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Antitrombina III

 

Su

 

Deficit congeniti

 

I concentrati di ATIII vanno impiegati nei pazienti con deficit in situazioni di rischio riconosciute e non evitabili:

  1. livelli marcatamente ridotti di ATIII

  2. resistenza alla terapia eparinica

  3. in gravidanza, nelle fasi più prossime al parto e con livelli di ATIII marcatamente ridotti.

 

Deficit acquisiti

 

Ridotta sintesi

 

1.   Epatopatie: l’impiego dei concentrati di ATIII non è raccomandato nella cirrosi epatica e nell’epatite acuta.

     In caso di danno epatico grave si ha una sensibile modificazione del quadro emostatico essendo il fegato luogo di sintesi dell’ATIII e di molti altri fattori nonché luogo deputato alla clearance di fattori attivati e dei prodotti di attivazione. Nella cirrosi epatica la diminuizione di diversi fattori della coagulazione e di ATIII correla con la progressione della malattia, anche se non può essere escluso uno stato di coagulazione intravasale cronica. Anche nelle epatiti acute si ha un deficit di ATIII; la sua correzione non migliora però la prognosi poiché corregge solo una parte del disturbo coagulativo. Nel trapianto di fegato è presente una riduzione dell’ATIII che si aggrava nella fase di riperfusione dell’organo.

     L’impiego profilattico dei concentrati di ATIII nel trapianto non ha migliorato l’outcome per la complessità del disordine coagulativo. Nel postoperatorio, essendovi uno sbilanciamento protrombotico, specialmente qualora sia necessario eparinizzare il paziente per prevenire o trattare la trombosi dell’arteria epatica, l’impiego dei concentrati può rivelarsi utile.

 

2.   Trattamento con L-asparaginasi: l’impiego dei concentrati di ATIII è raccomandato nel trattamento con L-asparaginasi.

     L’impiego della L-asparaginasi provoca una ridotta sintesi dell’ATIII a livello post-trascrizionale. In corso di trattamento i livelli di ATIII possono diminuire marcatamente e correlano con l’elevata incidenza di complicanze trombotiche. L’impiego di concentrati di ATIII ha migliorato la prognosi di questi pazienti riducendone la trombofilia, effetto non ottenuto con l’uso del plasma fresco congelato.

 

Aumentata perdita

 

L’impiego dei concentrati di ATIII non è raccomandato nella sindrome nefrosica. 

In corso di sindrome nefrosica o di malattie intestinali proteino-disperdenti  si hanno di frequente valori di ATIII intorno al 45-70%; in alcuni casi si può verificare una riduzione fino a meno del 10%. Tale riduzione determina uno stato trombofilico che può causare delle complicanze trombotiche della sindrome nefrosica. La terapia è mirata a ridurre le perdite renali.

 

Aumentato consumo

 

1.  CID. L’impiego dei concentrati di ATIII può essere utile nei pazienti senza sepsi o shock settico, in concomitanza con l’impiego di unità di FFP.

     La CID è un disordine trombotico ed emorragico caratterizzato dalla presenza di un’attivazione dei sistemi coagulativo e fibrinolitico, da consumo degli inibitori e dall'evidenza di un danno o un'insufficienza d’organo. Può essere innescata da una moltitudine di stimoli relativi a processi patologici più o meno evidenti, come i traumatismi o la presenza di tessuti necrotici, le endotossine dei batteri gram-negativi, la circolazione extracorporea e altri ancora, che determinano lo shift trombotico con il rilascio di fattore tissutale (TF) e la parallela diminuizione dell’attività fibrinolitica per rilascio del PAI-1.  

     A meccanismi iniziali diversi, corrisponde uno stesso risultato finale: un'attivazione della cascata coagulativa con formazione della trombina e deposizione di fibrina sulla parete vascolare, con conseguenti micro e a volte macro-angiopatia, danno tissutale e in ultimo insufficienza d’organo e morte.

     L’attivazione dei processi coagulativi determina una diminuzione progressiva degli inibitori della coagulazione inclusa l’ATIII che favorisce il persistere dei fenomeni trombotici responsabili del danno d’organo. A questa fase trombotica segue il consumo dei fattori della coagulazione e l’attivazione del sistema fibrinolitico con conseguenti  emorragie tipiche di questa patologia.

