STORIA

                LA CONDIZIONE FEMMINILE SOTTO IL "VIRILE" REGIME FASCISTA

 

La concezione fascista della famiglia

La dittatura mussoliniana costituì un episodio particolare e distinto del dominio patriarcale. Il regime promosse nuove misure concernenti i rapporti fra i sessi e i rapporti generazionali, al punto che la famiglia era incoraggiata a essere prolifica (secondo una precisa politica di incremento demografico).  Questo nuovo modello di famiglia su cui si basava lo stato fascista presupponeva un marito lavoratore dipendente, il cui salario era integrato dagli aiuti dello stato accentratore, e una moglie casalinga, tanto che si cercò di eliminare tutte quelle attività, come la scuola e l'istruzione, che potessero distrarre le donne dallo sposarsi presto e dall'avere molti bambini.

L'esaltazione della virilità

L'ideologia fascista inquadrava quindi le donne in una visione gerarchica del rapporto tra i sessi, dovuto all'enfatizzato culto della virilità, di cui Mussolini forniva il massimo modello, al punto da raccomandare ai suoi seguaci di non "discutere se la donna sia superiore o inferiore: constatiamo che è diversa". Il regime cercò di formare il suo tipo di donna ideale non soltanto discriminando l'educazione e gli sbocchi professionali, ma anche occupandosi di trucco, cipria e belletti e infine scatenando una guerra ai pantaloni congiuntamente alla chiesa. 

Lussuosi vestiti da donna degli anni '20

La donna ideale fascista e la "battaglia demografica"

Il tipo di donna italiana e fascista, moglie fedele e madre premurosa, fu certamente essenziale nella "battaglia demografica" e in quella autarchica: lo scopo che il Duce intendeva raggiungere entro la metà del secolo era una popolazione di 60 milioni di abitanti in una nazione che ne contava all'epoca solo 40. Tale campagna era giustificata in primo luogo da un motivo mercantilistico, che poneva l'accento sulla necessità di avere a disposizione semplici masse di persone come manodopera a basso prezzo; in secondo luogo l'aumento demografico era il presupposto essenziale perché l'Italia potesse raggiungere l'espansione imperialistica. Poichè gli esperti consideravano le donne "mal preparate alla sacra e difficile missione della maternità, deboli o imperfette nell'apparato della generazione" e soggette pertanto a generare una prole anormale, lo stato fascista si preoccupò di modernizzare il parto e la cura dei bambini, premiando le nascite e i matrimoni, glorificando le famiglie con più di dieci figli e condannando l'aborto come crimine di stato.

La fondazione dell'ONMI

Fu anche fondato l'ONMI (Opera Nazionale per la Maternità e l'Infanzia), che aveva come scopo quello di proteggere donne e bambini che non avevano una normale struttura familiare. Per ciò che riguarda il campo lavorativo, i dirigenti fascisti presero ben presto alcuni provvedimenti legislativi per impedire alle donne di competere con gli uomini sul mercato del lavoro, e per evitare che per esse la carriera diventasse un trampolino di lancio verso l'emancipazione

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