Il simposio odierno si
svolge dopo un
periodo in cui vengono riportate dalla stampa con una intensificazione
senza precedenti, notizie di incidenti mortali occorsi a pazienti
ricoverati in ospedali in diverse regioni italiane (
Fig. 3).
L’ampio rilievo dato dalla stampa periodica (Sole 24
Ore-Sanità) alla elevata frequenza di incidenti occorsi a
pazienti ospedalizzati (21.000 sinistri censiti dal gruppo di studio
della Regione in Lombardia dal 1999 al 2004), e quello dato al VI
simposio sulla salute pubblica organizzato dall’Ordine dei
Medici
di Varese meno di un mese fa (
Fig. 4),
in cui è stata riportata una mortalità stimata da
15.000 a
50.000 casi all’anno in Italia (per altro in base a dati del
2001)[
1], ha risollevato
drammaticamente, anche
nel nostro Paese, il problema della sicurezza del paziente in Ospedale
e della prevenzione degli errori medici.
Morire in ospedale per colpa dei medici o delle inefficienze delle
strutture e non della malattia non è certo una
novità,
anche se per molti decenni questa realtà è stata
rimossa.
Basti ricordare il destino del grande chirurgo degli USA,
Codman, che
nel 1911 propose di registrare gli esiti delle cure e la
mortalità dei pazienti ospedalizzati (
end result theory) e
la
loro pubblicizzazione, per questo subì
l’ostracismo
della comunità dei chirurghi, fu costretto ad abbandonare
l’ospedale pubblico, il Massachussets General Hospital, e nel
1915 chiudere la clinica privata che aveva aperto pochi anni prima. La
sua iniziativa, tuttavia, non andò perduta se due anni dopo,
per
garantire una migliore qualità delle cure negli USA,
l’Associazione dei Chirurghi americani (ACS)
sviluppò i
requisiti standard minimi per gli ospedali da cui nacque, nel 1953, la
“Joint Commission” per l’accreditamento
degli
ospedali e delle organizzazioni sanitarie (JCAHO).
Per molti decenni ancora il problema dell’errore medico,
la
cosiddetta “malpractice”, rimase relegato negli USA
nell’ambito del contenzioso assicurativo e della conseguente
rincorsa fra costi dei premi e costi delle prestazioni sanitarie.
La pubblicizzazione, il 30/11/99, con una ampia diffusione
internazionale, ad opera di uno scoop giornalistico della NBC, di un
lungo dossier elaborato dall’Institute of Medicine, dal
titolo
“To Err is Human”, in cui veniva riportata la stima
della
mortalità negli USA estrapolando i dati di una ricerca
peraltro
condotta 20 anni fa (
Fig. 5),
compresa fra 44.000 e 98.000 decessi all’anno e di ricerche
condotte in altre Nazioni (
Fig.6),
ha scosso il governo, l’opinione pubblica e la
comunità
dei Medici ed Amministratori della Sanità degli USA e del
mondo
sanitario occidentale.
Una così alta mortalità e così ampia
forbice della
frequenza degli eventi tuttavia ha sollevato poco dopo la sua
pubblicazione forti dubbi sulla validità delle cifre,
considerate da alcuni Autori sovrastimate [
2]
[
3] [
4]
[
5], da altri al contrario
sottostimate [
6] [
7].
Non molto diverso fenomeno si è verificato recentemente
anche in
Italia dove la stima sulla epidemiologia degli incidenti causati da
errori e della mortalità è stata da
più parti
contestata [
8] [
9]
pochi mesi fa per
la scarsa specificità del metodo di rilevamento, basato
principalmente sulle denunce assicurative per risarcimento.
Una ulteriore conferma dell’incertezza e
contradditorietà
dei dati inerenti l’epidemiologia basati sul contenzioso per
responsabilità civile è il seguente: secondo
l’
ANIA in
oltre il 70% dei casi, segnalati dall’Osservatorio istituito
presso l’Università di Napoli in materia di RC
medico-professionale, è stata riconosciuta la
responsabilità del professionista.
Secondo i dati dell’
AMAMI all’opposto,
dei 15.000 medici accusati di malpractice e sottoposti a richieste di
risarcimento per danni, il 65% viene assolto.
Anche in assenza di certezze epidemiologiche, tuttavia,
l’errore
medico e le sue conseguenze dannose, l’impatto mediatico del
fenomeno e la presa di coscienza da parte delle Istituzioni
governative, delle Associazioni professionali e delle Assicurazioni ha
determinato la rapida crescita negli ultimi 5 anni di ricerche
ed
iniziative per il contenimento e la prevenzione del rischio in ospedale
e nel territorio, sia negli USA (
Fig. 7)
sia nel Regno Unito (
Fig. 8).
