E'
difficile trovare parole per ricordare qualcuno. Se poi questo
<<qualcuno> ha condiviso con noi un significativo tratto di vita, descriverne la personalità è quasi impossibile senza
che si sia tirati da ancora vivi sentimenti,
ricordi e passioni già comuni, mentre con lo scritto si pretende peraltro di generare quell'idea d' immortalità
di un nome, ed anche con quel nome dare un senso, in fondo, anche a momenti della nostra vita.
In questo caso poi, a frenare
le parole, esiste la profonda convinzione che
l'amico si sarebbe infastidito, e non poco, a vedere il suo nome in internet,
mezzo che non amava particolarmente, fautore, com'era, delle idee espresse
sulla carta attraverso la stilografica; e questo non già per rifiuto del
nuovo: il suo detestare il web, derivava dalla funzione critica che
aveva nei confronti del mezzo: la certezza, più che la paura,
che si perdesse la buona scienza antica, il timore di essere controllati,
come in effetti avviene con gli squallidi social network, di essere violati nella propria intimità,
quell'intimità di cui era gelosissimo custode.
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Un giorno di piogga
Uno squillo rompe il mattino cupo e grigio,
nel microfono il vuoto rotto dal pianto
un viaggio, nella memoria solo la strada,
un camminare silenzioso inspiegato nello scuro.
La luce, le persone, la disperazione
la morte, la morte di un uomo
di un padre, di un caro amico
in un giorno di pioggia.
Jacopo d'Agostino |
Per quanto sia contrario e non creda a definizioni
del tipo <<l'ultimo degli umanisti>>, <<l'ultimo dei liberi pensatori>>, ecc. devo tuttavia ammettere che l'uomo che ho conosciuto è stato davvero uno degli ultimi umanisti
e liberi e trasgressivi pensatori che abbia conosciuto, una persona
dai molteplici interessi, in cui si mischiava positivamente tutto, dalla
musica, alla letteratura, alla poesia, alla pittura, all'architettura,
all'amore per i viaggi e, non ultimo, l'amore per i motori e le automobili d'epoca.
Il suo carattere spigoloso
era solo apparentemente spigoloso, serviva a scremare immediatamente e provocatoriamente
le conoscenze occasionali, a scrutare se esse fossero davvero degne della sua
frequentazione o meno. Sempre pronto alla battuta di spirito ed all'umorismo comìè proprio d'ogni spirito autenticamente toscano,
sapeva trovare in questo una delle chiavi di volta della vita, prendendola
per quello che è, un gioco maleddatamente serio ma sempre un gioco, toccando così, nella rara capacità
di saper giocare, le più alte realizzazioni dell'esistenza.
Non ha lasciato opere che
lo ricordassero, quelle poche composte in gioventù sono andate
smarrite, ma ha lasciato l'esempio, opera ben difficile da tramandare e costruire, che richiede molta arte. Non intendo azzardare paragoni che a taluno potrebbe sembrare irriverenti, ma neanche Socrate, dopo tutto ci ha lasciato scritti, almeno non sono giunti.
Più che la sua personalità, il suo modo di porsi allora dinanzi
al mondo, potrebbe efficacemente essere descrittto con le parole che F. Busoni pone in
fine d'opera sulla bocca del protagonista, il quale , in una sorta di finis vitae, trae così
la morale della storia rappresentata: confrontarmi, avrebbero ridicolizzato queste mie manifestazioni intimistiche: |
Chi vince? Chi soccombe?
E chi fa valere la sua giusta causa alla fine?
Chi fidando solo su se stesso,
seguendo i suggerimenti del cuore
e con attento discernimento
sceglie la giusta via;
chi s'accontenta d'essere se stesso;
chi conserva sempre e comunque l'integrità
e non s'inchina a nessuno,
come io ho potuto dimostrare.
Miei signori, buona notte! |
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