I Walser

 
Intorno all' anno 1000 una popolazione di origine alemanna si stanziò nell' Oberland bernese, fermandosi ai piedi della catena alpina.
Attorno al IX secolo gli alemanni raggiunsero il passo del Grimsel e di li entrarono nel Goms, al valle dell' alto Rodano.
La parte bassa della valle era già stato colonizzato da romani col nome di "vallis", ed era da tempo terra di grandi transiti.
Il Goms invece era selvaggio, ma gli alemanni dissodarono terreni, abbatterono foreste e  costruirono abitazioni adatte ad un soggiorno stabile e si organizzarono in modo da essere autosufficienti.
Il loro non fu un esodo di massa, bensì di piccoli gruppi che, attraverso i più alti valichi alpini, raggiungevano e si stabilivano in zone ancora libere. Quando il nuovo insediamento si era perfezionato, quando le terre dissodate davano i primi frutti, nuovi nuclei si aggiungevano ai primi coloni. Le terre che essi occuparono erano collocate nelle regioni più alte delle Alpi che le genti già residenti nelle parti inferiori delle valli, non erano in grado sfruttare per l'ostilità dell'ambiente che non si adattava alle culture da essi praticate. L'unica risorsa era l'allevamento del bestiame e la coltivazione dei pascoli indispensabili per mantenere il bestiame stesso nel lungo inverno alpino. 
Ai vescovi-conti di Sion, signori del Vallese, questa gente fece intravedere la possibilità di ampliare gli spazi abitativi per una popolazione sempre crescente ed inoltre riscuotere tributi da terre ritenute, fino ad allora, improduttive.Oltre a questo i Walser erano esperti nell'uso delle armi fornendo al feudatario una sicura base di reclutamento per le proprie milizie
Per gli alemanni, i soli a resistere ai rigori del clima ed a conoscere le insidie della montagna, fu facile dettare le condizioni: i tributi sarebbero stati pagati in natura in cambio di un affitto ereditario delle zone coltivate, avrebbero inoltre fondato nuove colonia oltre le montagne, ma con garanzia di un regime di autonomia
Un tratto che lega le comunità walser è il forte spirito comunitario che non lede l’indipendenza individuale e collettiva. Questo porta anche ad una notevole consapevolezza e all’orgoglio della propria specificità rispetto alle popolazioni vicine.
L'elemento fondamentale della loro vita è il villaggio costruito in modo da essere autosufficiente soprattutto durante il gelido inverno: comprendeva la stalla, nella quale c'era anche un vano adibito ad abitazione nel periodo più freddo, il fienile sopra la stalla il forno per la cottura del pane e una cappella dedicata alla Madonna o a un Santo, ogni famiglia aveva il proprio simbolo che veniva riprodotto sulla casa, sulla stufa sugli stampi del burro,e persino sui banchi di famiglia in chiesa.La colonizzazione Walser fu sotto ogni aspetto pacifica.
Mediante una rete di collegamenti, continuarono a rifornirsi direttamente dal Vallese per i generi di - prima necessità - sale, attrezzi di metallo, granaglie e vestiario. In seguito le Colonie divennero autosufficienti. 
Anche sul versante italiano, la pressione demografica e le vicende politiche relative alle nuove libertà comunali, spingevano verso la montagna le mire dei signori della pianura.
Ed esso allora gli alemanni, divenuti nel frattempo Walliser ed inseguito, più semplicemente Walser, varcare i passi meridionali e dirigersi verso sud per fondare nuove colonie: Gressoney, Alagna, Macugnaga, Campello Monti, Migiandone, Ornavasso, Salecchio, Agaro, Valdo.
Risale al 1240 la probabile penetrazione in Val Formazza  attraverso il Passo del Griess, e da qui per  il Passo San Giacomo e la Gurinerfurka  nelle valli elvetiche Bedretto, Maggia e Levantina. Superarono poi verso Nord il San Gottardo, e a balzi successivi, sposandosi tra loro (da qui deriva la conservazione di lingua e tradizioni) i Walser colonizzarono il Rheinwald, i Grigioni ed arrivarono all' odierno Liechtenstein, portando con se la loro abilità nel coltivare i terreni ed allevare il bestiame  nell' alta montagna.
Un ulteriore gruppo fondò Grinderwald e Murren, ai piedi della Jungfrau, un' altra frangia si spinse nell' alta Savoia francese, ed un' altra ancora nel Vorarlberg austriaco. 
In pochissimo tempo, e con una velocità prodigiosa, i Walser compirono la loro opera di popolamento attraverso le alpi, molte località nell' Ossola sono a tutt' oggi una viva testimonianza di questa civiltà:

