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TRASFUSIONE IN ALCUNE SPECIFICHE SITUAZIONI CLINICHE

PRATICHE TRASFUSIONALI IN EPOCA NEONATALE E PEDIATRICA

Alcune pratiche trasfusionali sono peculiari della cura di neonati (sia prematuri che a termine) e piccoli pazienti fino a 4 mesi di vita. (1,2).

Per quanto riguarda le emazie concentrate, la dose da trasfondere è, per tutti, 15-20 mL/kg.

Le linee guida generali sono raccolte nella specifica tabella.

In caso di anemia da perdita acuta, se il neonato è pallido e presenta segni di shock e l'Hb è <8-10 g/dL si deve prima ristabilire il circolo con soluzione fisiologica e, successivamente, somministare 15-20 mL/Kg di emazie concentrate in infusione rapida (o piccoli boli da 5 –10 mL/kg nell’arco di 10 minuti), verificando la risposta clinica e cercando di arrivare ad un ematocrito del 30-40%.

Nel caso ci si trovi a curare un'anemia tardiva o associata a patologia acuta (sepsi, malattia respiratoria con ossigeno dipendenza), il neonato va trasfuso se l'Hb scende a valori < 12-14 mL/kg (ht<35-40).

Nel prematuro a ridotta crescita, senza problemi respiratori o infettivi acuti, quando l’Hb scende a valori <7-8 g/dL (ht <20), e la conta reticolocitaria è inferiore alla norma, si ritiene appropriato trasfondere 20 mL/Kg di emazie concentrate (si è dimostrato utile l’impiego precoce di eritropoietina sottocute).

 

Trasfusione di eritrociti

 

In età pediatrica, il volume ematico totale è calcolato in 75 mL/kg; la dose di emazie da trasfondere è di 10-15 mL/kg. E' stato calcolato che 4 ml/Kg di emazie concentrate innalzano l’emoglobina di 1 g/dL.

Fattori decisivi nella decisione di trasfondere emazie, oltre al valore dell’emoglobina sono:

  1. i sintomi, i segni e le capacità funzionali del bambino;

  2. la presenza o meno di problemi cardiorespiratori o neurologici;

  3. le cause dell’anemia e la possibilità di curarle;

  4. la possibilità di applicare terapie alternative quali la somministrazione di eritropoietina umana.

Si possono ricondurre le indicazioni alla trasfusione nelle varie situazioni cliniche a 3 principali categorie:

  • Perdita acuta

  • Perdita >25-30% del volume circolante in paziente non stabilizzato dopo infusione di cristalloidi e colloidi;

  • Emoglobina <7 g/dL.

  • Emolisi acuta

  • Non autoimmune: Hb <7 g/dL;

  • Autoimmune: trasfondere solo se indispensabile, in considerazione del rischio di emolisi delle emazie trasfuse.

  • Anemia cronica

  • In concomitanza con malattia cardiopolmonare severa: Hb <13 g/dL

  • Anemia aplastica: mantenere i valori pre-trasfusione attorno ai 9 gr/dL

Per quanto riguarda talassemia ed anemia falciforme è necessario fare alcune considerazioni a parte. Innanzitutto è sempre necessario tenere presente quali sono i rischi cui sono sottoposti i bambini prima di assumere una certa “politica trasfusionale” (rischio infettivo e rischio di tossicità marziale).

In genere, nella talassemia, si cerca attualmente di mantenere i valori pre-trasfusione attorno ai 9 gr/dL.

Per quanto riguarda invece l'anemia falciforme, ogni bambino possiede un'Hb "steady-state" che può essere anche di 7 gr/dL, senza che tale valore costituisca un'indicazione alla trasfusione.

Molto dibattuto è l’uso di trasfusioni mensili per abbassare la concentrazione di HbS e ridurre il rischio di primo stroke.

Se l'Hb scende sotto il valore "normale", possono manifestarsi vari segni che rappresentano indicazioni assolute alla trasfusione:

  1. episodio di ictus cerebrale

  2. “polmone acuto”

  3. sequestro splenico

  4. priapismo ricorrente

Nel caso questi bambini debbano affrontare un intervento chirurgico maggiore in anestesia l'Hb prima dell'anestesia deve essere portata ad almeno 10 g/dL.

 

Trasfusione di piastrine

 

Un valore di 10.000/mL può essere considerato come il limite minimo accettabile in un paziente pediatrico non sanguinante. Per valori minori è necessario trasfondere al fine di prevenire il rischio di emorragie spontanee.

Il target per la trasfusione di concentrati piastrinici è più elevato nel neonato (30.000/mL), raggiunge il valore di 50.000/mL nei neonati e nei prematuri stabili (età gestionale < 37 settimane) quando è presente un attivo sanguinamento o sono programmate delle procedure invasive e infine raggiunge nei prematuri ammalati con sanguinamento in atto o procedure invasive programmate il valore di 100.000/mL.

La dose standard nei neonati è di 10 mL di concentrato da aferesi, nei bambini è di 6x1010 ogni 10 Kg di peso corporeo (1 concentrato da aferesi ogni 50-60 g).

 

Trasfusione di plasma fresco congelato

 

Per bambini di età superiore a 6 mesi valgono le stesse indicazioni dell’adulto.

Per bambini con meno di 6 mesi che hanno livelli più bassi di fattori e inibitori vitamina K-dipendenti (PT e aPTT allungati) il PFC va trasfuso più precocemente, poiché in caso di emorragia acuta o CID sono più rapidamente depleti.

 

Indicazioni particolari per bambini con patologie onco-ematologiche

 

I bambini con patologie onco-ematologiche possono incorrere con facilità molto maggiore in varie situazioni cliniche che richiedono di essere trattate con terapia trasfusionale.

Le principali sono:

  • pancitopenia dopo chemioterapia o radioterapia;

  • emorragie acute;

  • infezioni;

  • shock;

  • immunodeficenza acquisita, specialmente dopo trapianto di midollo;

  • CID o altri deficit selettivi dei fattori della coagulazione;

  • profilassi di infezioni virali a rischio nel paziente immunodepresso (ad es. CMV, Varicella).

 

L’anemia in un paziente oncologico è generalmente iporigenerativa, normocromica e normocitica associata ad una riduzione del ferro sierico e della saturazione della transferrina, ma con livelli normali o aumentati di ferritina sierica.

Il midollo osseo di questi pazienti però è in grado di rispondere alla eritropoietina endogena, come accade nei pazienti senza tumore.

