Il Naviglio Grande
(e di Bereguardo)

Il Naviglio Grande deriva dal Ticino, presso Tornavento una località in Comune di Lonate Pozzolo (in provincia di Varese), e termina nella Darsena di Porta Ticinese. Così ci appare oggi ed è apparso a moltissime generazioni di milanesi; è dubbio però che le sue acque abbiano avuto fin dall’inizio quell’origine. «Che meraviglia — scrive il Cantù — ... se molti non si domandarono mai donde viene, ove va quest’acqua, che circola per la città e per la campagna come il sangue nel labirinto delle vene, e che, se non ci ricrea colla sua limpidezza, ci accomoda di tanti servigi».

Un’ipotesi, fra le tante, ci dice che il Naviglio Grande derivi da un canale costruito tra Abbiategrasso e Landriano nel 1157: per difendersi dal Barbarossa e contemporaneo quindi alla costruzione della Cerchia interna di Milano. Questo presunto canale avrebbe trovato il suo sfogo nel Lambro meridionale, ma non si riesce a capire se aveva origine dal Ticino oppure da corsi minori come la Mischia o l’Olona vecchio.

Sappiamo invece che nel 1179 comincia la costruzione di un canale, che presso Tornavento, prende le sue acque dal Ticino. E siamo certi della presenza, nel 1187, di un Naviglio in territorio di Trezzano proveniente da quel fiume; che nel 1211 ritroviamo ormai alle porte della città, presso il Ponte di Sant’Eustorgio, a poca distanza da Porta Ticinese.

Se incerta è la data di costruzione del più antico canale milanese, non si sa chi lo progettò: l’eventuale coincidenza di data col Naviglio più propriamente cittadino e con le opere difensive di una Milano minacciata dal Barbarossa non potrebbe far pensare a quel Guglielmo da Guintellino che presiedeva in quegli anni alle opere di architettura militare? Siamo nel campo delle ipotesi. E ignorandone il progettista, nulla possiamo sapere sull’originaria destinazione del nuovo canale.

Come via navigabile, il Naviglio Grande cominciò a essere utilizzato soltanto nel 1272, anno in cui terminarono i lavori di ampliamento e di abbassamento del fondo, ordinati nel 1257 dal Podestà di Milano Beno de’ Gozzadini. Una volta allargato e reso più profondo, il Naviglio poteva essere navigato da grosse barche, come quelle provenienti dal Lago Maggiore. Per questo motivo, probabilmente, prese l’appellativo di «Grande».

Le barche che scendevano dal lago cominciarono dunque, prima che finisse il secolo XIII, a portare in città legnami, fieno, formaggi, bestiame, derrate varie raccolte, strada facendo, ai mercati di Robecco, Abbiategrasso, Corsico e d’altri centri. Da Milano, verso la Svizzera e la provincia, venivano trasportati sale, ferro, granaglie e manufatti vari. Non possiamo non ricordare le parole ammirative con cui Giuseppe Bruschetti, ancora il maggior storico dei Navigli milanesi, parla del Grande: «E mentre le opere consimili del mondo antico erano perdute per sempre, mentre i canali dei Cinesi di tutte le età non potevano offrire all’Europa alcun lume dal loro inaccessibile impero celeste, si potrà anche dire a gloria dell’italiana industria, che il Naviglio Grande presentò alle successive imprese dello stesso genere un modello superiore alle idee ed ai mezzi de’ tempi».

E prosegue il Bruschetti: «I vantaggi arrecati da questo canale al Milanese, indipendentemente da quelli di un’immensa irrigazione e di altri usi delle acque, sono incalcolabili. L’aperta navigazione tra Milano ed il Lago Maggiore non si limitò a facilitare i trasporti del piccolo commercio che si faceva prima per la via di terra da quella parte del Milanese colla Capitale. Essa vi diede vita ad un’infinità di nuovi rami di commercio, vi contribuì sensibilmente alla felice rivoluzione avvenuta appunto a quell’epoca nella sua agricoltura, e vi ebbe un’influenza diretta sull’origine e sui progressi di tutte le altre arti ora divenute nel suo seno famigliari.
Per essa difatti acquistarono un valore i boschi, di cui la natura aveva rivestito estesissime vallate che sboccano al Lago Maggiore.
I loro prodotti trasportati a Milano facilmente e in gran copia hanno potuto supplire ad una quantità di boschi che ingombravano la pianura ne’ dintorni di questa città e degli altri abitati vicini alla linea del canale. Il terreno del piano, reso invece alla libera disposizione del coltivatore, ha dato in cambio alla parte montuosa i grani e gli altri generi, di cui poteva abbisognare per accrescere la sua popolazione.
Nella stessa maniera furono anche somministrate alle altre arti le materie prime che si incontrano lungo il promontorio del Ticino o nei monti che circondano il Lago Maggiore, e così in Milano hanno avuta un’esistenza i principali monumenti d’ogni genere che ora vi si ammirano. In una parola, il Naviglio Grande, fin dall’epoca in cui fu usato la prima volta per la comunicazione dal Ticino a Milano, & divenuto la prima ricchezza del Milanese
».

