Fondazione Arturo Pinna Pintor SIQuAS VRQ
Dalla qualità percepita alla percezione dell'errore medico - Metodologia integrata per l'individuazione dell'errore medico
Torino 15 Ottobre 2005

Introduzione

Plinio Pinna Pintor

Presidente Fondazione Arturo Pinna Pintor


Il simposio odierno si svolge dopo un periodo in cui vengono riportate dalla stampa con una intensificazione senza precedenti, notizie di incidenti mortali occorsi a pazienti ricoverati in ospedali in diverse regioni italiane (Fig. 3).
L’ampio rilievo dato dalla stampa periodica (Sole 24 Ore-Sanità) alla elevata frequenza di incidenti occorsi a pazienti ospedalizzati (21.000 sinistri censiti dal gruppo di studio della Regione in Lombardia dal 1999 al 2004), e quello dato al VI simposio sulla salute pubblica organizzato dall’Ordine dei Medici di Varese meno di un mese fa (Fig. 4), in cui è stata riportata una mortalità stimata da 15.000 a 50.000 casi all’anno in Italia (per altro in base a dati del 2001)[1],  ha risollevato drammaticamente, anche nel nostro Paese, il problema della sicurezza del paziente in Ospedale e della prevenzione degli errori medici.
Morire in ospedale per colpa dei medici o delle inefficienze delle strutture e non della malattia non è certo una novità, anche se per molti decenni questa realtà è stata rimossa.
Basti ricordare il destino del grande chirurgo degli USA, Codman, che nel 1911 propose di registrare gli esiti delle cure e la mortalità dei pazienti ospedalizzati (end result theory) e la loro pubblicizzazione,  per questo subì l’ostracismo della comunità dei chirurghi, fu costretto ad abbandonare l’ospedale pubblico, il Massachussets General Hospital, e nel 1915 chiudere la clinica privata che aveva aperto pochi anni prima. La sua iniziativa, tuttavia, non andò perduta se due anni dopo, per garantire una migliore qualità delle cure negli USA, l’Associazione dei Chirurghi americani (ACS) sviluppò i requisiti standard minimi per gli ospedali da cui nacque, nel 1953, la “Joint Commission” per l’accreditamento degli ospedali e delle organizzazioni sanitarie (JCAHO).
Per molti decenni ancora il problema dell’errore medico, la  cosiddetta “malpractice”, rimase relegato negli USA nell’ambito del contenzioso assicurativo e della conseguente rincorsa fra costi dei premi e costi delle prestazioni sanitarie.
La pubblicizzazione, il 30/11/99, con una ampia diffusione internazionale, ad opera di uno scoop giornalistico della NBC, di un lungo dossier elaborato dall’Institute of Medicine, dal titolo “To Err is Human”, in cui veniva riportata la stima della mortalità negli USA estrapolando i dati di una ricerca peraltro condotta 20 anni fa (Fig. 5), compresa fra 44.000 e 98.000 decessi all’anno e di ricerche condotte in altre Nazioni (Fig.6), ha scosso il governo, l’opinione pubblica e la comunità dei Medici ed Amministratori della Sanità degli USA e del mondo sanitario occidentale.
Una così alta mortalità e così ampia forbice della frequenza degli eventi tuttavia ha sollevato poco dopo la sua pubblicazione forti dubbi sulla validità delle cifre, considerate da alcuni Autori sovrastimate [2] [3] [4] [5], da altri al contrario sottostimate [6] [7].
Non molto diverso fenomeno si è verificato recentemente anche in Italia dove la stima sulla epidemiologia degli incidenti causati da errori e della mortalità è stata da più parti contestata [8] [9] pochi mesi fa per la scarsa specificità del metodo di rilevamento, basato principalmente sulle denunce assicurative per risarcimento.
Una ulteriore conferma dell’incertezza e contradditorietà dei dati inerenti l’epidemiologia basati sul contenzioso per responsabilità civile è il seguente: secondo l’ANIA in oltre il 70% dei casi, segnalati dall’Osservatorio istituito presso l’Università di Napoli in materia di RC medico-professionale, è stata riconosciuta la responsabilità del professionista.
Secondo i dati dell’AMAMI all’opposto, dei 15.000 medici accusati di malpractice e sottoposti a richieste di risarcimento per danni, il 65% viene assolto.
Anche in assenza di certezze epidemiologiche, tuttavia, l’errore medico e le sue conseguenze dannose, l’impatto mediatico del fenomeno e la presa di coscienza da parte delle Istituzioni governative, delle Associazioni professionali e delle Assicurazioni ha determinato la rapida crescita negli ultimi 5 anni di ricerche ed  iniziative per il contenimento e la prevenzione del rischio in ospedale e nel territorio, sia negli USA (Fig. 7) sia nel Regno Unito (Fig. 8).
Ultima non certo per importanza, è quella che nello scorso agosto vede, per la prima volta, l’istituzione di un Centro di collaborazione del WHO con la JCAHO  e JCI dedicato esclusivamente alla sicurezza del paziente ed alla riduzione di un così inaccettabile numero di danni provocati dalle cure nel mondo intero ogni giorno (Fig. 9).
Anche in Italia sono sempre più frequenti le iniziative intraprese con le stesse finalità: accertare, prevenire e ridurre i danni dell’errore medico (Fig. 10).