Una moderata anemia è spesso presente in questi pazienti anche in assenza di invasione midollare da parte di cellule neoplastiche e prima di cominciare terapie citotossiche, quando la soppressione della produzione eritrocitaria è dovuta alla inibizione dell’eritropoiesi e ad una diminuita produzione di eritropoietina endogena, a causa delle citochine infiammatorie.

Nel bambino oncologico un’anemia severa agli esordi è comunque legata alla diminuita produzione eritrocitaria per l’invasione del midollo osseo da parte di cellule tumorali, mentre successivamente dipende dall’aplasia delle linee eritrocitarie indotta dalla chemioterapia. Meno frequentemente l’anemia nel bambino con cancro è determinata dalla soppressione dell’eritropoiesi da infezione virale, ridotto apporto o malassorbimento del ferro, sanguinamento gastrointestinale o massiccia emorragia intratumorale. Come già descritto, in alcuni casi, a determinare un’anemia iporigenerativa è la massiva produzione di citochine come il TNF o l’interleukina 1, capaci di inibire l‘eritropoiesi.

 

La causa più frequente della trombocitopenia del paziente oncologico è l’effetto sul midollo osseo della chemioterapia. La chemioterapia induce una trombocitopenia di solito 6-10 giorni dopo la somministrazione dei farmaci chemioterapici e continua per diversi giorni prima di ottenere un recupero di livelli accettabili di piastrine circolanti.

Meno frequentemente la piastrinopenia nel paziente oncologico è determinata da altri farmaci o da un’azione diretta della neoplasia per invasione midollare.

Il tipo e la dose dei farmaci chemioterapici somministrati caratterizzano la  tempistica e la misura delle piastrinopenia nonché la durata della stessa. Quando i pazienti oncologici mostrano una piastrinopenia, il rischio di un  sanguinamento grave è direttamente proporzionale alla riduzione del numero delle piastrine circolanti, infatti con valori di piastrine tra 20.000 e 40.000/μl è del 5-6, tra 10.000 e 20.000/μl è del 10% e sotto le 10.000/μl diventa del 20-40%.

La piastrinopenia è  importante anche per un’altra ragione. I pazienti oncologici vengono trattati con protocolli terapeutici che prevedono mono o terapie con più farmaci con dosi e tempi rigorosamente stabiliti dalle evidenze scientifiche della letteratura.

Quando un paziente sviluppa una trombocitopenia grave si può essere indotti a ridurre la dose o il numero dei farmaci o a procrastinare i cicli terapeutici con una probabile riduzione dell’efficacia del trattamento.

Clinicamente, le emorragie legate ad un deficit quantitativo o qualitativo delle piastrine si manifestano come petecchie, ecchimosi, epistassi, gengivorragia, menorragia, ematuria e melena. Alterazioni severe sono in grado di determinare gravi sanguinamenti in distretti nobili come il sistema nervoso centrale o nel periodo perioperatorio. Quando la conta piastrinica scende sotto la soglia di 100x109 piastrine/L il rischio di emorragie aumenta progressivamente nei pazienti trombocitopenici.

Con normali funzioni piastriniche, interventi chirurgici maggiori possono essere effettuati con una conta tra 50 e 80 x 109 piastrine/L.  Emorragie importanti possono manifestarsi in pazienti con sepsi, in terapia antibiotica o con altre coagulopatie sotto le 10 x 109 piastrine/L, così come senza fattori di rischio sotto 5 x 109 piastrine/L.

 

Alcune tra le condizioni prese in esame in precedenza richiedono l'uso di preparati trasfusionali particolari.

 

Trasfusione di emazie

 

Nel bambino oncologico, in caso di anemia moderata, la ridotta percezione della presenza di sintomi contribuisce a sottostimarne l’impatto nelle attività sociali del paziente.

Nell’adolescente, per esempio, con un valore di emoglobina intorno a 7g/dL, l’impatto della fatigue e dell’astenia possono aggravare un già delicato e precario equilibrio psicologico.

Per questo motivo vari autori suggeriscono di adottare un target diverso e cioè un valore di Hb di 8 g/dL per pazienti stabilizzati e la possibilità di iniziare un supporto trasfusionale con emazie concentrate anche per valori > 8 gr/dL nei pazienti cardiopatici, con insufficienza respiratoria, con sepsi acuta, in trattamento radiante o con sintomi correlati all’anemia.

Valori di 7g/dL possono rivelarsi pericolosi anche in pazienti con una conta piastrinica ridotta e ad alto rischio di importanti sanguinamenti, in presenza di severi sanguinamenti gastrointestinali o epistassi massive. 

Le indicazioni alla trasfusione sono pertanto:

  • Hb < 8 g/dL per pazienti stabilizzati;

  • Sintomi correlati all’anemia in presenza di valori di Hb > 8g/dL.

Per pazienti cardiopatici, con insufficienza respiratoria, sepsi acuta o in trattamento radiante possono essere richiesti valori emoglobinici superiori a 8g/dL.

In considerazione che una quota rilevante dei bambini affetti da malattie oncologiche è fortemente immunodepressa e che diversi tra essi sono possibili candidati a trapianto di midollo osseo, sono raccomandabili la deleucocitazione e l’irradiazione delle emazie prima della trasfusione, allo scopo di ridurre il rischio di GvHD.

 

Trasfusione di piastrine

 

Le linee guida più seguite per quanto riguarda la trasfusione piastrinica nel paziente oncologico sono quelle dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology), che si basano tuttavia su studi che non includono bambini ma solo adolescenti.

Esse stabiliscono i seguenti criteri per la trasfusione piastrinica:

  1. piastrine inferiori a 15.000-20.000/μL, con porpora secca;

  2. valori limite anche più alti in presenza presenza di porpora umida (emorragie mucose, gastroenteriche, cistite emorragica) o la presenza di tumori ad alto rischio emorragico (come tumori o localizzazioni cerebrali riccamente vascolarizzate);

  3. valori superiori a 20.000-30.000/μL qualora vi sia la necessità di eseguire manovre cruente come la puntura lombare, l’aspirato midollare od il posizionamento di un catetere venoso centrale.

Ai tre punti delle linee guida ASCO appare opportuno aggiungerne una altro in merito alle trasfusioni piastriniche profilattiche, da eseguire quando la conta piastrinica in pazienti asintomatici scenda al disotto delle 10.000/μL e anche meno (5.000) in pazienti stabili con trombocitopenia cronica come nell’anemia aplastica. Secondo molti autori, infatti, in questa condizione i pazienti dovrebbero essere trasfusi solo in presenza di sanguinamenti o durante il periodo del trattamento attivo.

