Il Naviglio di Paderno

Nel secondo decennio del Cinquecento, la città di Milano aspirava ad avere un terzo Naviglio, oltre quello Grande e della Martesana, costruiti nei secoli precedenti. Un Naviglio soprattutto, era il desiderio di molti, che congiungesse la città con uno dei laghi che le stavano a nord.

Non erano tempi facili per il ducato di Milano, conteso da molti potenti, in bilico continuamente fra la Francia, l’Impero e gli Sforza, con persino qualche tentativo di conquista da parte degli Svizzeri, l’unica forse e comunque l’ultima pagina imperialistica della storia elvetica.

Quando però, dopo la vittoria di Marignano (antico nome di Melegnano) del 13-14 settembre 1515, il nuovo re di Francia si riprese il ducato conteso, le speranze di molti milanesi sembrarono realizzarsi. Francesco I, giovane, aperto a molti problemi dei suoi sudditi, interessato a non scontentare i milanesi, sembrava il monarca adatto a favorire la costruzione della nuova opera idraulica.

Poco meno di un anno dopo infatti, nel luglio 1516, il re di Francia dotò Milano di un reddito annuo di diecimila ducati d’oro, sotto condizione che se ne spendesse la metà per la creazione del terzo Naviglio. Il denaro proveniva ovviamente da tasse o imposte del ducato, cioè dalle tasche dei milanesi; anche se, come volevano gli usi del tempo, appariva come un dono regale. Ma era in fondo l’approvazione e l’incitamento a realizzare la grandiosa opera desiderata.

Francesco I lasciò liberi i milanesi di scegliere il territorio più opportuno dove aprire questo terzo Naviglio. Se ne occupò dapprima Leonardo da Vinci, che tracciò alcune idee teoriche molto interessanti, in realtà irrealizzabili e non realizzate. Altri ingegneri e tecnici, designati dal Senato di Milano, non persero tempo: già nel novembre e dicembre di quello stesso

anno 1516, cominciarono a visitare e studiare tutto l’alto milanese. Erano diretti da Benedetto Missaglia e Bartolomeo della Valle. Esplorarono il territorio intorno ai laghi di Civate, di Sala, di Pusiano; quello intorno a Paderno o prospiciente il Lambro e la Tresa. Si interessarono dei Laghi di Lugano e di Como.

L’attenzione di Missaglia e Della Valle si fermò su un canale che servisse a congiungere Milano col Lago di Como; che rendesse cioè possibile una navigazione continuata fra le due città, cosa che allora non avveniva. Infatti, come scrive il Dozio, in quegli anni e nei successivi «. . .le merci provenienti su barche dalle terre del lago di Como, come legna, carbone, barili di vino ecc. giunte a Brivio, di qui erano poi condotte per via di terra fino a Porto per una tratta di circa otto miglia, ed a Porto erano caricate su altre navi per a Milano sull’Adda e Naviglio della Martesana: il qual carico e trasporto e discarico dai carri avveniva con gravi spese e lentezza»

La necessità ditali trasbordi era data dal fatto che l’Adda, nella zona di Paderno, non era navigabile, né sarebbe stato possibile renderlo atto alle barche da trasporto per la rapida corrente e la presenza di numerosi grossi scogli.

Le autorità milanesi promisero un premio di duecento ducati a chi indicasse un progetto di semplice realizzazione per «...derivar l’acqua dal lago di Como in ogni sito che a Brivio o in quelle vicinanze.. » Il concorso andò però deserto, perché nessuno presentò qualche piano.

Sorse allora nella mente del Missaglia l’idea di un canale parallelo all’Adda nel tratto in cui il fiume non era navigabile. «Saltando» così il punto non percorribile, la navigazione poteva scorrere senza intoppi dall’Adda alla Martesana e da questo Naviglio fino a Milano, senza alcuna necessità e di trasbordi per terra.. Malgrado le molte difficoltà che presentava, l’impresa fu iniziata nel 1520; ma l’anno dopo fu interrotta dall’aprirsi delle guerre fra Carlo V e Francesco I, di cui il ducato di Milano dovette sopportare particolarmente le amare conseguenze. Il progetto del Missaglia fu. accantonato e per oltre trent’anni non si pensò più al terzo Naviglio.

Nel 1535, morto l’ultimo Sforza, il ducato milanese passò di fatto a Carlo V, che undici anni dopo ne investiva duca il figlio Filippo di Spagna. Quando, dopo il trattato di Chateau Cambresis, ebbe inizio un periodo di pace, Milano era dunque retta da tempo da un governatore spagnolo che a sua volta faceva capo direttamente al re di Madrid.