La lingua
La ricerca linguistica indica che le colonie walser che si trovano all’ombra del Monte Rosa, siano esse in territorio piemontese siano in territorio valdostano, risalgono agli spostamenti di abitanti del Basso Vallese. Il töitschu, il dialetto di Issime, dimostra come,  gli issimesi non ebbero più contatto con la madre patria: termini antichissimi si affiancano a termini di carattere franco-provenzale o italiano per indicare oggetti di introduzione più moderna.
Alcuni documenti dimostrano la presenza sullo stesso territorio di un gruppo di abitanti autoctono e di un gruppo di emigrati, situazione che è perdurata fino ai giorni nostri, con l’utilizzo dei termini pratum teotonicorum, che si trova nei pressi del Duarf, o via teotonicorum.
Anche i contatti commerciali e l’emigrazione stagionale degli uomini nella Svizzera romanda, in Savoia e in Francia hanno avuto enorme influenza sul dialetto, con l’introduzione di termini tratti dalle parlate di quei luoghi. Si è creata così una situazione unica: gli Issimesi sono diventati plurilingue con la conoscenza e la pratica del francese, dell’italiano, del franco-provenzale e del piemontese, oltre alla parlata walser.
Esistono alcuni sforzi per salvaguardare il patrimonio linguistico, a Macugnaga, un ingegnere scomparso nel 1974, aveva intrapreso la creazione di un dizionario, oggi disponibile presso la Walserverein (Associazione walser),
A Formazza si tengono corsi di lingua walser curati da iniziative private ( dalla "Deutschschulverein" di Zurigo).
 

La Casa Walser
Per adattarsi a condizioni di vita non facili la cultura Walser ha messo a punto una tecnica per la costruzione di abitazioni permanenti e temporanee in aree dal clima molto rigido. Lo stile delle abitazioni Walser si consolida nei secoli XVII e XVIII, per poi mantenere immutati alcuni caratteri che sono giunti sino a noi. 
Il sistema costruttivo detto del "Blockbau" è uno degli elementi più caratteristici di questa architettura e consiste nell’uso di tronchi squadrati e assemblati con incastri angolari. Pur essendo diffuso anche in altre parti d’Europa e in altre culture, la popolazione walser ne ha affinato la tecnologia e la qualità architettonica, tanto da farne un elemento caratteristico della sua area di diffusione.
Nelle aree di insediamento Walser  esiste uno schema concettuale riassumibile in alcune caratteristiche comuni: la prevalenza dell’uso del legno sulla pietra, la presenza nello stesso edificio delle funzioni abitative e di ricovero degli animali, la presenza di logge su uno o più lati dell’edificio, utilizzate come spazio per l’essiccamento della segale, della canapa e di altre produzioni.
Nella costruzione della casa walser esistono fasi successive e una divisione dei compiti. La prima fase è la costruzione del basamento in pietra, importante perché difende la struttura in legno sovrastante dall’umidità di risalita. La parte superiore della casa è invece tutta in legno , ed i legni usati sono il larice nelle travi, l’abete nei tavolati mentre il muschio è usato come tamponamento tra trave e trave e le resine svolgono un compito protettivo. 
La parte inferiore in pietra delle abitazioni è quasi sempre di impianto quadrato, e comprende una serie di locali. Al piano terreno la stalla e la cantina. Al primo piano il vano che si incontra entrando è la cucina, che è anche il luogo di lavorazione dei latticini. A fianco della cucina si trova sempre il locale di soggiorno, la stanza più calda della casa, che si trova sopra la stalla ed è rivestita di tavole di abete e di pino cembro. Era il fulcro della casa; il riscaldamento di questo ambiente è ottenuto con una stufa, o un fornetto, in pietra ollare.
La parte superiore della casa è tutta in legno, e comprende il fienile, un loggiato perimetrale con assicelle trasversali o verticali, esso era di grande utilità per fare essiccare la segala, l’orzo e anche il fieno quando il tempo piovoso non permetteva di farlo all’aperto. All’interno del fienile una stanza era usata come dispensa dove conservare cereali e viveri. In alcune abitazioni è presente una ulteriore stanza usata come camera da letto. Gli arredi tradizionali mostravano una grande attenzione alla ristrettezza dello spazio: le cassapanche ad esempio servivano anche come sedili, le culle erano spesso sospese e i tavoli erano allungabili; le dispense e le nicchie portaoggetti erano ricavate nello spessore dei muri e i letti, infine si trovavano a volte inseriti nella muratura del focolare per sfruttarne il calore.
La copertura di queste abitazioni è molto pesante essendo realizzata con lose ed è quasi sempre a due falde. Sulla trave maestra troviamo spesso indicata la data di costruzione accanto alle iniziali del proprietario.
Da questa descrizione si comprende che la casa walser non è solo un’unità abitativa, ma anche un luogo dove immagazzinare le scorte e i prodotti agricoli, dove alloggiare gli animali e infine un luogo dove svolgere molte attività artigianali come la tessitura o la lavorazione del legno.
Le abitazioni Walser erano perfettamente funzionali allo sfruttamento del suolo a queste quote offrendo le migliori condizioni di vita possibile alla popolazione.