Nei pazienti con tumore solido necrotizzante con un rischio elevato di sanguinamento il livello minimo viene riportato a 20.000/μL.

Per il frequente utilizzo di prodotti trasfusionali o perchè questi piccoli pazienti sono spesso candidati a trapianto di midollo osseo, è raccomandabile che le piastrine siano raccolte con aferesi piastrinica, per ridurre il rischio di immunizzazione e siano sottoposte a deleucocitazione ed irradiazione allo scopo di ridurre il rischio di GvHD.

 

Trasfusione di plasma fresco congelato

 

In generale, il Plasma Fresco Congelato (PFC) non deve essere utilizzato per trattare deficit ereditari di singoli fattori procoagulanti o anticoagulanti quando siano disponibili emoderivati commerciali.

Al momento solo i deficit di Fattore XIII e Fattore XI sono trattati con plasma.

Si ritiene appropriata la somministrazione di PFC nella CID, nella trasfusione massiva o nello scompenso epatico e nelle enteropatie protido-disperdenti da GvHD post-trapianto o da trattamenti radianti all’addome ed in piccoli pazienti con emorragie in atto o che debbano essere sottoposti ad interventi chirurgici.

L’infusione di PFC rappresenta il primo trattamento nella PTT e nella Sindrome Uremico-emolitica e delle loro ricadute.

 

Note sulla necessità di leucodeplezione degli emocomponenti per uso pediatrico

 

Gli emocomponenti leucodepleti (per definizione, con globuli bianchi <1x106) sono ottenuti attraverso la rimozione della maggior parte dei leucociti mediante filtrazione:

  • al momento o subito dopo il prelievo, mediante filtro in linea

  • in laboratorio prima di essere trasfusi

  • a letto del paziente.

L’impiego di emocomponenti leucodepleti ha dimostrato di essere in grado di prevenire le reazioni febbrili non emolitiche ricorrenti e di ridurre sia il rischio di alloimmunizzazione piastrinica che quello di infezione da CMV.

La filtrazione prima della conservazione, al momento o subito dopo il prelievo, si è dimostrata superiore rispetto alla filtrazione prima della trasfusione nel ridurre sia il tasso di alloimmunizzazione sia l’incidenza di reazioni trasfusionali causate dal rilascio di citochine da parte dei WBC durante la conservazione.

Nonostante non ci sia un consenso generale a preferire la filtrazione all’impiego di unità da donatore CMV sieronegativo, la filtrazione con i filtri attualmente a disposizione sembra essere in grado di prevenire la trasmissione del CMV che è un DNA virus che risiede normalmente nei leucociti.

L’infezione da CMV è veramente difficile da trattare cosicché la prevenzione è molto importante nei pazienti sieronegativi.    

 

Note sull'uso di emocomponenti irradiati

 

La Graft-versus-Host Disease Transfusion Associated (GvHD-TA) si manifesta quando linfociti trasfusi proliferano e aggrediscono l’ospite. A differenza della GVHD post-trapianto, quella associata alla trasfusione se non trattata è fatale nel 90% dei casi come risultato di una severa ipoplasia midollare.

Poiché la GVHD-TA raramente risponde alla terapia, ne è fondamentale la prevenzione.

L’irradiazione a 2500cGy degli emocomponenti riduce drasticamente il rischio di GVHD-TA.

Le unità devono essere irradiate nei pazienti trapiantati o in radio/chemioterapia, spesso soggetti ad un'importante immunosoppressione, nei pazienti in attesa di trapianto con cellule staminali e, successivamente al trapianto, indefinitivamente se è stato effettuato con cellule staminali allogeniche, mentre fino a 6 mesi se con cellule autologhe.

Nei bambini con severa immunodeficienza combinata, l’irradiazione degli emocomponenti dovrebbe essere continuata almeno fin ad un anno dopo il trapianto o fino all’acquisizione dell’immunocompetenza.

Anche i bambini con Linfoma di Hodgkin dovrebbero essere trattati con emocomponenti irradiati, così come dovrebbero essere irradiate tutte le unità derivate da consanguinei.

Si deve comunque ricordare che le donazioni fra parenti sono fortemente sconsigliate proprio perché delle cellule linfatiche non riconosciute come estranee, avendo un patrimonio genetico per metà uguale all’ospite, possono proliferare e aggredire il paziente determinando una gravissima GVHD-TA.

I concentrati eritrocitari irradiati devono essere trasfusi entro ventotto giorni dal prelievo. L'irradiazione non modifica invece la scadenza dei concentrati piastrinici.

Nei casi di trasfusione  a pazienti con iperpotassiemia è necessario procedere alla trasfusione entro quarantotto ore dall'irradiazione.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  1. Bolton-Maggs PHB and Murphy MF. Blood Transfusion: Risks and benefits. Arch. Dis. Child. 2004; 89:4-7

  2. British Committee for Standards in Haematology. Transfusion guidelines for neonates and older children. Br. J. Haematol. 2004; 124 433-453

  3. Kronberger M, Fishmeister G et al. Reduction in transfusion requirements with early epoetin alfa treatment in pediatric patients with solid tumors: a case-control study. Pediatr. Haematol. Oncol. 2002; 19: 95-105

  4. Roseff SD, Luban NLC et al.. Guidelines for assessing appropriateness of pediatric transfusion. Transfusion 2002; 42: 1398-1413

  5. Rossetto CL and McMahon JE. Current and future trends in Transfusion therapy. J. Pediatr. Oncol. Nurs. 2000; 17(3):160-173

  6. Ruggiero R and Riccardi R. Interventios for anemia in pediatric cancer patients. Med. Pediatr. Oncol. 2002; 39:451-454

  7. Schiffer CA, Anderson KC et al. Platelet transfusion for patients with cancer: clinical practice guidelines of the American Society of Clinical Oncology. J. Clin. Oncol. 2001; 19(5):1519-1538

  8. Tnennbaum T, Hasan C et al. Oncological management of pediatric cancer patients belonging to Jehovah’s witness: a two-institutional experience report. Onkologie 2004; 27(2): 131-137

MALATTIA EMOLITICA DEL NEONATO

 

Emazie fetali che attraversino la placenta durante la gravidanza o al momento del parto possono causare immunizzazione della madre nei confronti di antigeni eritrocitari fetali (3). Un'altra causa di immunizzazione può essere una pregressa trasfusione.

