La Martesana

L’idea di un canale che collegasse Milano all’Adda cominciò a prendere forma a metà circa del secolo XV. Accogliendo le proposte di un consorzio di privati cittadini, il duca Filippo Maria, ultimo dei Visconti, approvò, infatti, il piano di scavo del nuovo canale, con un decreto del 3 giugno 1443.

Il primo progetto era però limitato a un’opera che servisse sia per l’irrigazione dei campi coltivati sia per fornire ai mulini la necessaria forza motrice; non tanto alla navigazione. I cittadini che si erano riuniti in consorzio (la storia ci ha tramandato i nomi di Prevostino de Pioris, Ambrogio de Rociis, Pietro de Monetis, Battista da Pagnanis, Giovanbattista da Castiglione e Catellano Cotta), avevano domandato al duca l’autorizzazione allo scavo di un canale in grado di azionare sedici ruote di mulino. Ottennero il permesso richiesto ma la portata d’acqua fu limitata al fabbisogno di dieci mulini.

Filippo Maria Visconti si era preoccupato anche di mettere alcune condizioni, come quella di non togliere l’acqua all’Adda in caso di guerra o di preparativi di guerra, dato che il fiume rappresentava il confine naturale fra il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia e costituiva, per l’arte bellica del tempo, una notevole difesa. I costruttori dovevano inoltre prevedere le misure necessarie per lo smaltimento delle piene.
Ma già il Visconti aveva previsto di far diventare quel semplice canale un vero e proprio naviglio che portasse a Milano. Tanto che, si diceva nell’atto di concessione, qualora il duca avesse voluto appunto prolungare il canale per farne un naviglio, non era previsto alcun indennizzo ai cittadini consorziati che, in tutti i casi sotto la supervisione di ingegneri governativi, avrebbero condotto i lavori; il loro vantaggio restava il diritto di prelievo dell’acqua e la conseguente possibilità di irrigare i campi e far andare i mulini.

E già qualche mese dopo, il 20 dicembre dello stesso anno con un decreto successivo il Duca di Milano stabiliva in pratica la creazione del nuovo Naviglio, inserito in un progetto di più ampio respiro, che interessava non solo il collegamento di Milano con l’Adda ma anche col Po e col Ticino.

I relativi lavori non vennero però iniziati con tempestività; e quando nel 1447 morì Filippo Maria Visconti, non erano ancora cominciati. Soltanto dieci anni dopo il nuovo duca di Milano, Francesco Sforza, dava il via agli scavi, di cui nel frattempo aveva affidato la direzione all’ingegnere Bertola da Novate, un tecnico di grande valore che, ancora ai tempi dei Visconti, si era occupato con altri del nuovo canale. Anche lo Sforza aveva le idee chiare. La costruzione del Naviglio gli premeva «accioche venendo le Vettovaglie, e le merci dal Lago di Como, e la Provincia, e la Città godesse di tutti quei beni, e commodi di natura, e d’arte, e appresso si facessero delle irrigazioni, delle Moline, e delle altre utilissime industrie».

Il nome di Martesana venne al nuovo Naviglio da una stirpe, la gens Martecia, che già prima dell’anno Mille era stanziata nella regione compresa tra il Seveso, l’Adda, la Valassina e il territorio di Melzo, una zona che era stata circoscrizione militare dei Goti, poi dei Bizantini e dei Longobardi.

I primi lavori, dall’Adda fino al fiume Seveso, furono realizzati in Otto anni. Ma ne occorsero altri sei prima di rendere navigabile questo tratto:

nel 1471, quand’era Duca Galeazzo Maria. L’intero percorso fu infine realizzato nel 1496, sotto Ludovico il Moro, con l’arrivo degli scavi alla periferia di Milano e il congiungimento

del Naviglio con la Cerchia interna della città. Diresse i lavori, che Ludovico il Moro seguiva con particolare interesse, l’ingegnere ducale Bartolomeo Della Valle; e pare vi abbia influito Leonardo da Vinci, che già per conto del governo milanese si era occupato del Naviglio di Paderno. Quest’ultimo, infatti, volto a superare un tratto dell’Adda non navigabile, era strettamente collegato alla navigazione sulla Martesana; ma la sua realizzazione, come si vedrà in seguito, avvenne molto più tardi, per motivi più che tecnici, politici ed economici.

Una volta terminata la nuova opera, i governanti si preoccuparono di regolarne minuziosamente l’uso. Troviamo disposizioni precise in una grida del 19 settembre 1505, riferite al transito, al commercio e alla manutenzione. Tutte le merci dovevano pagare, entrando o uscendo da Milano, il cosiddetto Dazio della Conca, un’imposta suppletiva su merci già tassate, il cui gettito era integralmente destinato alle spese di manutenzione del canale; ogni barcone in navigazione doveva avere almeno tre marinai, per garantire la sicurezza della manovra; il diritto di estrarre acqua a scopo d’irrigazione rimane strettamente limitato ai titolari delle autorizzazioni rilasciate dal Commissario e regolate da «campari» appositamente istituiti.