Qualche lavoro era stato fatto negli anni precedenti, seguendo il progetto di Missaglia. Ma, come scrive il Codara «...gli anni di mezzo del secolo XVI rappresentano nel riguardo dell’idraulica più che una sosta, un regresso nello sviluppo della navigazione del Milanese, conseguenza questa dei metodi del governo spagnolo laglieggiatore ed oppressore con balzelli continui, ora sui cavalli, ora sulle mercanzie e perfino sui camini delle case!». Ma solo con la pace le idee per il terzo Naviglio ripresero forza e consistenza.

Nel 1562 un monaco olivetano, Giovan Francesco Rizzi, presentò un progetto che il governatore di Milano gli approvò l’anno dopo. Varie difficoltà economiche costrinsero però il Rizzi ad abbandonare l’impresa.

Qualche anno dopo, nel 1570, un altro progetto fu presentato da un nobile milanese, Cesare Cono, che si offriva anche di finanziare i lavori chiedendo in cambio dei privilegi sulle acque e sulla navigazione. Non tanto per questa richiesta, usuale a quei tempi, ma probabilmente perché il progetto non risolveva compiutamente il problema (vi era previsto un sia pur breve tragitto per terra), il governatore spagnolo non lo approvò.

Dopo qualche anno, un nuovo progetto fu presentato nel 1574. Era di Giuseppe Meda, famoso e geniale ingegnere, che indirizzò anonimo il suo piano al Consiglio milanese, per svelarsene più tardi l’autore. Prometteva di realizzare il canale di Paderno in circa due anni e con una spesa di soli 52.000 scudi d’oro e la concessione a suo favore di qualche privilegio.

Le cose andarono per le lunghe, sia per la proverbiale lentezza della burocrazia spagnola che per altri ostacoli che vennero a interessare la vicenda del nuovo canale. Si era rifatto vivo Cesare Cono, che aveva in parte modificato il suo progetto già respinto. E allo stesso tempo la città di Como si dichiarava contraria alla costruzione del canale, che mentre avrebbe avvantaggiato senza dubbio Milano, deviando invece i traffici da Como avrebbe portato danni all’economia di quella città.

Fra battibecchi e rimandi si arrivò al 1590, quando il re di Spagna approvò in ogni dettaglio il piano, i disegni e le proposte di Giuseppe Meda. Nel frattempo, l’autorità milanese ave respinto ancora una volta il progetto di Conio; e la magistratura, davanti alla quale i comaschi volevano sostenere le loro ragioni, non ne aveva accettato le rimostranze.

Meda non perse più altro tempo: nel 1591 cominciarono i lavori, assunti in appalto da un bergamasco, Francesco Valezzo. Il progetto era ardito geniale: la sua famosa «conca», la pima in tutto il mondo nelle opere idraulica che affrontava il problema una caduta d’acqua di ben 18 metri, fu poi elogiata da quei tecnici che ne esaminarono la pianta.

I lavori procedevano fra gelosie, contrattempi, cattiva volontà degli operai e anche scarsezza di denari, dato che i 52.000 scudi d’oro previsti dal Meda si rivelarono ben presto del tutto insufficienti. Si aggiunse nel 1593 un inverno con gelate eccezionali, che produssero notevoli danni alle opere e al terreno. Alla fine, con la morte del Meda nel 1599, morte che certamente le amarezze provocategli dall’invidia dei suoi colleghi affrettò, l’opera rimase incompiuta. Si erano già spesi qualcosa come duecentomila scudi d’oro, quasi sette volte di più della cifra stabilita per tutti i lavori.

Qualcuno tentò di portare avanti le opere, il nobile milanese Guido Mazenta dapprima, gli ingegneri Bisnati, Campazzo e Turati poi. Ma sembrava che senza il Meda l’opera non potesse andare avanti; e presto tecnici e governanti se ne disinteressarono. Altro, ogni tanto, nel successivo secolo XVII, mostrò qualche velleità di rimettersi a lavorare per il Naviglio di Paderno. Ma l’abulia del governo spagnolo, su cui influiva certamente la cronica mancanza di denaro di quella disordinata amministrazione, faceva cadere idee e progetti. Di positivo c’era solo un fatto in tutto il problema: il complesso delle opere incompiute cominciava già nel Seicento ad essere ufficialmente chiamato «Naviglio di Paderno».