Per quanto possa riguardare qualsiasi sistema gruppoematico, il più delle volte l'immunizzazione riguarda gli antigeni del sistema Rh. La MEN dovuta a incompatibilità Rh è causa di anemia grave nel feto, soprattutto nei Paesi nei quali la proporzione di soggetti Rh negativi è alta.

Le madri Rh negative sviluppano anticorpi contro i globuli rossi del feto Rh positivo, soprattutto quando madre e figlio sono dello stesso gruppo principale o, comunque, AB0-compatibili.

Dopo una risposta primaria di tipo IgM, si formano IgG in grado di attraversare la placenta e causare un'emolisi degli eritrociti fetali.

Durante la vita intrauterina, il sistema reticoloendoteliale fetale distrugge gli eritrociti sensibilizzati con anticorpi materni ed i cataboliti sono trasportati per via placentare alla circolazione materna ed escreti. La lisi dei globuli rossi fetali provoca una grave anemia.

Per compensare la distruzione delle emazie, il midollo del feto produce più emazie e, nei casi gravi, si può verificare un’emopoiesi extramidollare a livello epatico, con relativa compromissione delle normali funzioni epatiche che può essere causa di ipoproteinemia e gravi edemi tissutali, con insufficienza cardiaca congestizia (idrope fetale) aggravata dall’anemia e, nei casi più gravi, morte intrauterina del feto.

Attualmente, tuttavia, la maggior parte dei neonati con malattia emolitica neonatale non presenta un quadro così grave, anche se può sviluppare un ittero dei nuclei cerebrali della base (ittero nucleare o kernicterus) entro qualche ora dalla nascita, se i livelli di bilirubina plasmatica diventano troppo alti.

Nei casi più gravi di MEN si possono verificare dunque tre possibili alternative:

  • il feto può morire in utero,

  • il feto può nascere con una severa anemia e necessitare di un'exsanguinotrasfusione,

  • dopo la nascita, il neonato può sviluppare gravi sequele neurologiche dovute ad alti livelli di bilirubina, a meno che questi non vengano corretti con l'exsanguinotrasfusione.

Possono anche manifestarsi MEN dovute ad anticorpi di altre specificità, in particolare anti-e (del sistema Rh) e anti-Kell.

Con sole rarissime eccezioni, sono questi due anticorpi, insieme a quelli anti-D, che possono provocare una severa anemia nel feto, così da richiedere trasfusioni in utero.

La MEN dovuta a incompatibilità AB0 fra madre e figlio non si manifesta nel feto ma è una causa importante di ittero neonatale.

La diagnosi di malattia emolitica neonatale (MEN) si basa sull'identificazione delle madri a rischio con la determinazione del gruppo AB0/Rh e la ricerca di eventuali anticorpi anti-eritrocitari all'inizio della gravidanza e all'inizio del terzo trimestre, verso la 28a settimana.

Qualora durante i controlli vengano evidenziati anticorpi, si deve monitorare il loro titolo con frequenti controlli nel corso della gravidanza. Un aumento del titolo indica, con molta probabilità, che si sta sviluppando una malattia emolitica nel feto.

Plasma exchange intensivi e IgEV ad alte dosi durante la gravidanza si sono dimostrate di qualche aiuto nelle alloimmunizzazioni più severe.

Amniocentesi, ecografia e determinazione della bilirubina nel liquido amniotico permettono di monitorare la gravità della malattia (3).

 

Profilassi della MEN

 

La possibilità di prevenire l'immunizzazione Rh rappresenta una pietra miliare nella storia della medicina. Essa si basa sulle scoperte di von Dungern che risalgono al 1900, anno nel quale Landsteiner scopriva il sistema AB0. La profilassi ha provocato negli anni una drastica riduzione nell'incidenza della MEN da Rh, per quanto si debbano ancora annoverare degli insuccessi in una minima percentuale di casi (3).

La profilassi viene attuata con immunoglobuline anti-D (RhIg). A seconda del momento di applicazione, si parla di tre differenti tipi di profilassi:

a. profilassi prenatale

Alcuni Paesi raccomandano che tutte le donne Rh negative gravide ricevano routinariamente la profilassi con IgG anti-D.

b. profilassi selettiva (in corso di situazione a rischio)

In periodo prenatale, alcuni eventi si rivelano particolarmente a rischio di immunizzazione. In particolare si ricordano:

  • Procedure durante la gestazione: amniocentesi, cordocentesi, prelievo di villi coriali.

  • Minacce d'aborto.

  • Aborto (in particolare aborto terapeutico o provocato).

  • Emorragie ante-partum (per placenta previa, distacco precoce di placenta).

  • Traumi addominali.

  • Presentazione cefalica.

  • Morte fetale.

  • Gravidanze multiple.

  • Parto cesareo.

  • Gravidanze ectopiche.

c. profilassi post-partum

La somministrazione di immunoglobulina anti-D previene la sensibilizzazione della madre Rh negativa e la produzione di anticorpi diretti contro le emazie Rh positive che possono entrare nel circolo materno, rappresentando l'approccio più diffuso per la prevenzione della MEN.

Le modalità delle varie profilassi sono schematizzate nella tabella.

 

Diagnostica della MEN

 

Le indagini per evidenziare la malattia emolitica neonatale possono essere divise in due momenti, approfonditi nelle pagine collegate:

1) durante la gravidanza per determinare il rischio fetale,

2) dopo la nascita per diagnosticare la malattia emolitica neonatale.

Trattamento del feto

Nei feti destinati a sviluppare un'idrope fetale (la cui identificazione è peraltro attualmente meno difficile, grazie alle possibilità offerte dall'amniocentesi) è opportuno ricorrere ad un parto provocato quanto più precocemente possibile. Tale misura non può comunque essere adottata prima della 31a-32a settimana senza essere gravata da un'altissima mortalità.

L'introduzione della trasfusione endouterina nel feto prima intraperitoneale e più recentemente  intravascolare hanno condotto ad un significativo aumento della sopravvivenza di questi piccolissimi pazienti.

Trattamento del neonato

Fin dalla sua introduzione nel 1945, l'exsanguinotrasfusione ha rappresentato la chiave di volta del trattamento dei neonati con MEN.

