva di Storia degli Errori
in Medicina [
5]. Sarebbe l’arma
più potente per far apprendere la logica medica ai nostri
studenti, quindi riprendendo l’aspetto dell’importanza
della formazione, di cui si è parlato molto poco – penso
- in questo contesto. E allora parliamo di formazione,
perché l’approccio di JC è un approccio che parte
con la formazione e termina con la formazione, ed è l’arma
più potente di prevenzione degli errori in medicina.
Come dicevo, JC innanzitutto nasce dall’American College of
Surgeons, e quindi già porta in sé l’esperienza dei
chirurghi americani che si approcciano all’analisi degli errori,
e nel 1917 è stata istituita, ed è stata citata anche
oggi, la Mortality & Morbidity review, che in Italia ancora oggi
non esiste, cioè l’analisi critica degli eventi avversi,
quindi sia decessi che gravi complicanze, un’analisi non mirata
ad accertare le responsabilità o il chi, ma focalizzata a capire
il come e il cosa. Quindi nasce questa riflessione. Nel 1951 nasce
ufficialmente la JC con la mission di promuovere la sicurezza (safety)
del paziente e la qualità delle cure. Come promuovere questa
sicurezza e questa qualità delle cure? Attraverso due strade
comuni. Una è un mezzo potente di riduzione del rischio, che
loro chiamano Accreditation [
6], che si basa sul raggiungimento di standard [
7]
di eccellenza, standard che riguardano tutto il sistema
“ospedale”, che è un sistema complesso. Quindi non
riguardano solo alcuni specialisti o alcune specialità o alcuni
settori dell’ospedale, ma riguardano l’ospedale nella sua
completezza. Ho portato un dato ancora inedito che deriva da uno
progetto di ricerca finalizzata promosso dalla ASSR. Ci
lamentiamo effettivamente che in Italia ci mancano dati ed è
vero, non abbiamo dati autoctoni sulla prevalenza e
sull’incidenza di eventi avversi nell’ospedale, abbiamo
dati ricavati per interpolazione da altri studi condotti
all’estero. Abbiamo però fatto in Italia uno studio
finanziato dal Ministero della Salute e realizzato dall’Agenzia
per i Servizi Sanitari Regionali, che ha coinvolto 10 regioni italiane
e che tra l’altro per la prima volta , ed è lo studio
più grosso in Europa, è andato ad esaminare 8757 cartelle
cliniche in tutte le realtà ospedaliere in Italia: varie
regioni, vari tipi di ospedale. Uno dei 26 criteri utilizzati per
valutare la “accettabilità” di una cartella clinica
è la presenza di un consenso informato scritto e firmato da
parte del paziente e del medico. Per JC uno dei 378 standard [
8] [
9] [
10] riguarda l’informazione al paziente e tra l’altro anche il processo di acquisizione del consenso.
Quindi è un meccanismo sistemico che riguarda tutto
l’ospedale, che fa leva su chi lavora in ospedale e non su
qualcuno che viene da fuori a giudicare chi lavora in ospedale,
perché appunto sono gli operatori i protagonisti del
cambiamento, e quindi sono loro che esattamente conoscono molte volte
cosa non va in un ospedale, e quindi sono loro gli attori di una reale
prevenzione.
Qualche commento rispetto agli interventi degli oratori che mi hanno
preceduto. Mi piaceva molto il discorso del bollino blu.
C’è qualcuno che pensa che ottenere l’accreditamento
di JC, quello che in Italia viene chiamato accreditamento
all’eccellenza, perché poi noi abbiamo un’altra via
italiana all’accreditamento, che però è
istituzionale e basata su requisiti minimi. C’è qualcuno
che pensa che l’accreditamento all’eccellenza sia un
bollino blu. E infatti anche alcuni colleghi con un sottile velo di
ironia mi dicono: ah, ma voi avete l’accreditamento
all’eccellenza, quindi voi non sbagliate, da voi va tutto bene e
i pazienti se la passano bene. E io rispondo molto francamente,
perché sono veramente convinto (e qui rientro nel filo di questa
tavola rotonda) che chi è accreditato, e io sono molto convinto,
sbaglia assolutamente molto più di prima. Vi faccio vedere
qualsiasi tipo di statistica, io sono peggio di tutti gli ospedali con
cui mi misuro da quando ho iniziato il processo di accreditamento.
Quindi, questo è l’outcome di un processo di
accreditamento. Se volete sbagliare di meno non iniziate a fare questo
percorso e chiedetelo ai vostri direttori sanitari quante sono le
infezioni nei loro ospedali o quanti sono gli errori e vi diranno zero.
Quindi l’idea è che qui tutto va bene.
Secondo, quello che in effetti è cambiato non è quanti
errori facciamo, perché questo è cambiato, facciamo
sicuramente più errori di prima. Sicuro, questo sarà il
primo risultato, e il fatto che negli anni aumentano sempre di
più, perché i meccanismi di rilevazione degli errori poi
iniziano a funzionare, si crea questa cultura della sicurezza e
aumentano sempre di più, se vedete i nostri grafici. Io gli
dico: quello che è cambiato è l’uso che facciamo di
questi errori, non è il numero degli errori, quello aumenta.
L’uso che ne facciamo è cambiato: si è messo in
moto un meccanismo per cui nulla è come prima. E’
irreversibile, perché poi è vero che è difficile
creare questa cultura del trust, di fiducia all’interno
dell’ospedale, è molto difficile perché abbiamo
alle spalle anni di cultura di blame e di caccia al colpevole ma quando
si crea è difficile tornare indietro. E’ l’uso che
si fa dell’errore, è l’uso che si fa del cosa
è successo, del come e del perché è successo, non
ci interessa chi è stato, non ci interessa la colpa; ci
interessa cosa è successo, ma non per fare analisi (non me ne
vogliano i colleghi epidemiologi che fanno bellissime analisi
statistiche ecc.), ma per cambiare le circostanze e i sistemi che
generano l’errore. Allora, e qui mi riallaccio a quanto diceva
Andrea Gardini ed alla visione della Società Italiana per la
Qualità dell’Assistenza Sanitaria (SIQuAS), non partite
sul percorso, non iniziate a fare analisi, non mettete in moto una
macchina che poi è difficilissimo fermare e tornare indietro, se
non avete già le idee chiare e se non siete pronti e disposti
poi a cambiare le cose. Non lo fate, conviene continuare come prima,
non sapere e andare avanti con la routine [
11].
II parte
…….ci sarebbe molto da aggiungere, ma visti i tempi
ristretti faccio come Andrea Gardini e chiudo con una battuta che mi ha
offerto il dr. Laudi. Joint Commission ha superato la segnalazione
degli eventi sentinella e degli eventi avversi gravi, aspetto
particolarmente rilevante in Italia anche per i nostri problemi
di responsabilità e di obbligatorietà dell’azione
penale, e invita tutti ad adottare dei propri sistemi di reporting
interno e soprattutto a rilevare i near miss, cioè quegli eventi
che non hanno determinato danno al paziente, ma che da un punto di
vista organizzativo ci dicono esattamente le stesse cose su un errore
che avrebbe potuto causare un danno grave. Ma d’altra parte ci
offrono la possibilità di realizzare questi eventi in un clima
sereno, senza il magistrato, senza il direttore sanitario sul collo,
senza la stampa, senza i parenti e senza tutto il corteo che potete
immaginare…..
last
update:
2005/12/06 |
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