Fra i materiali occorrenti alla costruzione di case e monumenti trasportati a Milano dal Naviglio Grande, è notissimo che circa un secolo dopo la sua apertura, sulle sue acque discesero i marmi necessari a creare il monumento maggiore. Agli Agenti della Veneranda Fabbrica del Duomo, Gian Galeazzo Visconti concederà il privilegio di non pagare alcun pedaggio e anche il diritto di introitare il dazio della Conca, che veniva esatto dalle navi in entrata e in uscita dal Naviglio Grande.

Sul trasporto dei marmi per il Duomo dal Lago Maggiore a Milano, si sono soffermati, è ovvio, tutti gli scrittori e gli storici. Citiamo per tutti il Cantù, che dice: «Al Naviglio Grande crebbe importanza la fabbrica del Duomo; il cui marmo traevasi dalla Gandoglia sulla dritta del Verbano e sulla sinistra della Toce, barcheggiavasi pel Naviglio fin dove ora è porta Ticinese, ma colà restava ancora gran pezzo discosto...» dal Duomo. Il Naviglio infatti comunicava con il Laghetto di Sant’Eustorgio, corrispondente all’incirca a quella che ora è la Darsena di Porta Ticinese; ma per avvicinarsi il più possibile al luogo di costruzione della cattedrale, i barconi venivano condotti per la Cerchia interna al Laghetto di Santo Stefano.

Non era quest’ultima navigazione facile e sicura, poiché si trattava di vincere la differenza di livello fra i due laghetti. Fu perciò costruita una chiusa provvisoria sotto il Laghetto di Sant’Eustorgio per impedire che l’acqua, immessa nei canali interni per alzarne il livello al piano del Laghetto di Santo Stefano, defluisse nel Naviglio. «Mediante tali provvedimenti i materiali della Fabbrica del Duomo, che nel 1387 venivano consegnati al Ponte della Catena, nel 1395 potevano arrivare per navigium novum ad lagetum Sancti Stefani in Brolio Mediolani"», scrive Luca Beltrami.

Se questo sistema procurava un vantaggio anche a quei privati che potevano avvicinare i loro carichi di merci ai magazzini di città, per altri versi era scomodo e dannoso. Per permettere la navigazione, infatti, era necessario interrompere frequentemente l’irrigazione oltre a dover inattivare ogni volta le chiuse appena costruite. Se ne lamentavano gli utenti cui l’acqua del Naviglio serviva per i loro campi, primi fra tutti i monaci di San Celso e di Chiaravalle.

Il sistema era cioè troppo lento e l’uso dell’acqua per altri fini che non fossero la navigazione, subiva pesanti e ricorrenti interruzioni. Proprio quest’inconveniente portò a una di quelle invenzioni, che, nella storia della tecnica, costituiscono le svolte decisive fra un periodo e l’altro. Si pensò dunque di limitare la variazione di livello dell’acqua solo a quel tratto del canale che conteneva strettamente la barca in transito, mediante l’impiego di due chiuse. Nacque così la «conca», invenzione grandissima poi applicata nella navigazione interna di tutto il mondo, vanto dell’ingegneria italiana, che è attribuita agli architetti ducali Filippo da Modena e Fioravante da Bologna. La Conca di Viarenna a Milano, situata pressappoco dove oggi sorge la Via Conca del Naviglio, è stata la più antica che si conosca e venne costruita ai tempi di Filippo Maria Visconti, intorno al 1439.

Qualche decennio prima era cominciata la costruzione del Naviglio di Bereguardo, derivato dal Naviglio Grande presso Castelletto di Abbiategrasso, congiunto all’altezza di Trivolzio col Naviglietto, a sua volta quest’ultimo sfociante nella parte meridionale del Naviglio di Pavia (in quel tratto chiamato Navigliaccio). I lavori iniziarono nel 1420, duca sempre di Milano Filippo Maria Visconti.

È probabile, in mancanza di documenti che ce lo dicano, che il Naviglio di Bereguardo sia nato con scopi puramente di irrigazione. Ma nel 1438, all’incirca al tempo della costruzione della Conca di Viarenna, cominciarono altri lavori per renderlo navigabile. Si era capita l’importanza, in mancanza di una via d’acqua diretta fra Milano e Pavia, del suo collegamento fra il Naviglio Grande e la città ticinese.