Altre misure terapeutiche quali la fototerapia, la somministrazione di fenobarbital, l'infusione di albumina sono in grado di ridurre la necessità di ricorrere alla exanguinotrasfusione, permettendo di riservarla soltanto ai casi più gravi.

trombocitopenia alloimmune neonatale

Un'incompatibilità feto-materna per antigeni piastrinici (HPA) può causare immunizzazione della madre e trombocitopenia nel neonato (4). La maggior parte dei casi è data da incompatibilità P1A1 pur essendo coinvolti in alcuni casi anche anticorpi verso altri antigeni piastrinici o anti-HLA (5,6). La maggior parte dei casi è diagnosticata dopo la nascita, da cui la definizione di trombocitopenia alloimmune neonatale (neonatal alloimmune thrombocytopenia - NAIT) anche se inizia ancora durante la gestazione (4).

La situazione è generalmente inattesa nel primo figlio e la diagnosi viene fatta per esclusione di altre causa note di piastrinopenia neonatale e confermata con la ricerca degli anticorpi anti-piastrine (contro piastrine paterne) nella madre. Devono quindi essere fatti tutti gli sforzi per proteggere il feto da sanguinamenti e, in particolare, da emorragie intracraniche.

Il trattamento della madre prevede l'uso di Ig endovena e/o corticosteroidi (7). Nei casi ad alto rischio è consigliato il ricorso a trasfusioni piastriniche intrauterine (4).

Il rischio di emorragie intracraniche persiste anche dopo la nascita, in quanto la conta piastrinica (da eseguire con frequenza almeno giornaliera) stenta a crescere fino a quando vi sono anticorpi in circolo (4).

In tal caso è necessario proseguire con trasfusioni piastriniche (possono essere utilizzate piastrine materne o piastrine da donatori compatibili con la madre) o con IgEV ad alte dosi se non vi sono piastrine disponibili.

TRASFUSIONE DI PAZIENTI CON ANEMIA FALCIFORME

Negli anni più recenti è stata prestata molta attenzione alle esigenze trasfusionali specfiche dei pazienti afetti da drepanocitosi. (8). Attualmente, tuttavia, ci si basa ancora più su una valutazione di carattere clinico delle esigenze di questi pazienti che su protocolli basati sui molteplici studi che sono stati effettuati.

La trasfusione di globuli rossi non è indicata, in quanto è dimostrato non essere di alcun beneficio, come trattamento di base della drepanocitosi "deve essere enfatizzato che non vi è un ruolo per la trasfusione routinaria, non complicata da crisi dolorose" (8). Essa non va quindi effettuata in caso di:

  • Anemia acuta con valori di Hb > 6 g/dl asintomatica e/o con reticolocitosi

  • Anemia cronica durante il periodo di stato

  • Crisi dolorose non complicate

  • Infezioni lievi

  • Interventi di piccola chirurgia

Essa è invece indicata in alcune specifiche circostanze elencate in tabella.

La trasfusione cronica è probabilmente il più fisiologico dei trattamenti, aldilà del trapianto di midollo, ma il ricorso ad essa è limitato dalle molteplici complicanze connesse alle trasfusioni a poche situazioni cliniche, in particolare alla prevenzione di recidive di complicazioni di una patologia cerebrovascolare.

La trasfusione cronica, con il fine di mantenere la percentuale di HbS sotto il 30% riduce drasticamente il rischio di incidenti cerebrovascolari acuti a meno del 10%. Un'alta frequenza dopo 1-2 anni di trasfusioni suggerisce la necessità di una terapia prolungata, possibilmente vita natural durante in alcuni di questi pazienti (9). La trasfusione di circa 10 mL/kg di emazie ogni 3-4 settimane è in genere sufficiente a mantenere la percentuale di HbS sotto il 30% e l'ematocrito pre-trasfusionale tra 25 e 30%.

Il ruolo dell'exsanguinotrasfusione è il trattamento o la prevenzione di eventi in grado di determinare patologie d'organo o pericoli per la vita. In particolare, l'exsanguinotrasfusione viene utilizzata nella sindrome polmonare acuta, per iniziare la terapia in pazienti con episodi cerebro-vascolari acuti in ato o ad alto rischio e per il priapismo che non risponda alla comune terapia conservativa, dopo 12-24 ore (8).

Le complicanze della terapia trasfusionale nell'anemia drepanocitica includono iperviscosità, ipersplenismo, sovraccarico marziale, malattie infettive a trasmissione trasfusionale e reazioni trasfusionali emolitiche ritardate, particolarmente insidiose in quanto potenzialmente confondibili con crisi di falcizzazione (10-12).

Alcuni ricerche evidenziano che i pazienti con drepanocitosi presentano un'elevata frequenza di aloimmunizzazione nei confronti di antigeni eritrocitari. Per minimizzare tale evenienza, un approccio pratico che è possibile usare è quello di utilizzare emazie a corredo antigenico quanto più possibile noto, se non altro a partire dalla scoperta del primo anticorpo anti-eritrocitario.

Trasfusione in riceventi di midollo e organi in corso di AB0 incompatibilità

Un'incompatibilità "maggiore" nell'ambito del gruppo AB0 viene definita quando un ricevente possegga emoagglutinine (come anti-A e/o anti-B) in grado di reagire con antigeni AB0 sulla superficie delle emazie del donatore (ad esempio, donatore di gruppo A e ricevente di gruppo 0). In tal caso, il midollo deve essere impoverito delle emazie presenti al fine di prevenire una reazione trasfusionale emolitica al momento dell'infusione nel ricevente il trapianto.

Il ricevente dovrebbe inoltre essere tenuto sotto osservazione per un possibile ritardo della ripresa ematopoietica da parte del midollo trapiantato (13). Ciò accade se il ricevente possiede elevati titoli di isoagglutinine (in genere maggiori di 1:256) e coinvolge in genere, ma non costantemente, soltanto un ritardo nella ripresa dell'emopoiesi (da 20-30 giorni nel caso di trapianto compatibile o con incompatibilità "minore" a circa 5 mesi in quello incompatibile) (14).

Un'incompatibilità "minore" per AB0 si verifica quando il donatore possiede delle emoagglutinine capaci di reagire con antigeni AB0 degli eritrociti del ricevente (ad esempio, donatore di gruppo 0 e ricevente di gruppo A). Se il titolo di emagglutinine midollari è alto (>1:500), il volume di plasma nel prodotto deve essere ridotto la fine di ridurre la possibilità di emolisi, risultato della trasmissione passiva di anticorpi.

Un'importante complicazione del trapianto di midollo in presenza di incompatibilità "minore" per AB0 è nota come "passenger lymphocyte syndrome". Un'emolisi su base immunologica degli eritrociti del ricevente si avvera come risultato della produzione di anticorpi anti-A e/o anti-B da parte di linfociti "passenger" presenti nel prodotto midollare (13,15). Raramente, è stata segnalata un'emolisi dovuta ad anticorpi di altri sistemi gruppoematici, in particolar modo nell'ambito del sistema Rh.