Il Costume
Il costume delle feste
è un vestito di panno nero, composto da un corpino a maniche lunghe arricciate a nido d’ape, i polsini e il collo sono abbelliti da pizzi. La gonna con ricca arricciatura sul dorso e tre strisce di velluto nero al fondo. Sopra l’abito un grembiule di seta cangiante e lo scialle a frange, la pettorina a forma di trapezio rovesciato, la cintura composta da un nastro di velluto. Lo scialle è di seta cangiante o broccata, ha forma quadrata e viene portato piegato a metà in diagonale, i colori più utilizzati sono il violetto, il verde, il porpora, l’azzurro e il nero.
In testa è posata la cuffia una crestina ad aureola di merletti bianchi con pieghettatura a cannoncino, il fondo in tulle bianco ricamato, decorata da una corona ricamata a fiori e a frutti con nastri in tinta unita o ricamati. Sopra la cuffia si appoggia un velo ricamato di mussola bianca fine
Al collo un nastrino di velluto nero "legato" da un cuoricino d’oro e con un pendente d’oro a croce. Il costume femminile era tramandato di madre in figlia ed era utilizzato come abito da sposa fino a tutto l’Ottocento.
Il vestito di tutti i giorni era un semplice corpino a maniche lunghe cucito ad un’ampia gonna, di colore nero. Durante la stagione invernale ci si scaldava con uno scialle di lana all’uncinetto, o con una mantellina di stoffa.
Il vestito da lavoro era costituito da ampie gonne di cotone o di lana con camicie  senza collo e a maniche lunghe, di canapa grezza; sopra si portava un corpino ed un giubbino per le giornate fredde. La gonna era protetta da un grembiule in canapa con pettorina.
Il capo era coperto da un fazzoletto nero o con disegni floreali annodato posteriormente, sopra la cocca alla domenica diventava di seta a colori. Per le solennità religiose era di lino bianco inamidato.
Le calzature erano pantofole  di panno a più strati sia nella tomaia sia nella suola; questa era irrobustita da cordicelle di canapa. Per l’inverno si usavano zoccoli in legno o con suola in legno e tomaia in pelle.

Le Credenze
Tra i temi ricorrenti delle saghe narrate nella stube  ritroviamo quella della Valle perduta , dalla cui entrata segreta sgorgherebbe una sorgente alpina, questa leggenda trae origine sicuramente dal più remoto passato di queste genti.. La Verlorene Tal, la Valle perduta dei walser è situata a Nord, oltre i monti, il clima è mite e gli animali pacifici, è la loro terra natale. Il  mito era così radicato che, nel 1778 da Gressoney, sette cacciatori partirono alla ricerca della Valle perduta, al suo posto trovarono una distesa di ghiaccio, ma furono i primi europei a toccare quota 4000 . A Macugnaga  il mito resistette sino al 1850, quando alcuni alpinisti partirono per tornare , delusi, alle loro case. Ma la Valle non è morta ed ancor oggi molti parlano dei folletti e delle fate che, nella notte dei morti, escono dagli anfratti delle montagne e  vengono a burlarsi dei viventi..Vi sono poi racconti legati a spiriti burloni  o diavoli  e per scacciarli servirebbe l’intervento di un "esorcista laico" 
la funzione di questa figura veniva associata all’atto di "chiudere a chiave le anime degli spiriti" ed il suo nome era vardlokkur.
Interessante poi la leggenda della "donna gatto", nella quale si narra di come un giovane, ferendo un gattino con un coltello, liberasse involontariamente una giovane da un incantesimo.
Il rito cristiano del battesimo viene inconsciamente trasformato , usciti dalla chiesa, in un’allegra "imposizione del nome" consacrata da bevute rituali sulla via del ritorno lungo la  strada della chiesa,  un   coltello deposto accanto alla culla del piccolo servirà ad allontanare il folletto cattivo. Come la nascita, anche la morte veniva scandita da momenti ben precisi e misteriosi come i "segnali di morte" che si manifestano tramite soffi di vento che fanno sparire oggetti. Al corpo del defunto vengono fatti calzare degli stivali per permettergli di camminare nell’aldilà (l’uso di seppellire i morti con le calzature è praticato tuttora nelle aree alpine del Piemonte, a differenza di ciò che accade nel suo restante territorio , come pure quella di regalare qualcosa ai partecipanti al funerale , come una candela in Canavese o un sacchetto di riso nelle comunità walser ).Non deve essere dimenticata un’altra usanza walser legata al culto dei morti : la notte del 2 novembre, il focolare nella stube non viene spento,  ed ai morti che giungono in visita viene lasciata l’offerta di calde tazze di vin brulé.  Lungo la parete libera della stube , viene praticato un foro detto seelenbalggen  ( "finestrella per l’anima"), per facilitare l’uscita dell’anima del defunto, non appena il congiunto aveva cessato di vivere , il foro veniva richiuso per evitare che l’anima tornasse.
Tornando ai folletti, abbiamo diverse varianti, nei racconti dei vecchi di Macugnaga, ritroviamo questi folletti -lavoratori che aiutano  a far asciugare il pane di segala nello stadel, a mettere le lastre di pietra  sui tetti delle case per evitare che si infilino all’interno ghiri e scoiattoli e per render meno umido l’ambiente, questi aiutano ad accendere il fuoco nel forno della stube e fanno la guardia alle cassepanche dove sono custoditi i panni vallesani ricamati detti walsertuk

Tratto da www.omnialacus.com

 vedi anche
www.walserland.org
www.wir-walser.ch

 

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