Il Verde urbano,
le Acque e le Fontane

Tratto da "Le Vie di Milano" edizioni "Il Mondo Positivo"

 

Fino alla metà del secolo passato Milano sembrava quasi affondare nel verde, anche all’interno della stessa cerchia del Naviglio.

Alberi secolari, orti e ortaglie gelosamente rinserrate nelle ampie aree private e nei giardini patrizi, immagini vivificanti di straordinaria bellezza, spazi verdi senza confini che esprimevano le idee e i sentimenti di chi li viveva.

Ma erano poche le pubbliche zone verdi, poche le piazze piantumate e pochi i viali alberati, se si eccettuano, a Porta Orientale, i «Boschetti» e i primi «Giardini Pubblici», piantati nel 1783 dal Piermarini sull’area dei soppressi conventi delle Carcanine, e lungo i Bastioni, che offrivano imponenti filari d’alberi per il pubblico passeggio e che avevano comunque molto da invidiare al nobile verde della borghesia.

Fu solo dopo la metà del secolo che, dopo molte proposte e progetti respinti, il Balzaretti iniziò a tracciare gli attuali Giardini Pubblici, di fronte alla Villa Reale.

Progettati nel 1856 furono terminati nel 1932, con il nuovo ingresso in fondo a via Manin. In tutto 180.000 m2, di cui 100.000 a verde, con un originale sfruttamento del dislivello verso i Bastioni di Porta Venezia, offrendo così l’attrattiva di laghetti, brevi corsi d’acqua e bacini, con suggestive costruzioni come il Padiglione del Caffè e quella più appesantita del Museo di Storia Naturale, in stile neoromanico, completato nel 1907, distrutto dai bombardamenti nel 1943, ricostruito e sempre in fase di ampliamento.

Con il Piano Regolatore del 1884, e le successive modificazioni del 1889 e del 1894, si decise la costruzione del Parco del Castello (Parco Sempione), su un progetto dell’arch. Emilio Alemagna, ed esteso su un’area di 485.000 m2 di cui 250.000 a verde, con eleganti prospettive all’inglese, su cui si innestarono nel tempo ulteriori progetti modificativi.

Il Parco Alessandrina Ravizza (83.000 m2 di cui 40.000 a verde) fu realizzato nel 1903-05 da Francesco Tettamanzi, ed è ancor oggi l’unica estesa opera verde della zona meridionale della città.

I piani regolatori realizzati e studiati tra le due guerre mondiali rappresentano delle vere tragedie per la città, per l’arte e l’ambiente: il verde degli alberi, in qualche decennio, venne sostituito dal grigiore dei marmi.

La copertura finale del Naviglio, da Porta Genova a San Marco, nel 1931 (dopo la sparizione del tratto della Fossa interna, nel 1897, dal Ponte dei Fabbri al Castello), aveva prodotto la scomparsa degli spazi verdi che ornavano le rive: al loro posto, come in via De Amicis e in via Carducci, per opera dei Caccia Dominioni, crebbero autorimesse e case d’abitazione.

E poi i giardini Melzi, Sormani, dei Cappuccini, Serbelloni, Besozzi, Frigerio, San Celso e molti altri scomparvero sotto l’incalzante speculazione che mutilò la città e l’ingente patrimonio arboreo esistente ed eliminò, con la demolizione dei Bastioni, nel 1936, quei rigogliosi viali alberati che rappresentavano una vera ricchezza ormai secolare, testimonianza vitale di tre secoli di storia della gente milanese che anche lungo quei viali aveva intessuto la grandezza della città: con quella perdita Milano soffrì non solo simbolicamente, ma anche negli affetti storici il clima del tempo, e la nostalgia divenne ancora più amara del dolore presente.
Non si può affermare che mancasse il fervore, mancavano forse le idee o la volontà di realizzare dei veri giardini, mentre i botanici del Comune si dedicavano a piantare alberi nelle piazze o lungo le strade, a seminare erbette e rinnovare i fiori negli slarghi e attorno ai vespasiani e ai monumenti equestri ed appiedati.

Solo agli inizi dell’ultimo conflitto mondiale Luigi Casiraghi traccia i piani per il Parco Solari, 60.000 m2 accanto all’Olona, ora coperto, piccolo parco rionale che non poteva certo rispondere alle necessità della popolazione, quadruplicata rispetto agli anni Venti; e intanto proseguivano i lavori per il Parco Lambro, 870.000 m2, realizzato fuori città con il sistema «a campagna » e l’unico che, per la scelta dell’area e della sistemazione, potesse denominarsi «parco» (ma bisognerà attendere gli anni Sessanta per usufruire di decenti comunicazioni fra parco e città e per i miglioramenti interni).

Le altre zone a verde sono rappresentate da ciò che resta del giardino della Guastalla (9000 m2) recentemente restaurato, Villa Reale (4000 m2), Villa Litta (50.000 m2), la collinetta del Monte Stella, i parchi di Baggio e Trenno, di Forlanini e del Trotter, le aree verdi di corso XXII Marzo, di Via Pallavicino, della Barona, delle Basiliche, i piazzali alberati (Martini, Marinai d'Italia, Sant’ Eustorgio, Marina, Maciachini, Siena, Bande Nere, Napoli, Grandi, Sant’Ambrogio ecc.), qualche via alberata e qualche solitario albero malato, come nella zona del Baravalle, nei Ticinese (60.000 m2 inutilizzati).