L'emolisi si sviluppa in genere 9-16 giorni dopo il trapianto, generalmente in modo brusco, con i segni di un'emolisi intravascolare acuta e calo marcato dell'emoglobina (16).

Allo sviluppo dell'emolisi, il trattamento più adeguato consiste generalmente soltanto nella trasfusione di emazie di gruppo 0, anche s e, occasionalmente può rendersi necessario un eritro-exchange per sostituire le emazie incompatibili del ricevente con emazie di gruppo 0. Inoltre devono essere ridotte al minimo anche le trasfusioni di plasma e prodotti piastrinici con incompatibilità AB0 "minore" per tutto il periodo di tempo nel quale si sviluppa l'emolisi.

La sindrome da linfociti "passenger" è stata segnalata dopo trapianto di rene, fegato, polmone, pancreas e milza (13). Come sopra descritto anche nel trapianto di organi solidi in costanza di incompatibilità "minore" per AB0 il paziente deve essere tenuto sotto osservazione per la possibile comparsa di segni di emolisi, in particolar modo nelle prime due settimane dal trapianto.

Al comparire dell'emolisi, vi è l'indicazione a trasfosndere emazie compatibili, come si è visto nel caso di trapianto del midollo.

TRASFUSIONE MASSIVA (17)

Con il termine di “trasfusione massiva” si intende il rimpiazzo di una perdita massiva di sangue, definita come la perdita di un volume ematico in un periodo di 24 ore, considerando il normale volume di sangue come il 7% del peso corporeo dell’adulto maschio, il 6.5% dell’adulto femmina e l’8-9% del bambino (valori approssimati).

Le priorità nel trattamento di un paziente con emorragia acuta massiva sono:

  • mantenere o ripristinare un volume ematico adeguato: l’impiego di cristalloidi e colloidi è essenziale per mantenere il volume intravascolare, considerando che una perdita importante di emazie ed una bassa emoglobina sono ben tollerati se viene mantenuto il volume intravascolare;

  • mantenere una sufficiente capacità di trasporto dell'ossigeno: un’ottimale ossigenazione tissutale richiede un'adeguata Hb circolante, un aumento dell’output cardiaco ed una sufficiente cessione di ossigeno ai tessuti. Anche valori estremamente bassi di Hb circolante possono essere ben tollerati se sono compensati da un aumento dell’output cardiaco ed in presenza di un volume sanguigno sufficiente.

  • mantenere un'accurata emostasi: l’ipovolemia determina una progressiva acidosi che è in grado di alterare già di per sé l’emostasi, il cui corretto controllo è strettamente necessario per limitare il sanguinamento.

Lo scopo della terapia trasfusionale del paziente emorragico è rimpiazzare cellule (emazie e piastrine) e proteine plasmatiche perse con il sanguinamento. Dal momento che il sangue intero non viene più considerato come prodotto ad uso trasfusionale, la terapia trasfusionale deve essere guidata dai principi generali atti ad assicurare una corretta emostasi, mantenendo il volume intravascolare e la cessione di ossigeno e limitando eventuali problemi associati quali l'ipotermia o sequenziali come l'acidosi, l'iperpotassiemia, l'ipocalcemia e l'ipernatriemia.

La trasfusione di eritrociti si rende necessaria allorchè si sia verificata una perdita di circa il 40% del volume ematico. In passato, venivano spesso somministrati quantitativi standard di eritrociti, piastrine e plasma al fine di ricostruire le normali proporzioni del sangue intero. Attualmente non si ritiene più tale comportamento appropriato, ma si tende piuttosto a monitorare l'andamenuo della terapia attraverso le prove dell'emostasi.

Nella maggior parte dei casi vengono mantenute autonomamente concentrazioni efficaci di fattori emostatici, cosicchè non vi è alcuna necessità di somministrare profilattivamente plasma.

Soltanto dopo aver rimpiazzato 1,5 del volume ematico (circa 15 unità di emazie) il fibrinogeno tende a diminuire sotto i 1.0 g/L

Si ritiene che il plasma debba essere somministrato soltanto quando vi sia un prolungamento del PT (spesso associato con una pre-esistente epatopatia).

Più che un difetto emostatico plasmatico, le emorragie in pazienti con emorragia massiva appaiono attualmente essere dovute a deplezione piastrinica, dovuta sia a diluizione che ad aumentato consumo. Una trombocitopenia da emodiluzione è comune nella trasfusione massiva e può manifestarsi con microsanguinamenti o inaspettate emorragie maggiori. Ciò rende ragione della necessità di monitorare con costanza la conta piastrinica.

Durante una trasfusione massiva è sempre necessario prestare attenzione al possibile insorgere di una coagulopatia intravascolare disseminata acuta; essa è particolarmente probabile in pazienti con estesi danni muscolari o cerebrali, pazienti che siano andati in grave ipotermia, pazienti che abbiano avuto una prolungata ipossiemia ed ipovolemia.

Un'ipocalcemia ed un'iperkaliemia possono proporsi come problemi ma un trattamento profilattico senza adeguato controllo laboratoristico potrebbe dare più problemi che vantaggi.

Attualmente si ribadisce la necessità di monitorare attentamente e con frequenti controlli di laboratorio la terapia trasfusionale o meno delle perdite massive di sangue, affinchè ogni paziente possa ricevere il trattamento ottimale per il suo specifico caso (17).

Le linee guida attualmente consolidate, derivate principalmente dalla letteratura anglosassone, sono raccolte nella scheda "Provvedimenti da intraprendere nelle emorragie massive".

TRATTAMENTO TRASFUSIONALE DELLE MALATTIE EMORRAGICHE

Se un sanguinamento dovuto a deficit quanti-qualitativo delle piastrine o dei fattori dell'emostasi risente positivamente della terapia sostitutiva con la componente deficitaria, ciò non significa che tale componente debba essere somministrata fino a raggiungere i valori considerati "normali". Il trattamento di una coagulopatia richiede innanzitutto un'accurata ricerca ed identificazione del deficit in causa, basata su un'accurata anamensi e su test di laboratorio ben selezionati e, quindi, una terapia sostitutiva che permetta di raggiungere il livello minimo circolante del fattore causale in grado di assicurare un'accurata emostasi (vedi tabella), anche considerando il periodo di dimezzamento del fattore mancante o alterato.