Qualche anno più tardi, nel 1510, il regolamento generale della Martesana venne riformato: il canale fu dato in appalto per nove anni e in questo tempo gli assegnatari dovevano garantirne la navigabilità e controllare con rigore le prese d’acqua abusive, che rischiavano di impoverirne la portata.

Forse per liberare lo Stato dagli oneri di gestione e probabilmente su richiesta dei milanesi, nel 1515 il governatore Massimiliano Sforza vendeva alla città di Milano il Naviglio Grande e la Martesana, con tutti i diritti sulle acque, alvei e rive, eccettuate quelle vendite e donazioni fatte in precedenza, in genere a privati.

La cosa però non piacque a quel grande accentratore che era Francesco I, il re di Francia, fortemente convinto che la proprietà di tutti i canali navigabili non poteva che essere statale. Ne nacque una questione che si trascinò per anni senza approdare a risultati concreti. E che praticamente era ancora insoluta quando il Milanese passò sotto Carlo V e la Spagna. Il nuovo regime, ancora più statalista di quello francese, non si occupò nemmeno della questione, che finì pertanto per cadere da se.

I governatori spagnoli di Milano sono passati alla storia con la fama, meritata, di cattivi amministratori, anche se spesso erano gli eccessi di tutela di Madrid a bloccare ogni loro attività o iniziativa. Ma non si può dire che non si occuparono dei Navigli milanesi, dove spesso cercarono di riparare i danni provocati da usi e da abusi degli utenti e degli appaltatori o dalle frequenti calamità naturali.

Negli ultimi decenni del secolo XVI il traffico commerciale sulla Martesana era intenso, anche se a volte compromesso dalle ricorrenti piene del fiume Lambro che, entrando nel Naviglio all’altezza di Crescenzago, provocava non pochi disagi ai barcaioli, costretti anche a subire la perdita di interi carichi di merce. Si progettò di far passare il corso del fiume sotto il Naviglio, ma la spesa dapprima calcolata in circa 15.000 lire, fu poi preventivata più precisamente in 39.000 lire. Risultando dunque troppo elevata, il progetto andò a monte. Si rimediò in parte agli inconvenienti delle inondazioni costruendo un ponte di legno sul Lambro dove, quando arrivava la piena, potevano passare i barcaioli e i loro cavalli.

In quegli anni, i barconi della Martesana portavano a Milano frumento, granaglie, frutta fresca, prodotti caseari, carni, bestie da macello. E inoltre marmo, serizzo lavorato, legname di ogni genere; e poi utensili vari, catene, sedie, paglia, carbone, calcina, pietre per le fornaci e altri materiali. Le barche erano tassate pesantemente: bastava trasportare la quantità di merce corrispondente a quattro carri, di solito poco più della metà della portata, per pagare il dazio di carico completo.

La Martesana non era soltanto navigazione o irrigazione o forza motrice per i mulini: un’altra importante attività vi si svolgeva, l’estrazione di sabbia. Le relative opere erano date in appalto a piccoli e grandi impresari. Costante preoccupazione dei governatori spagnoli fu in tal caso mantenere alle acque il livello necessario alla navigazione, garantire la stabilità degli argini e il non facile equilibrio fra canale e fiumi attraversati.

A metà del secolo XVII, quest’attività è regolata con puntuale precisione dai regolamenti spagnoli. Leggiamo nei Capitoli promulgati in quegli anni le norme «che dovrà osservare il futuro Conduttore, per avere la privativa di cavare, e far cavare la Sabbia nel Cavo, dove decorrono le acque del Seveso solamente, quanto sia dalla porte di scaricatrici del Naviglio di Martesana sino al sostegno a fianco il Dazio di Porta Tosa, e non altrove per di fuori intorno al recinto di questa Città medesima, senza pregiudicare al Muro, che cinge la Medesima, con espressa condizione, che la Città non permetterà, né darà licenza ad alcuno di cavare Sabbia in alcuna parte de’suoi fondi, e questo per anni prossimi avvenire, con il carico al futuro Conduttore di osservare, et adempire a tutto ciò che segue»

Seguono, nel non facile italiano di quel secolo, vari articoli che stabiliscono gli oneri fiscali del conduttore, i suoi obblighi per la manutenzione, l’indicazione esatta di luoghi e tecniche per cavare la sabbia, le penali previste in caso di mancato pagamento o di non soddisfacente gestione dell’impresa. In caso di controversia, il solo organo di competenza è il Tribunale di Provvisione.