Ultima non certo per importanza, è quella che nello scorso
agosto vede, per la prima volta, l’istituzione di un Centro
di
collaborazione del WHO con la JCAHO e JCI dedicato
esclusivamente
alla sicurezza del paziente ed alla riduzione di un così
inaccettabile numero di danni provocati dalle cure nel mondo intero
ogni giorno (
Fig.
9).
Anche in Italia sono sempre più frequenti le iniziative
intraprese con le stesse finalità: accertare, prevenire e
ridurre i danni dell’errore medico (
Fig. 10).
Sembra giusta e pragmatica una politica sanitaria che si
preoccupa di elaborare strumenti e formazione del personale per
arginare il rischio che appare sempre più grave di eventi
sfavorevoli, anche nel nostro Paese, prima di poter disporre di dati
epidemiologici che, come si è dimostrato poco fa, sono
estremamente variabili, per molti versi inaffidabili.
Vi sono tuttavia buone ragioni per accertare, con la maggior precisione
possibile, la frequenza degli errori, dei danni da essi derivati e
delle loro cause, anche se, come quando una casa bruci, bisogna
provvedere a spegnere l’incendio senza attardarsi troppo a
cercarne le cause.
La prevenzione, che è considerata oggi la prima arma da
applicare per garantire la sicurezza, richiede la conoscenza del
rischio di errori in un determinato contesto e, come è ben
noto,
il rischio è il prodotto della frequenza per la
gravità
degli eventi.
Gli studi della JCAHO sugli eventi sentinella ci hanno fornito
una
interessante documentazione sulla distribuzione delle cause degli
errori più gravi – eventi sentinella -, utile ma
non
sufficiente per implementarne la prevenzione; mancando il
dato
sulla loro frequenza manca il fattore che consente di quantificare il
rischio secondo la sua accezione odierna anche in Italia (Legge 626).
E’ possibile infatti che la distribuzione delle cause degli
eventi sentinella sommersi e sconosciuti sia diversa, (come diverse le
barriere alla loro individuazione) da quella degli eventi riferiti e
raccolti nella statistica della JCAHO .
Per questo motivo sembra arbitrario estrapolare anche al sommerso la
stessa distribuzione della cause come ad esempio quelle individuate
dalla JCAHO per diversi tipi di errori. Non è detto infatti
che
per ogni tipo di errore esistano le stesse barriere alla loro
segnalazione, e ciò potrebbe costituire un bias di selezione
delle cause destinato a spostare le risorse per la prevenzione in
settori altrimenti trascurati.
Ad esempio per le cause alla radice degli eventi dovuti ad infezione (
Fig. 12)
un campione peraltro molto piccolo (57 casi) considerato il lungo
periodo di osservazione (1995-2004) il difetto di comunicazione
risultano in meno del 10% della segnalazione contro più del
70%,
nei ben più numerosi eventi operatori e postoperatori (
Fig. 13).
Non sappiamo quale sarebbe stata la prevalenza dei difetti di
comunicazione se i campioni fossero molto più numerosi e
rappresentativi.
La ricerca del metodo o dei metodi più accurati
per
l’individuazione del maggior numero possibile di errori ed
eventi
non è pertanto una pura esercitazione accademica (
Fig. 11)
Sempre più diffusa nella ricerca sociologica
è il
ricorso ai sondaggi sulla percezione del pubblico ritenuto depositario
di punti di vista più o meno rilevanti a seconda della
realtà che vogliamo conoscere.
La percezione della qualità delle cure, qualità
percepita, da parte dei pazienti, dei medici e degli
organizzatori della sanità è considerata ormai da
anni un
punto di riferimento ineludibile per la valutazione delle performance
della attività sanitaria.
Se l’errore è la componente negativa
della
qualità non si vede perché la percezione
dell’errore da parte dei pazienti, dei medici o
della
popolazione non ci possa fornire, se confrontata nello stesso contesto,
una più affidabile valutazione della
realtà e non
possa costituire un nuovo metodo di accertamento
dell’errore e dei danni che ne possono derivare.
Questo approccio iniziato dalla scuola di Harvard con il confronto
della percezione o se si vuole della esperienza della
popolazione
sulla frequenza degli errori prevenibili e delle loro conseguenze negli
USA rappresenta un modello innovatore nella metodologia per la ricerca
del “esse” secondo Berkeley (
Fig. 14)
per avvicinarsi il più possibile alla realtà.
Questo è stato il pensiero animatore del simposio. Ci
auguriamo
che la discussione tra alcuni massimi esperti sia utile per orientare
le nuove ricerche sull’errore medico e sulla sicurezza delle
cure
anche nel nostro paese.
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- Leape LL: Institute
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- Bianco A: Così
si tutela l’azienda più del paziente. Il
Sole 24 Ore -5 Settembre 2005, n. 243- pag. 47
last
update:
2005/12/29 |
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