L'anamnesi deve permettere di conoscere la natura e la frequenza del sanguinamento, nonché eventuali relazioni con interventi chirugici o traumi. L'anamnesi familiare è fondamentale per la diagnosi di deficit congeniti, i più comuni tra i quali essendo li morbo di von Willebrand, l'emofilia A (deficit di fattore VIII) e l'emofilia B (deficit di fattore IX).

Test comuni di valutazione della funzione emostatica sono la conta piastrinica, il tempo di protrombina (PT) per valutare i deficit dei fattori II, V, VII and X, il tempo di tromboplastina parziale (PTT) per valutare i deficit dei fattori V, VIII IX, X, XI and XII e il tempo di trombina (TT) per determinare anormalità del fibrinogeno, aumentata liberazione di prodotti di degradazione della fibrina o la presenza di azione anticoagulante di tipo eparinico.

Non viene invece più attribuita grande importanza al tempo di emorragia, fino a non molto tempo fa ritenuto un buon indicatore della funzionalità piastrinica.

DEFICIT CONGENITI DELL'EMOSTASI

Principi generali sul trattamento dell'emofilia

E' possibile identificare alcuni principi generali applicabili ai pazienti con emofilia: innanzitutto, è opportuno che tali pazienti non assumano aspirina o anti-infiammatori non steroidei o qualsiasi altro farmaco noto per l'interferenza con la funzionalità piastrinica. Gli episodi emorragici in questi pazienti devono comunque trattati con la somministrazione di fattore VIII, secondo dosaggi e frequenza strettamente dipendenti dalla situazione clinica (20). Nei pazienti con emofilia A lieve o media si è dimostrata efficace anche la semplice somministrazione di desmopressina (DDAVP), analogo sintetico dell'ormone antidiuretico umano (vasopressina), capace di aumentare la concentrazione ematica di fattore VIII a livelli tali da permettere il controllo del sanguinamento. I farmaci antifibrinolitici (acido e-aminocaproico o acido tranexamico) possono essere somministrati per prevenire una troppo rapida lisi del coagulo formato grazie alla terapia sostitutiva e per controllare sanguinamenti a livello della cavità orale.

I principi di base nel trattamento dell'emofilia B sono sovrapponibili a quelli dell'emofilia A.

Malattia di von Willebrand

La malattia di von Willebrand è una condizione emorragica causata da un difetto quantitativo o qualitativo del fattore di von Willebrand, grossa glicoproteina che media l'adesione delle proteine tra loro e nei confronti dell'endotelio. I pazienti con malattia di tipo I mostrano in genere una ridotta quantità di fattore comunque con normale funzione. La caratteristica del tipo II è invece un'anormalità funzionale, generalmente dovuta a riduzione dei multimeri ad alto peso molecolare. I pazienti con malattia di tipo III mostrano una ridotta sintesi di tutti i multimeri (generalmente per delezione genica).

La desmopressina rappresenta il trattamento di prima scelta del tipo I, forma più comune di malattia mentre nel tipo III è necessario ricorrere al crioprecipitato o ai concentrati di fattore VIII in cui è certa la presenza anche del fattore di von Willebrand, così come nei pazienti di tipo I e II con un ridotto livello della frazione piastrinica di fattore von Willebrand piastrinico. Si deve comunque tenere presente che in questa malattia è comune osservare risposte individuali estremamente diverse, il che consiglia un'attenta e costante osservazione di questi pazienti.

DISTURBI ACQUISITI DELL'EMOSTASI

Disturbi acquisiti dell'emostasi possono presentarsi in concomitanza a svariate situazioni cliniche. Generalmente tali disturbi coinvolgono più fattori plasmatici e sono molto più comuni delle anomalie congenite che, del resto sono generalmente a carico di fattori singoli. Di conseguenza, sono molteplici anche i quadri laboratoristici, come riassunto nella tabella che segue.

Coagulopatie plasmatiche acquisite

 

Condizione

Punto di interessamento del sistema coagulativo

Manifestazioni
Epatopatia

Lieve

Fattori II, VII, IX, X

Anormale PT

Media-severa

Fattori II, V, VII, IX, X

Plasminogeno, Piastrine

Anormali PT e aPTT, alterata fibrinolisi
CID acuta

Fattori I, V, VIII, etc… 

Piastrine, D-dimero e PDF

Anormali PT e aPTT
Emorragia post-operatoria

Tutti i test possono essere normali o solo poco alterati

Trasfusione massiva

Vedere specifico paragrafo

Deficit di vitamina K

Fattori II, VII, IX, X

Anormale PT

Epatopatia

Nelle malattie epatiche gravi PT e PTT restano alterati nonostante la terapia con vitamina K. Nell'insufficienza epatica si riducono i livelli di pressoché tutti i fattori, gli inibitori ed le proteine coinvolte nella fibrinolisi (compresi fibrinogeno, fattore V e antitrombina III.

Bassi livelli di plasminogeno possono, in parte, essere espressione di un consumo secondario alla diminuita clearance degli attivatori tissutali ed ai bassi livelli di inbitori.

Difetti emostatici aggiuntivi possono includere l'accumulo di un numero maggiore di frammenti non coagulabili del fibrinogeno e della fibrina, sempre da ridotta clearance. Questi fatti conducono a disfunzioni piastriniche e del fibrinogeno che possono prolungare il tempo di trombina anche al doppio del normale. Si può manifestare una CID, in special modo in associazione con ipotensione, sepsi o perdita massiva di sangue.

La cura di pazienti con sanguinamenti dovuti ad epatopatia può rivelarsi estremamente difficile. Qualora vi siano le indicazioni per una terapia sostitutiva, l'emocomponente più indicato è il plasma fresco congelato, ad una dose iniziale di 10 mL/kg di peso corporeo. In caso di piastrinopenia può essere invece importante somministrare concentrati piastrinici.

E' molto spesso difficile determinare quanto un PT allungato possa contribuire ad alterare l'emostasi; un prolungamento del PT di 2 o 3 secondi può per esempio avvenire quando i livelli dei fattori vitamina K dipendenti siano ancora sopra i valori ritenuti minimi per una corretta emostasi.

Deficit di Vitamina K

Una carenza di vitamina K può essere secondaria ad un malassorbimento intestinale dei grassi, ad una ostruzione dei dotti biliari o un'importante colestasi, ad una ridotta introduzione con l'alimentazione (per esmpio in corso di terapia antibiotica a largo spettro o in neonati di madri malnutrite). Infine è l'effetto voluto della somministrazione di warfarina (terapia anticoagulante orale).