     La riduzione dell’ATIII è determinata soprattutto dal consumo, ma anche da una ridotta sintesi per concomitante danno epatico e da inibizione da parte dell’elastasi rilasciata dai leucociti. I livelli di ATIII sono ben correlati con il decorso clinico della CID: a livelli di 50-60% è legata una prognosi severa con alta mortalità, che raggiunge il 100% dei casi quando l’ATIII è <20%. Quando il processo tende a scompensarsi i livelli dell’ATIII diminuiscono e l’emivita può ridursi a sole 4 ore.

     Vari studi hanno evidenziato come l’impiego di concentrati di ATIII in pazienti con CID di diversa eziologia abbia determinato una riduzione della durata del disordine emocoagulativo e una diminuizione del fabbisogno trasfusionale, ma non abbia dato alcuna differenza statisticamente significativa nella sopravvivenza.

     In questi ultimi anni uno studio accurato sugli effetti antinfiammatori dell’ATIII ha determinato una rivisitazione degli aspetti patogenetici in corso di CID.

     L’ATIII è in grado di bloccare il FXa e tutti i suoi effetti proinfiammatori (stimolazione della produzione di IL-6,IL-8, MCP-1, E-selectina e molecole di adesione vascolare).

     Inibendo la trombina, l’ATIII ne blocca anche le attività pro-infiammatorie come:

  • l’attivazione delle cellule endoteliali; quando la trombina si lega a recettori aspecifici (PARS) determina la liberazione di molecole che condizionano l’adesione dei leucociti all’endotelio stesso (ELAM) attraverso l’esposizione di selectine P ed E,

  • l’azione chemiotattica per i morfonucleati,

  • l’espressione del PAF da parte delle piastrine e delle cellule endoteliali,

  • l’espressione da parte delle cellule endoteliali dell’inibitore della fibrinolisi attivata dalla trombina.

Riduce inoltre la normale risposta di reclutamento dei leucociti indotta dall'alternarsi di ischemia/riperfusione. L’ATIII è anche in grado di promuovere il rilascio di prostaciclina dalle cellule endoteliali con inibizione di molte delle interazioni leucociti-cellule endoteliali (produzione di citochine, permeabilità e trombogenicità vascolare). L’infiammazione ha proprietà inibitrici sull’azione degli inibitori fisiologici della coagulazione compresa l’ATIII, attraverso una diminuizione dei glucosoaminoglicani (GAGs), aumento del PAI-1 e aumento del TF intravasale. Le attività antinfiammatorie dell’AT sono bloccate dall’impiego dell’eparina, poiché queste funzioni dell’antitrombina sono mediate dal suo legame con i GAGs della parete vasale. Ciò potrebbe spiegare il migliore risultato, come mortalità a 28 giorni, nei pazienti che  avevano ricevuto solo concentrati di ATIII rispetto a quelli in trattamento con concentrati di ATIII ed eparina in uno studio multicentrico e randomizzato sull’impiego dei concentrati di ATIII nei pazienti con sepsi e CID.

 

2.  Sepsi e shock settico. L’impiego di ATIII nei pazienti con sepsi o shock settico può essere utile nei pazienti con elevato rischio di morte.

     Sepsi e shock settico sono tra le cause più frequenti di mortalità nelle unità di terapia intensiva soprattutto per l'insorgere di una sindrome di insufficienza multiorgano (MOF). Importanti fattori patogenetici della MOF sono l’eccessiva reazione infiammatoria ed il danno del microcircolo secondario all’infiammazione stessa e alla CID.

La struttura dell’endotossina batterica è attualmente ben chiara. Il lipopolisaccaride (LPS) è una larga e complessa molecola, componente essenziale della membrana esterna della maggior parte dei batteri Gram-negativi. Numerosi studi hanno dimostrato elevati livelli di LPS nei pazienti con sepsi ed i livelli correlano con la severità della malattia e la mortalità. Sebbene la LPS rappresenti il prototipo, sono state riconosciute come capaci di indurre  reazioni infiammatorie nell’ospite altre molecole batteriche quali i peptidoglicani e l’acido lipoteicoico, anche se meno potenti del LPS. Il lipopolisaccaride viene in contatto con il macrofago attraverso i recettori mCD14, TLR-4 e MD-2 colocalizzati sulla superfice cellulare ed il segnale viene rapidamente trasmesso nel citoplasma attraverso una serie di chinasi. Alla fine di questa serie di processi il Fattore Nucleare kB (NFkB) è traslocato nel nucleo dove induce la produzione di TNF e IL-1, che sono le principali citochine coinvolte nei processi infiammatori. Queste sono in grado di attivare le cellule endoteliali ed indurre il rilascio di TF che inizia la cascata coagulativa. IL TF può essere rilasciato direttamente dai macrofagi, che sono in grado di rilasciare anche il PAF che non solo attiva le piastrine ma stimola la liberazione di citochine proinfiammatorie dai granulociti e dai macrofagi.