La morte di Filippo Maria nel 1447 e la conseguente estinzione della dinastia viscontea non influirono, se non transitoriamente, sulle vicende di questo canale minore. Francesco Sforza, che continuò la politica idroviaria dei Visconti, completò nel 1470 la sistemazione del Naviglio di Bereguardo, che diventò così regolarmente percorso da natanti.

Adibite soprattutto al trasporto del sale, ma anche d’altre merci, le barche del Naviglio di Bereguardo erano chiamate cagnone, borcelli o barche mezzane, secondo la loro grandezza e portata. Non sembra ci sia mai stato un servizio di traghetto per passeggeri, un servizio regolare. Vi navigò invece senz’altro il duca Filippo Maria Visconti, che si era fatto costruire un’apposita barca detta «magna» per recarsi da Milano a Pavia. Questa barca arrivava fino ad Abbiategrasso lungo il Naviglio Grande, poi imboccava il Naviglio di Bereguardo e giungeva fino a Pavia. Nell’ultimo tratto, quasi certamente, c’era un trasbordo a terra. Ma allora venivano anche usati canali minori, poi sicuramente abbandonati. Anche il duca Galeazzo Sforza, e altri potenti locali di quei tempi, si servivano dei navigli per i loro spostamenti.

Il Naviglio di Bereguardo in ogni caso iniziò presto la sua decadenza: già nei primi anni dell’Ottocento, quando l’apertura del Naviglio pavese lo relegò a corso d’acqua periferico e locale.
Il trasporto di passeggeri ebbe invece grande importanza sul Naviglio Grande. Cominciarono senza dubbio barchette locali a trasportare passeggeri da un paese all’altro, senza regolarità, su iniziativa privata di barcaioli intraprendenti, specialmente nei giorni di mercato o di feste. Solo a metà del secolo XVII la navigazione passeggeri cominciò ad acquistare un andamento regolare e frequente. Ma bisogna aspettare ancora un secolo, fin verso la metà del Settecento, per trovare una vera regolamentazione del servizio pubblico, quanto a tariffe, orari, fermate e partenze alle varie stazioni.
Le barche che erano due all’inizio del Settecento, diventarono dodici alla fine di quel secolo. Svolgevano servizio giornaliero da Milano a Turbigo, da Milano a Boffalora, da Milano ad Abbiategrasso, da Milano a Gaggiano. A metà Ottocento a queste stazioni si aggiunse quella di Robecco sul Naviglio.
Una fortunata commedia di Cletto Arrighi del 1870 farà diventare celebre e proverbiale «il barchett di Boffalora».

Sia le barche corriere, come erano chiamate quelle che trasportavano passeggeri, che le altre adibite esclusivamente alle merci, erano appositamente costruite per il Naviglio Grande. Le barche maggiori erano chiamate cagnone: lunghe metri 23,50, larghe 4 metri e 75, portavano da 40 a 50 tonnellate di merci.

In salita, la navigazione si effettuava facendo trainare i natanti da cavalli o anche da uomini. Questi vecchi mezzi di trazione, che rimasero sino ai primi anni del Novecento, saranno poi sostituiti da camion. Ma né questa «innovazione» né l’abolizione delle tasse di navigazione, decretata nel 1879, valsero a tenere in vita l’attività delle barche corriere, il cui declino era già cominciato, se vogliamo, nel 1840, quando furono istituiti regolari servizi di diligenze; o più tardi, con l’introduzione di mezzi di locomozione a vapore. Si è trattato, scrive il Codara, di una vittoria del «gamba de’ legn», alludendo al famoso trenino a vapore che per 78 anni (1879-1957) ha congiunto Milano a Magenta.

Anche sul Naviglio Grande, la navigazione fu minuziosamente inquadrata in una serie di norme e sottoposta a n tasse spesso pesanti; un sistema dove i» spesso la precisione sconfinava nell’autoritarismo dei governanti, specialmente al tempo degli spagnoli, una vera e propria rete che invischiava i barcaioli. Di una magistratura milanese, con il compito di regolamentare l’uso delle acque e contemperare gli interessi pubblici con quelli privati, si ha notizia fin dal 1271. Era deputata alla cura delle acque del Naviglio Grande e ad essa ci si rivolgeva in caso di trasgressione di norme statutarie. Il sistema misto di irrigazione e navigazione, obbligava a regolamentare in dettaglio l’impiego di chiuse, conche e prese d’acqua. Norme su tali argomenti si trovano nei vari statuti pervenutici dal 1200 in poi venivano rese esecutive dal Tribunale di Provvisione, magistrato che finì per accentrare tutte le controversie riguardanti i canali navigabili, anche in merito alla riparazione e manutenzione.