In pazienti in terapia anticoagulante orale un sanguinamento (o una situazione a rischio di sanguinamento, come un'intervento chirurgico in urgenza) può essere arrestato bloccando la somministrazione del farmaco o somministrando vitamina K.

Se il sanguinamento è minore e il paziente è ad alto rischio di sviluppare una trombosi, è consigliabile ridurre il farmaco monitorando comunque il PT. L'effetto della warfarina può richiedere dai 2 ai 3 giorni per essere effettivo. La vitamina K ottiene lo stesso effetto in 6-12 ore, che richiede comunque circa 36 ore per essere completo. Può in ogni caso essere estremamente difficile riequilibrare l'effetto anticoagulante nel caso sia indicata una terapia anticoagulante continuata.

Per sanguinamenti importanti o nell'imminente necessità di intervenire chirurgicamente, si rivela appropriato somministrare plasma fresco congelato per una rapiada correzione dei parametri emostatici, ad una dose iniziale di 10 mL/kg di peso corporeo.

Coagulazione intravascolare disseminata acuta (CID)

La presentazione clinica di una CID acuta non è in genere specifica come lo sono le alterazioni dei test utilizzati per diagnosticarla. E' comunque certo che il primo intervento correttivo consista nella rimozione delle cause scatenanti l'alterazione emostatica.

La terapia varia a seconda dell'acutezza e severità della causa scatenante ed è basata sul rimpiazzo dei fattori della coagulazione depleti, al fine di riprodurre normali valori emostatici (21).

Altri presidi, utilizzabili comunque in pazienti ben selezionati sono l'eparina ed i farmaci anti-fibrinolitici.

TERAPIA TRASFUSIONALE NEI PAZIENTI CON ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE

La diagnosi di emolisi viene generalmente fatta sulla base dei risultati di alcuni semplici esami di laboratorio (22). I più utili tra di essi sono:

  1. emocromo con studio della morfologia eritrocitaria su striscio di sangue periferico;

  2. conta reticolocitaria;

  3. dosaggio lattico deidroogenasi serica (LDH);

  4. dosaggio bilirubina serica;

  5. dosaggio aptoglobine.

Una volta stabilito che il paziente presenta un'anemia emolitica, si dovrebbe tentare di stabilirne le cause (22), considerando nell'ordine i seguenti 4 punti:

  1. storia medica e visita,

  2. studio della morfologia cellulare,

  3. presenza o assenza di segni di emolisi intravascolare,

  4. risultato del test di coombs diretto.

Per esempio, in un paziente con anamnesi negativa per trasfusioni recenti o uso di farmaci noti per essere implicati in fenomeni emolitici, con sintomi sistemici acuti quali febbre, malessere, dolori lombari ed agli arti, splenomegalia, sferocitosi periferica, assenza di emoglobinuria e test di Coombs diretto positivo, la diagnosi di anemia emolitica autoimmune è la più probabile e può essere confermata agevolmente con test più specifici quali quelli raccolti nella tabella che segue.

 

Reperti sierologici caratteristici nelle Anemie Emolitiche Autoimmuni

 

Tipo di AEA

Risultato TCD*

Anticorpi serici

Specificità anticorpale

 

Anticorpi caldi

IgG o C3 o entrambi

TCI** positivo (57%); emazie trattate con enzima (89%)

Di solito sistema Rh

Agglutinine fredde

C3 soltanto

Attività agglutinante sopra i 30°C

Di solito anti-I o anti-I

Emoglobinuria parossistica "a frigore"

C3 soltanto

Emolisina bifasica

Anti-P

 *   TCD = Test di Coombs diretto;

**  TCI = Test di coombs indiretto

 

I rischi associati alla trasfusione di pazienti con AEA sono del tutto peculiari (22). Gli autoanticorpi implicati spesso complicano la determinazione della compatibilità, potendo del resto nascondere l'eventuale presenza di alloanticorpi in grado di far aumentare il rischio di reazione emolitica.

Gli autoanticorpi possono inoltre ridurre la vita delle emazie trasfuse. Ad onta di tutto questo, è ormai esperienza consolidata che una trasfusione eritrocitaria non debba essere negata a questi pazienti qualora vi sia un giustificato motivo di trasfonderli, pur in presenza di una forte incompatibilità.

Quando autoanticorpi caldi complichino le prove di compatibilità, è necessario adsorbirli al fine di poter evidenziare eventuali alloanticorpi. Se invece si sospetti la presenza di agglutinine fredde le prove di compatibilità dovranno essere effettuate a 37°C. Occasionalmente, gli autoanticorpi stessi possono presentare una specificità contro antigeni eritrocitari; in tal caso devono essere selezionate unità di emazie prive di tale specificità.

Esistendo i rischi aggiuntivi sopra detti, alcuni autori hanno suggerito di effettuare sempre, in questi pazienti, la cosiddetta "prova di compatibilità in vivo", trasfondendo inizialmente una piccola quantità di sangue, osservando quindi per la presenza di emolisi su un piccolo campione di sangue prelevato a distanza di qualche minuto e solo in assenza di questo completando il resto della trasfusione.

Un altro aspetto critico nella terapia trasfusionale di questi pazienti consiste nell'evitare di trasfondere in eccesso (22-25).

La cinetica di distruzione eritrocitaria descrive sempre una curva di decadimento di tipo esponenziale, che indica che il numero di cellule rimosse dal circolo nell'unità di tempo è proporzionale al numero di cellule presenti all'inizio dell'intervallo di tempo considerato (24). Ciò è rappresentativo del rischio che le sostanze liberate a causa dell'emolisi provochino l'insorgere di una CID. Infatti, è stato dimostrato che la maggiore causa di emoglobinemia e emoglobinuria nelle AEA non dipenda dall'emolisi indotta dagli autoanticorpi ma piuttosto dalla quantità di emazie trasfuse, che va ad incrementare la massa di eritrociti destinati ad andare incontro a distruzione (25). In accordo con tale considerazione la trasfusione di piccole quantità di emazie può far migliorare le condizioni del paziente riducendo nel contempo il rischio di un'iperemolisi intravascolare indotta dalla trasfusione (23).

I valori di emoglobina del paziente dovrebbero essere quindi mantenuti in questi casi ai più ridotti valori che permettano di tollerare lo stato anemico fino a che terapie più specifiche non inizino ad avere effetto.

 

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 Copyright© 1999/2005 - Francesco Angelo Zanolli - Ultimo aggiornamento in data 16/11/2005