Per molti decenni non si parlò più del nuovo canale. Intanto gli avvenimenti politici e le guerre modificavano ancora una volta l’assetto del ducato e il suo governo. Il 26 settembre 1706, le chiavi di Milano erano consegnate a Eugenio di Savoia, il famoso condottiero al servizio dell’Austria, dopo che questi aveva vinto la battaglia di Torino. E nella primavera dell’anno successivo, i francesi abbandoneranno tutto il Milanese. Iniziava, di fatto, la storia della Lombardia austriaca che durerà, una sola volta interrotta dalle vicende napoleoniche, fino al 1859.

Il nuovo governo non si interessò subito del Naviglio di Paderno; ma verso la metà del Settecento, tornò a galla l’idea di dare alla nuova strada compiuta realizzazione. Sembrava necessario richiamare in Lombardia certi traffici internazionali che in quegli anni preferivano passare per il Piemonte, per questioni di costo e di tempi.

I piani che ora vari ingegneri proponevano non offrivano idee originali, ma rispecchiavano in gran parte i piani già concepiti nel passato. Così, nel 1758 il luganese Francesco Antonio Rusca riprese il progetto col quale, alla fine del Cinquecento, Guido Mazenta aveva tentato di finire l’opera iniziata dal Meda. Prevedeva una spesa di quasi seicentomila fiorini. E l’ingegnere tedesco Roberto Spalart, ripropose il progetto che nel 1565 Giovan Francesco Rizzi aveva dovuto abbandonare per mancanza dei fondi necessari. Sostenitore dell’ardito piano del Meda fu invece il milanese Dionigi Maria Ferrari, che aveva raccolto gli scritti e i disegni del suo sfortunato predecessore. Studiandoli a fondo, ne aveva capito la grande genialità e la modernità delle idee.

Questo fervore di iniziative aveva messo in allarme ancora una volta il Comune di Como. Convinti sempre di ricevere un danno ai loro commerci, i Comaschi questa volta erano anche consapevoli della precisa volontà del governo austriaco: che intendeva realizzare per davvero l’opera tante volte progettata, rinviata, iniziata, abbandonata. Non era dunque il caso di ricorrere a tribunali e di far causa a Milano, com’era accaduto in precedenza; occorreva impiegare altri mezzi.

Così, su commissione del Comune di Como, l’ingegner Pietro Banfi studiò la possibilità di un Naviglio che collegasse direttamente Milano con Como, attraverso i fiumi Aperto e Seveso. Il progetto apparve subito di difficile esecuzione e di costo troppo elevato. I due milioni e quattrocento mila lire occorrenti non rientravano i nelle possibilità di Como. Per questo i non se ne fece nulla.

- Il Consiglio Generale di Como cercò allora di ottenere un indennizzo per i danni che la costruzione del Naviglio di Paderno si pensava gli avrebbe recato. E tentò con varie argomentazioni di convincere anche i governanti che la nuova via non conveniva nemmeno ai mercanti milanesi, sia perché avrebbero pagato in tutti i casi dazi superiori a quelli piemontesi, sia per le presunte difficoltà del percorso. A Como erano certi che varie merci che si volevano esportare dai paesi del lago a Milano, come il grano, il vino, l’olio, i latticini, il fieno, le bestie da macello, il legname da opera e da ardere, non avrebbero approfittato della nuova via dell’Adda. Vedevano una convenienza solo nel trasporto di pietre da costruzione. Nella sua opposizione a Milano, Como finì per trovarsi isolata, perché gli altri paesi lariani si dichiararono favorevoli alla navigazione sull’Adda.

Il conte Carlo Firmian, che rappresentava in Lombardia il ministro Kaunitz e il governo austriaco e che aveva particolarmente a cuore la costruzione del nuovo Naviglio, esaminò con cura i vari progetti e anche le continue lagnanze della città di Como. E finì per soffermarsi sui piani di Pietro Nosetti, un esperto in opere idrauliche che, per l’ironia della storia, era comasco.

Uomo più di pratica che di teoria, erede di quella scuola comacina che aveva portato maestri per tutto il mondo, Nosetti non si sentiva di condividere la modernità del Meda ma si atteneva piuttosto, pur con idee sue, al progetto di Missaglia.

Accettò l’incarico e i consiglieri che il conte Firmian gli mise accanto, Antonio Lecchi, Francesco Maria De Regis e Paolo Frisi, che firmò i piani finali.