Sembra  giusta e pragmatica una politica sanitaria che si preoccupa di elaborare strumenti e formazione del personale per arginare il rischio che appare sempre più grave di eventi sfavorevoli, anche nel nostro Paese, prima di poter disporre di dati epidemiologici che, come si è dimostrato poco fa, sono estremamente variabili, per molti versi inaffidabili.
Vi sono tuttavia buone ragioni per accertare, con la maggior precisione possibile, la frequenza degli errori, dei danni da essi derivati e delle loro cause, anche se, come quando una casa bruci, bisogna provvedere a spegnere l’incendio senza attardarsi troppo a cercarne le cause.
La prevenzione, che è considerata oggi la prima arma da applicare per garantire la sicurezza, richiede la conoscenza del rischio di errori in un determinato contesto e, come è ben noto, il rischio è il prodotto della frequenza per la gravità degli eventi.
Gli studi della JCAHO sugli eventi sentinella ci hanno fornito una interessante documentazione sulla distribuzione delle cause degli errori più gravi – eventi sentinella -, utile ma non sufficiente per implementarne la prevenzione; mancando il  dato sulla loro frequenza manca il fattore che consente di quantificare il rischio secondo la sua accezione odierna anche in Italia (Legge 626).
E’ possibile infatti che la distribuzione delle cause degli eventi sentinella sommersi e sconosciuti sia diversa, (come diverse le barriere alla loro individuazione) da quella degli eventi riferiti e raccolti nella statistica della JCAHO .
Per questo motivo sembra arbitrario estrapolare anche al sommerso la stessa distribuzione della cause come ad esempio quelle individuate dalla JCAHO per diversi tipi di errori. Non è detto infatti che per ogni tipo di errore esistano le stesse barriere alla loro segnalazione, e ciò potrebbe costituire un bias di selezione delle cause destinato a spostare le risorse per la prevenzione in settori altrimenti trascurati.
Ad esempio per le cause alla radice degli eventi dovuti ad infezione (Fig. 12) un campione peraltro molto piccolo (57 casi) considerato il lungo periodo di osservazione (1995-2004) il difetto di comunicazione risultano in meno del 10% della segnalazione contro più del 70%, nei ben più numerosi eventi operatori e postoperatori (Fig. 13). Non sappiamo quale sarebbe stata la prevalenza dei difetti di comunicazione se i campioni fossero molto più numerosi e rappresentativi.
 La ricerca del metodo o dei metodi più accurati per l’individuazione del maggior numero possibile di errori ed eventi non è pertanto una pura esercitazione accademica (Fig. 11)
Sempre più diffusa  nella ricerca sociologica è il ricorso ai sondaggi sulla percezione del pubblico ritenuto depositario di punti di vista più o meno rilevanti a seconda della realtà che vogliamo conoscere.
La percezione della qualità delle cure, qualità percepita, da parte dei pazienti, dei medici  e degli organizzatori della sanità è considerata ormai da anni un punto di riferimento ineludibile per la valutazione delle performance della attività sanitaria.
Se l’errore è la componente  negativa della qualità non si vede perché la percezione dell’errore da parte dei  pazienti, dei medici o della popolazione non ci possa fornire, se confrontata nello stesso contesto, una più affidabile valutazione della realtà  e non possa costituire  un nuovo metodo di accertamento dell’errore e dei danni che ne possono derivare.
Questo approccio iniziato dalla scuola di Harvard con il confronto della percezione o se si vuole della esperienza della popolazione  sulla frequenza degli errori prevenibili e delle loro conseguenze negli USA rappresenta un modello innovatore nella metodologia per la ricerca del “esse” secondo Berkeley (Fig. 14) per avvicinarsi il più possibile alla realtà.
Questo è stato il pensiero animatore del simposio. Ci auguriamo che la discussione tra alcuni massimi esperti sia utile per orientare le nuove ricerche sull’errore medico e sulla sicurezza delle cure anche nel nostro paese.

BIBLIOGRAFIA

  1. Marcon G: Editoriale e Errori e danni nelle cure mediche. USA e Regno Unito lanciano l’allarme. Rischio Sanità 2001:1-16
  2. McDonald C e coll.: Death due to medical errors are exaggerated in Institute of Medicine Report. JAMA 2000; 284:93-4
  3. Sox HC, Woloshin S: How many deaths are due to medical error? Getting the number right. Eff Clin Pract 2000; 6:277-83
  4. Brennan JA: The Institute of Medicine Report on medical errors – could it do arm? NEJM 2000; 342:1123
  5. Dentzer S: Media mistakes in coverage of the Institute of Medicine’s Error Report. Effective Clinical Practice, Nov./Dec. 2000
  6. Leape LL: Institute of Medicine Medical Error Figures are not exaggerated. JAMA 2000; 284:95-97
  7. Starfield B: Is US health really the best in the world? JAMA 2000; 284:483-485
  8. Bevilacqua L: L’errore medico esiste ma i dati sono inattendibili. MedWeb Corriere Medico 21 Ottobre 2004
  9. Bianco A: Così si tutela l’azienda più del paziente. Il Sole 24 Ore -5 Settembre 2005, n. 243- pag. 47

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