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Creatività e matrimonio

   
   
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Scrittore non sposato col testosterone al massimo.
(da www.i-like.it by Roberto Tosato)

 

 

Scrittori creativi: scapoli contro ammogliati
Il matrimonio è la tomba della creatività? Secondo uno studio dell'Università di Canterbury, in Nuova Zelanda, sembra proprio di sì. Ma è vero anche per gli scrittori? 


La statistica, sempre la statistica. E’ notizia ormai di qualche settimana (cioè stravecchia) che un, docente di psicologia dell’Università di Canterbury, in Nuova Zelanda, il professor Kanazawa, ha messo sotto osservazione le biografie di famosi scienziati, musicisti, pittori, scrittori e criminali ed è arrivato alla conclusione che dopo il matrimonio, almeno per gli uomini, c’è poco da fare: la creatività diminuisce fino a scomparire quasi del tutto. Peggio ancora va se ci sono dei figli: l’artista maschio, scienziato pittore musicista o criminale che sia, è ridotto al ruolo di casalingo pantofolaio, soffocato, si immagina, nell’abbraccio letale di una moglie che invece continua ad essere creativa, e anzi, forse, da quel momento lo è sempre di più. Come è noto, a muovere questa ricerca è l’affermazione di Albert Einstein secondo cui se uno scienziato non ha dato il suo contributo alla scienza prima dei trent’anni, non lo farà mai più. Causa del crollo della creatività dei maschi, secondo il professor Kanazawa, è il calo del testosterone, il mitico ormone maschile, che dopo il matrimonio perde fatalmente colpi. Tutto questo potete leggerlo nell'articolo di Laura Laurenzi su La Repubblica on line o di Claudio Lanzieri su Panorama.  

Ora, il professore avrà anche ragione, ma a me è venuta subito voglia di ficcanasare nella biografia di qualche scrittore preso più o meno a caso. E intanto devo dire che a quanto ne so Mario Puzo ha scritto il Padrino perché non sapeva dove trovare i soldi per accontentare la moglie e quindi da qui si vede subito che una moglie al fianco, almeno per gli scrittori,  può avere molteplici (impensati) effetti e arrivare anche a  più che compensare il supposto calo del testosterone. E infatti Hemingway ha avuto quattro mogli, e a ognuna ha legato almeno un’opera importante, da Fiesta, dedicato alla prima moglie Elizabeth Hadley Richardson, fino al Vecchio e il Mare, che ha pubblicato nel 1952, all’età di cinquantatre anni, sposato alla sua ultima moglie, Mary Welsch. Non c’entra, ma lo dico: certo che per essere uno che amava pescare e andare a caccia, oltre che scrivere, ha avuto una vita piuttosto avventurosa.

Ma procediamo in modo più ordinato. Vediamo un po’: Tolstoj, tanto per dirne uno, si sposa all’età di trentadue anni con una ragazza di diciassette (che tra parentesi gli darà la bellezza di tredici figli) e tutti i suoi capolavori stanno sulla sponda matrimoniale: Guerra e Pace, terminato sette anni dopo il matrimonio, Anna Karenina, sedici anni dopo, Resurrezione, ben ventisette anni dopo. Il poco più anziano Dostoevskij pubblica Delitto e Castigo due anni dopo il primo matrimonio, ma tutti i capolavori successivi sono legati alla seconda moglie, la studentessa Anna Grigorevna che in un mese aveva steso sotto dettatura il manoscritto del Giocatore e che poi gli starà vicino nelle varie peripezie fino alla morte.

Meglio di loro – dal punto di vista matrimoniale – ha fatto il nostro Manzoni: sposa nel 1808 Enrichetta Blondel e solo tra il 1825 e il 1827, cioè con il testosterone a livelli di guardia, pubblica i Promessi Sposi.

E Musil non è da meno: sposa nel 1911 la vedova Martha Marcovaldi  e solo vent’anni dopo dà alla luce il primo tomo dell’Uomo Senza Qualità. Di Musil si sa che invidiava il successo di Thomas Mann, al quale, esule negli Stati Uniti, bastavano poche lezioni all’Università di Princeton per mantenersi (lui invece aveva i suoi bei problemi a sbarcare il lunario e la moglie, appunto, si lamentava che il suo geniale marito se ne stesse “in utopia” e vivesse in pratica di elemosina). Su Thomas Mann bisogna riconoscere che ha scritto il suo più grande romanzo, I Buddenbrok, prima del matrimonio (si sposò nel 1905 ed ebbe sei figli, erano altri tempi) ma insomma non è che la Morte a Venezia e la Montagna Incantata (ispirata da una visita nel sanatorio svizzero dov’era ricoverata proprio la moglie Katja) siano cosette.

Forse, almeno per gli scrittori, il rapporto moglie-creatività è più complesso, e andrebbe magari indagato in più direzioni, oltre a quella ormonale. Per esempio Scott Fitzgerald riesce a sposare la bella Zelda Sayre solo quando riesce a far pubblicare Di Qua Dal Paradiso – al primo tentativo gli era stato rifiutato il romanzo e il matrimonio. E con la moglie inizia una vita “spericolata” tra Europa e Stati Uniti e intanto pubblica il Grande Gatsby e Tenera è la Notte.

Stefano D’Arrigo non ebbe di certo una vita spericolata, ma è documentato che la moglie Jutta Bruto era la prima lettrice – e critica molto temuta – delle pagine dell’immenso libro che andava filando (lo pubblicherà nel 1975, ventisette anni dopo il matrimonio, con il titolo di Horcynus Orca). E Calvino? Il matrimonio per lui è stato un vero spartiacque: di là il Calvino favolistico di baroni rampanti e visconti dimezzati, di qua quello metafisico delle Città Invisibili. Quale il migliore?

Insomma, gli scrittori sono una categoria complicata e non mi sembra così assodato che il matrimonio faccia loro male. Piuttosto capisco che siano preoccupati in Cina, dove la nuova generazione dovrà fare i conti con una certa scarsità di femmine (e questa è davvero una brutta notizia: i genitori non vogliono figlie femmine e fanno di tutto per eliminarle, prima o dopo la  nascita): mancando i matrimoni, si teme, aumenterà la criminalità. In perfetto accordo con la teoria del professor Kanazawa (sposato e quarantenne).

(26-11-2003)

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