Il Naviglio Grande era sorvegliato o da guardie armate a cavallo, costituenti probabilmente un corpo a sé, con compiti legati esclusivamente alla custodia del canale e al rispetto delle orme relative; tanto è vero che queste guardie venivano retribuite col gettito delle tasse pagate ai barcaioli. Il ricavato dei dazi della Conca e della Catena andavano invece alle spese di manutenzione. Dal Dazio della Catena, che pagavano le barche passando dal Naviglio Grande alla Cerchia interna, superando appunto una catena stesa sul canale, erano esenti le barche della Fabbrica del Duomo, che venivano contrassegnate con la sigla «A.U.F.» (Ad Usum Fabricae), diventato poi nel linguaggio popolare «a ufo», sinonimo di gratuito.

Anche la navigazione vera e propria era soggetta a regolamentazione: per esempio, le barche non potevano procedere affiancate, non dovevano sostare sotto i ponti, si controllava che il peso non superasse la portata stabilita per quel tipo di natante, ecc. Le pene per chi trasgrediva erano piuttosto severe: dal pagamento di ammende, si arrivava anche al sequestro del carico e della barca.

Quando nel 1515, il governatore Massimiliano Sforza vendette alla città di Milano il Naviglio Grande (e la Martesana) i vari dazi furono aboliti. In sostituzione furono introdotti dei diritti di navigazione, che erano percepiti dalle autorità cittadine. Alle quali però spettava l’obbligo di mantenere e curare il Naviglio per il suo uso migliore.

Ma la vendita non fu mai riconosciuta dal re di Francia e tanto meno, qualche anno dopo, dai nuovi governanti spagnoli. Il gettito dei diritti sui Navigli tornarono subito statali ancora sotto Francesco I. Gli Spagnoli richiamarono tutta la legislazione vigente ai tempi dei Visconti e degli Sforza. Tornarono così i vari dazi sulle merci, e il Dazio della Conca e il Dazio della Catena che, per far fronte alle sempre crescenti e continue spese di riparazione dei Navigli, vennero anche raddoppiati

La situazione non cambiò molto col regime politico seguito allo spagnolo, quello austriaco. Tanto che molti storici indicano proprio nel Dazio della Catena, che non interessava soltanto il Naviglio Grande, la causa del decadere del commercio appena iniziatosi su un’altra via d’acqua: il Naviglio di Pavia, inaugurato nel 1819. Quando nel 1879, le tasse sui Navigli vennero abolite, il declino del Grande era già iniziato.

Chi percorra il Naviglio Grande ancora oggi incontra numerose le testimonianze della vita economica, sociale e religiosa che sulle sue rive è sorta e si è sviluppata per oltre cinque secoli. Antichi borghi, giardini, torri, chiese ci dicono di un passato fiorente. Non è questa la sede per parlarne in dettaglio. Basterà ricordare l’antica e celeberrima chiesa di San Cristoforo, dove sostavano i nobili diretti alle residenze di campagna, come atto reverente di saluto prima del viaggio. Oppure la chiesa di Castelletto di Abbiategrasso dove nel 1584, venendo dal Lago Maggiore e diretto a Milano, passò San Carlo ormai morente. Fatto questo che è ricordato da una statua eretta nel 1749 presso il Naviglio, a Cassinetta di Lugagnano. Ancora oggi è in vita la singolare usanza, nata pare nel 1755, di conservare due fiaschi sotto il piedistallo della statua: uno pieno d’olio e l’altro di vino. I fiaschi sono cambiati ogni venticinque anni.

Cassinetta di Lugagnano come Robecco, comune poco distante sono considerati fra gli angoli più gradevoli del Naviglio Grande e tradizionalmente scelti a luogo di villeggiatura, come testimonia la ricchezza delle ville sortevi tra il Quattrocento e il Settecento.

La maggior fioritura di ville, lungo il Naviglio Grande si ebbe però nel Seicento quando, per la recessione economica che aveva colpito l’Europa, la terra divenne il bene rifugio in cui investire i capitali accumulati nei più floridi anni precedenti. La villa oltre che residenza di villeggiatura, divenne quindi anche il luogo in cui curare da vicino i propri interessi, senza con ciò rinunciare a rimanere simbolo di prestigio e di nobiltà.

Si sono paragonate le ville sul canale milanese a quelle famose sul Brenta. In realtà, le ville sul Naviglio Grande non hanno la sontuosità e l’ampiezza di quelle venete; ma una maggiore modestia e appunto praticità tutta lombarda; pur se conservano una suggestiva bellezza.


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