Ictus


Queste alici sono troppo piccole, ci vuole tempo a pulirle e sono gia’ quasi le otto. Tra poco arriveranno gli ospiti e devo ancora impanare i calamari e i filetti di pescatrice. I fritto misto e’ laborioso da preparare ma in genere riscuote un ampio consenso e poi soprattutto piace a me. Scegliere il menu’ non e’ privilegio da poco visto che in queste cene in casa con amici tutti mangiano le stesse cose e mai nessuno che si lamenti. Squilla il mio cellulare ma non posso prenderlo con le mani che sanno di pesce, le risciacquo velocemente e lo prendo con due dita "venga subito, sua madre non sta bene"

Mi precipito in auto e corro verso la casa dei miei genitori. E’ buio e c’e’ un po’ di nebbia, a tratti piu’ fitta a volte meno. Ognuno di noi sa che davanti a se c’e’ qualcosa di indefinito, una specie di zona buia che contiene gli eventi che segneranno la nostra vita. A volte si ha la sensazione che qualcuno di questi eventi si stia avvicinando e ci prende il batticuore. Ho una gran paura che qualcuno si sia accorto che i miei genitori sono troppo anziani e che e’ ora di mandare le cose avanti.

Arrivo alla casa e trovo la porta gia’ aperta dalla ragazza che assiste i miei. Mia mamma e’ seduta in poltrona con un colorito piuttosto acceso. Come va mamma? Non mi risponde. Insisto e lei pronuncia parole che non capisco. Arriva il 118 ed entrano tre robusti giovanotti con casacche arancioni fosforescenti e una barella. Alla vista di costoro mia mamma si alza dalla poltrona e se ne va in cucina lanciando sguardi preoccupati come per dire che la lasciassero in pace, lei non c’entra, ha altre cose da fare. E mentre noi la seguiamo per convincerla, lei dice parole chiare nella pronuncia ma oscure nel significato come se appartenessero ad una lingua estinta di una civilta’ perduta. Se qualcuno volesse credere nella reincarnazione vi troverebbe le tracce evidenti di una vita precedente.
Dopo non poche insistenze e giri in tondo per la casa lei infine arriva proprio vicino alla barella. Si sieda signora! Va bene ma solo una volta e proprio perche’ insistete tanto, sembra voler dire. Appena seduta la caricano in autoambulanza ed io la seguo al pronto soccorso.

Come ogni sera del fine settimana c’e pieno di gente che aspetta preoccupata, ognuno con un proprio problema. Faccio educatamente presente che in caso di infarto cerebrale, come sembra essere il caso, si dovrebbe intervenire tempestivamente. Allargano le braccia e scorrono minuti interminabili. Infine alla mamma mettono una flebo e la mandano in reparto.
Il giorno successivo si fanno gli accertamenti e la tac rivela che i danni sono lievi. In pratica e’ salva la zona cerebrale profonda che sovraintende al movimento e alle funzioni vitali ma c’e’ un problema in quella alta, dove hanno sede memoria, razionalita’ e tutte le funzioni piu’ elaborate tipiche del cervello umano.

Arrivo a sera per dare il cambio a mia sorella. La trovo stravolta e con un filo di voce, mi dice: ha ricominciato a parlare in italiano ma era meglio prima. Mi avvicino preoccupato alla mamma.
Osservo i suoi occhi che trovo strani e diversi. Le pupille sono dilatate, l’azzurro dell’iride, abitualmente limpido e profondo e’ opaco, quasi biancastro. Anche l’espressione e’ poco rassicurante, sembra quasi un’altra persona.
Ho sete, dammi da bere, mi dice in tono perentorio. Le passo il bicchiere con un po’ d’acqua. Che schifo ma cos’e’ questa roba? Acqua. Bevila tu l’acqua cretino non sai che io voglio il te alla pesca? Vammi a prendere il te alla pesca!
Mamma ma a quest’ora i negozi sono chiusi! Ma come, non hai visto il distributore di bevande nel corridoio del pronto soccorso? Vai e portami il te alla pesca!
Alla faccia dell’ictus! Ma come ha fatto poi a notare il distributore! Non vado perche’ la vedo molto agitata e credo che il te non sia indicato. Ecco, questa e’ la riconoscenza che si ha a tirar su dei figli! Gira la testa da un lato e vede una signora con una gran testa di capelli rossi girata di spalle che assiste una paziente nel letto di fianco al nostro. Chi e quello spaventa passeri? Dice a voce alta mentre gli sfugge una risata inopportuna. Abbasso lo sguardo imbarazzato. Non si salva neppure la signora che e’ nell’altro letto di fianco al nostro. Suo marito e’ un buono a nulla, mi dice sempre a voce alta, se lo vedi non gli dai 10 lire. Giro lo sguardo verso la signora e allargo le braccia, lei mi fa appena cenno di non preoccuparmi e che ha ben capito la situazione.
Fammi scendere dal letto! Sono state messe le sponde rialzate per evitare che se ne vada a spasso per l’ospedale. Mamma non posso, devi stare a riposo! Fammi scendere, devo prendere il treno! Si aggrappa alla sponda e si solleva di forza per scavalcarla. Non ci riesce e ricasca indietro. Sei cattivo non aiuti tua madre, allora vai via! La cosa si ripete molte volte finche’ arriva una paziente di un’altra camerata. Possiamo chiudere la porta per favore? Stanotte non si chiude occhio! Non so piu’ cosa fare, mi sento smarrito e impotente.

Mia mamma, un giacimento inesauribile di energie, premure, dolcezze e attenzioni, capace di tirar su cinque figli come nulla fosse, di mandare avanti un’azienda agricola per cinquant’anni, di portare un marito cagionevole in salute ampiamente oltre la soglia dei 90 anni.
Questo vero caterpillar della vita che non si ferma di fronte a nulla ha un problema nella cabina di guida, un corto circuito, un blocco, qualcosa che ne altera profondamente il carattere. E’ una realta’ dura da accettare, riconoscere che la chiusura di un capillare possa trasformare una persona e ribaltare quelli che sembravano i valori piu’ solidi e immutabili della vita.
Arriva l’assistente che mi da il cambio e me ne vado verso casa. Mi sento svuotato. Siamo dunque delle macchine? La nostra personalita’ e’ solo una questione di circuiti cerebrali? Io spero che vi sia qualcosa in piu’, solo che in certi momenti sperare diventa veramente difficile.

La sorte pero’ e’ benevola.
La ridondanza cerebrale, merito dell’altissimo numero di cellule, funziona anche a 86 anni. Nuove giunzioni vengono attivate per superare i percorsi interrotti dall’ischemia e, come per incanto, la macchina meravigliosa riprende a funzionare. La mamma migliora lentamente finche’ al terzo giorno la trovo come risvegliata da un brutto sogno. Coma va mamma? Bene ma dimmi piuttosto come stanno i bambini? E Barbara? Non preoccuparti per me, vai pure che avrai tante cose da fare.
Si mamma sei ancora tu, grazie di essere tornata. I tuoi figli hanno passato la cinquantina ma hanno ancora bisogno di te.

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