È dunque evidente che le autorità spagnole avevano molto a cuore la Martesana, e i commerci e le attività i che vi si svolgevano. Ciò anche perché, come scrive il Bruschetti «l’oggetto del Naviglio della Martesana nel rapporto della navigazione non fu semplicemente di unire Milano all’Adda, ma anche di servire alla più estesa comunicazione per acqua da Milano al Lago di Como per mezzo di altre opere progettate da farsi intorno a quel fiume»

La stessa attenzione vi portarono i successivi dominatori del Milanese, gli Austriaci, che ripresero anzi i piani per le grandi opere pubbliche e si trovarono di fronte al problema di risistemare l’intera rete di comunicazioni fluviali dopo che il regno di Sardegna aveva portato i suoi confini al Ticino. Si intensificarono studi e progetti per il Naviglio di Paderno, ora che il collegamento con il Lago di Como diventava l’impresa da realizzare con urgenza, non soltanto da vagheggiare come avevano fatto gli Spagnoli.

Alla Martesana non furono apportate variazioni. Completata in altri secoli, l’opera era nata bene, il suo tracciato e le sue opere erano state concepite fin dall’inizio con esatta intelligenza dagli ingegneri del Rinascimento. Per i trentotto chilometri del suo percorso occorreva soprattutto occuparsi della manutenzione e di far rispettare i regolamenti a chi vi esercitava un’attività. Come già avevano capito i governatori di Madrid. Unico neo da risolvere era rimasto il problema delle inondazioni del Lambro e del Seveso. Scrivendone al principio del secolo XIX, il Bruschetti avanza anche, per la prima volta, la proposta di una modifica nell’ultimo tratto della Martesana. «Così per evitare gli inconvenienti derivanti dalle piene del Lambro, del Seveso e di altri minori torrenti che attraversano la linea del Canale Martesana fra il suo incile a Concesa ed il termine a Milano, si sono riproposte più volte le fabbriche di alcune botti e ponti-canali in una luce proporzionata al necessario sfogo e nella forma adattata alle particolari circostanze dei casi. Non si vorrebbe trascurare all’occasione nemmeno un’utile riforma all’ultima tratta del Naviglio stesso della Martesana che di sotto dei sostegno della Cassina de’ Pomi e presso all’incontro del torrente Seveso non lascia tutta la desiderabile comodità alla navigazione per motivo di eccessiva pendenza»

Dalla seconda metà del Seicento, la Martesana inoltre non rappresentò soltanto una realtà commerciale e agricola. Sulle sue sponde, come su quelle di altri Navigli milanesi, sorsero ville patrizie di notevole valore artistico, sede di vacanza e di svago per i nobili milanesi durante la stagione calda o al dolce inizio degli autunni padani. Ventiquattro sono gli edifici di rilevante valore storico-artistico che si affacciano su questo canale; mentre sono trentuno sul Naviglio Grande e cinque su quello di Bereguardo.

Distribuite lungo tutto il percorso del canale, da Goria a Groppello d’Adda, queste testimonianze di altre epoche e altre società, formano i due nuclei più consistenti nei territori dei Comuni di Cernusco sul Naviglio e di Inzago.

La Martesana fu attiva per tutto il secolo scorso. I barconi, le barche mezzane e i borcelli, costruiti nei cantieri sul Lago di Como, scendevano e risalivano la corrente con grande frequenza; i servizi di corriera tra Milano, Concesa, Vaprio e Inzago coprivano il percorso in sette ore e mezzo in discesa e in dodici ore in risalita.

Poi, nel XIX secolo, la Martesana subì la stessa sorte degli altri Navigli milanesi, avviandosi a rapidissimo declino, le cui profonde cause sono esaminate in altra parte di questo libro. Già circa trent’anni fa, scriveva Gian Piero Bognetti: «Sebbene lo si conti ancora tra le "vie di comunicazione", di fatto le statistiche denunciano che tutta la navigazione è ormai ridotta quasi soltanto ai pochi viaggi di qualche barcone, carico di sabbia e ghiaia, specialmente nel tratto da Vimodrone e Milano. (Il che, trattandosi di un canale che congiunge Lecco a Milano, potrebbe servire da obbiezione ai molti che ogni tanto rispolverano i grandi progetti di navigazione interna; se essi stessi non potessero a loro volta rispondere che la limitata utilità della Martesana, come corso d’acqua navigabile, dipende dall’attuale limitatissima profondità del canale

Così la Martesana, come gli altri Navigli del sistema milanese, attende malinconicamente che il futuro le ridia una sua identità.


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