Appena fuori città si incontrano le più nuove aree verdi di BoscoInCittà (via Novara) parco delle Cave, Parco delle Groane (Bollate) e le grandi aree del Parco Nord e del Parco Agricolo Sud.

Nel complesso, non si può dire che il verde manchi del tutto a Milano, come si sente spesso ripetere, a torto.
Milano vista dall'alto sembra un parco con qualche casa in mezzo !!!
Il fatto è che moltissimi alberi sono privati, in quanto fanno parte dei famosi cortili dei palazzi del centro e dei nuovi condomini.
Le vie e le piazze cittadine possono infine contare su un totale di circa 200.000 alberi, che non sono pochi !


Non molto verdeggiante in apparenza esterna, senza la fortuna di un grande fiume,
Milano è lambita però da molti canali, fiumiciattoli, rogge,
un tempo baluardi difensivi della città, poi incuneati e sotterrati in percorsi obbligati.

Delle acque urbane si ricordano quelle più importanti, non navigabili (anche perché, con la copertura dei Navigli, il secolare sistema di comunicazioni tra la città e quello che oggi è rappresentato dal vasto hinterland è, malauguratamente, per sempre saltato).

L’Olona nasce da diverse sorgenti delle Prealpi Varesine e fino al 1927 raggiungeva la città da nord-est, rasentava S.Siro, creando poi la cosiddetta «isola di Brera» tra due anse e, lambendo un tratto della cinta dei Bastioni, terminava nella Darsena di Porta Ticinese; dopo il 1927, all’altezza della Cascina Mojetta, fu fatto deviare verso il Parco Solari e quindi nella Darsena.

Emissari della Darsena sono il Naviglio Pavese e il Ticinello, coperto dopo la metà del secolo scorso e che, affiancandosi alla Vettabbia, si dirige fuori Porta Lodovica, nelle campagne del sud.

Dal nord proviene anche il torrente Lura che si scarica in molti cavi minori a est di Baggio (ormai quasi tutti coperti); viene quindi il Nirone, modesto colatore delle Groane, che raggiungeva Porta Tenaglia e, seguendo il tracciato dell’attuale via Legnano, lambiva foro Bonaparte, corso Magenta, via Nirone, piegando per via Torchio (cambiando da questo momento il nome in quello di Seveso), attraversava il Carrobbio e piazza della Vetra.

Dalla parte opposta a quella del Nirone giunge alla Vetra il Seveso, proveniente dai fontanili della Brianza attraverso Porta Venezia, sottopassa il Naviglio, infila via Durini, entra nel Verziere, segue le vie Larga e Disciplini e termina nella Vetra, fondendosi con il Nirone e dando origine alla Vettabbia che, attraverso la via della Chiusa, e sempre sotterranea come i percorsi del Nirone e del Seveso, prende la via del sud e a Morivione esce allo scoperto, e a zig-zag procede fin verso la zona compresa tra Vaiano Valle e Nosedo.

L’altro grande fiume milanese è il Lambro che entra nel territorio metropolitano presso Crescenzago, attraversa l’omonimo parco, ed esce poco dopo Linate, avendo assorbito nel frattempo tutti gli scoli della città e dell’industria.

Segue il Redefossi che scorreva, sino agli inizi del secolo scorso, all’esterno dei Bastioni, da Porta Nuova a Porta Romana e che intersecava molti brevi corsi d’acqua che alimentavano i laghetti della Villa Reale e dei Giardini Pubblici, formando con altre rogge, specchi d’acqua e cavi sotterranei, una fitta rete idrografica.

Da ricordare ancora il laghetto di Redecesio, appena fuori città e il più grande Idroscalo, artificiale mare estivo dei Milanesi poveri.


La non grande dovizia di acque a livello aveva fatto sorgere
in passato idee e progetti per dotare la città di getti, zampilli d’acqua o fontane, ma solo nel 1782 il Piermarini, con lo scultore G.Franchi, costruiva la nota fontana davanti al Palazzo Arcivescovile, nell’area oggi denominata

piazza Fontana

Passerà quasi un secolo (1867) prima dell’inaugurazione della seconda fontana a Milano, il bacino dei Giardini Pubblici, di fronte a Palazzo Dugnani. Nel 1921 sorge quella dedicata a Ernesto De Angeli, nel 1927 la fontana delle Quattro Stagioni, di R. Gerla, di fronte all’ingresso maggiore della Fiera Campionaria: è un grande bacino con molti getti, adorno di statue, fiori ed elementi decorativi.

Dello stesso periodo sono le fontane di S. Francesco in piazza Sant’Angelo; quella dei Tritoni, all’angolo di via Romagnosi; quella di Sant’Antonio, di fronte all’omonima chiesa e quella fronteggiante il Castello, riattivata recentemente, dopo anni di clausura nei magazzini comunali, poiché era stata smontata per i lavori della Metropolitana.

Del 1935-37 è la fontana dedicata allo scultore Giuseppe Grandi, nel piazzale omonimo, costruita da Sever e Winderling.

Anche se per altro uso, sono da ricordare infine le fontane di viale Piceno e dell’Arena (detta fontana dell’acqua marcia), utilizzate per l’erogazione di acqua solfidrica che scaturisce, naturalmente, in queste due zone.


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