Il contratto d’appalto per la realizzazione del Naviglio di Paderno fu stipulato il 13 luglio 1773, dopo che l’imperatrice Maria Teresa aveva approvato con decreto del 4 febbraio precedente il piano dei lavori e il finanziamento da parte dello stato

La spesa prevista era di seicento cinquantamila fiorini; i lavori furono cominciati nello stesso anno 1773. Proseguirono speditamente. Come termina il Dozio, infatti: «Nel 1777 erano terminati il canale, lo sgombro dei massi caduti nell’Adda tra Porto e Trezzo, e tutta la strada dell’alzaia del canale della Martesana fino a Bnvio: qui imbarcatosi l’undici ottobre di quell’anno l’arciduca Ferdinando governatore, inaugurò solennemente la navigazione, scendendo fino a Vaprio.

Nel suo giro inaugurale. l’arciduca asburgico era accompagnato naturalmente dal conte Firmian; una grande folla festosa prese parte all’avvenimento. Il collaudo definitivo delle opere avvenne due anni dopo, il 6 ottobre 1779, dopo che furono riparati alcuni danni dovuti a cedimenti di terreno. E questa comunque la data definitiva che segna il termine dei lavori del nuovo Naviglio.

Contrariamente a quanto pensavano i comaschi, sulla nuova via d’acqua cominciarono subito ad affluire verso Milano merci come il ferro, il carbone e il legname. Di questo traffico si avvantaggiò soprattutto Lecco.

Fu istituito un servizio pubblico regolare fra il Lago di Como e Milano, che cominciò a essere operante già nel 1780. Questo servizio fu assimilato a quello già in uso nel Ticino, diminuendo però le tariffe di navigazione e introducendo alcune esenzioni daziarie. Alle barche discendenti si assicurò il carico di ritorno col trasporto del sale.

Per addestrare il personale addetto a questo servizio, furono invitati alcuni esperti «paroni» del Ticino a stabilirsi in località dell’Adda. Le barche che provenivano dal lago erano controllate a Lecco dal Ricevitore di finanza. Ogni barca aveva almeno tre barcaioli. Si impiegavano «barconi», natanti di ragguardevoli proporzioni, poiché erano lunghi quasi 24 metri e dislocavano 36 tonnellate; accanto alle «barche mezzane» di 22 metri e ai «borcelli» sui 18 metri.

Una lunga pala manovrata dal «parone» gli serviva come timone. Quando si doveva risalire, ogni barca era tirata da almeno due cavalli. Occorrevano sette ore per coprire il tragitto fra Lecco e Brivio, un’ora per quello fra Brivio e Paderno. Da qui a Trezzo ci volevano altre cinque ore.

La costruzione di strade in Valtellina e di altre che portavano al lago, nei primi anni dell’Ottocento, favorì l’afflusso di merci verso la pianura. Da Mobiello e Limonta arrivava il gesso, da S.Fedelino di Chiavenna i graniti bianchi, da Moltrasio le tegole di ardesia, da Malgrate la calce, dall’Adda le mole da Mulino e i legnami, da Colico il fieno, da Argegno il carbone di legna.

Tale rimase all’incirca l’aspetto del Naviglio di Paderno per quasi tutto il secolo XIX. Una notevole modifica venne apportata invece fra il 1896 e il 1898, quando fu costruito presso Paderno lo stabilimento idroelettrico detto di Robbiate della società Edison di Milano. Il letto dell’Adda venne ostruito con due dighe per derivarne un canale di alimentazione. Dalla fine del secolo scorso dunque il canale servì anche a convogliare l’acqua per l’impianto idroelettrico di Paderno.

Press’a poco in quegli anni cominciò la progressiva decadenza del Naviglio, come di tutto il sistema di navigazione interna del Milanese.

La navigazione su questo tratto continuò comunque ancora per qualche decennio nel nostro secolo, sia come trasporto di merci che come pretesto, nelle giornate di festa, di gite in barca per allegre brigate di gente. E intanto ricominciarono studi e progetti per meglio sistemare la via navigabile Lago di Como - Milano, con l’idea di potenziarla e allargarla. A Milano nel 1918 sorse un consorzio su iniziativa privata per approfondire il problema.

Studi e discussioni non evitarono però che l’avvento dell’automobile e dei trasporti su strada aggravasse la decadenza del Naviglio di Paderno. Su quello che un tempo era stato chiamato «il terzo Naviglio», ogni attività cessò intorno al 1930.


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