Per la sua attività antitrombotica e antinfiammatoria l’ATIII è stata largamente utilizzata nei pazienti con sepsi. Nel 2001 è stato pubblicato uno studio multicentrico, randomizzato e controllato (KyberSept) da cui si è evidenziato che non esiste nessuna differenza di mortalità a 28 giorni tra i due gruppi (ATIII 38,9% versus placebo 37,8%). Nel sottogruppo di pazienti che ricevevano ATIII ma non eparina, minori sanguinamenti e soprattutto un trend migliore di sopravvivenza a 28 giorni è stato riscontrato in un’analisi post-hoc (ATIII 43,6% versus placebo 37,8%) ancora migliore a 90 giorni  (ATIII 52,5% versus placebo 44,9%).

Da studi su animali si è notato che l’effetto protettivo dell’ATIII si raggiunge con livelli ematici molto elevati (>200%).  L’impiego dei concentrati di ATIII è solo di supporto ad una strategia più ampia e ancora da definire compiutamente, anche in considerazione che recenti studi oltre all’alto dosaggio hanno dimostrato l’importanza della precocità dell’impiego terapeutico.

 

3.   Resistenza acquisita all'eparina. L’impiego di concentrati di ATIII in pazienti con resistenza acquisita all’eparina e valori di AT <70% trova giustificazione quando non vi sia alcuna alternativa al trattamento eparinico prolungato.

     L’attività anticoagulante dell’eparina è strettamente correlata con i livelli plasmatici di ATIII: diminuisce sotto il 70% e non funziona con valori inferiori al 50%. Utilizzando l’eparina come anticoagulante, l’attività antrombinica dell’ATIII viene enormemente potenziata determinando un importante consumo della stessa; è quindi necessario tenere in considerazione quanto prima esplicitato sulla capacità di agire dell’eparina in presenza di ridotti livelli di ATIII.

L’impiego di concentrati di ATIII in corso di terapia eparinica prolungata in pazienti con livelli ridotti di ATIII (<70%) è stato ritenuto corretto in caso di mancata risposta.

 

4.     Pre-eclampsia. L’impiego di concentrati di ATIII nelle pazienti con pre-eclampsia è raccomandato per riportare il valore di AT al 100%.

     In corso di Pre-eclampsia si osserva uno stato di vasocostrizione e contrazione volemica che si accompagnano a una CID, la cui eziopatogenesi è ancora sconosciuta. Si è ipotizzata una genesi infiammatoria, impiegando come marcatore la proteina C reattiva. La pre-eclampsia può essere considerata una malattia dell’endotelio, poiché nel circolo materno sono presenti marcatori di danno endoteliale quali la Fibronectina, il vWF, la trombomodulina, l’endotelina, i nitriti, l’EDGF; sono inoltre presenti elevati livelli di IL-1 e TNF e valori diminuiti di ATIII e Proteina C prima delle manifestazioni cliniche. A livello endoteliale si presenta un quadro patogenetico sovrapponibile a quanto descritto per la CID, con una vasocostrizione iniziale che giustifica la labile ipertensione dei primi stadi di malattia. Con la progressione di malattia si ha il coinvolgimento di diversi organi e a seconda dell’organo interessato possiamo avere il quadro clinico della HELLP syndrome, della proteinuria, del difetto di crescita intrauterino isolato fino alla MOF. La terapia è sintomatica poiché con il parto, si ha di solito (ma non sempre) la risoluzione del quadro. L’utilizzo dei concentrati di ATIII è legato proprio all’azione antiflogistica degli stessi ed è risultato efficace soprattutto nelle forme a insorgenza precoce. Studi recenti hanno dimostrato come alti dosaggi di ATIII, prontamente impiegati subito dopo la diagnosi, siano riusciti a correggere lo stato di ipercoagulabilità e iperaggregabilità e a modulare l’infiammazione a livello endoteliale, associandosi ad un ridotto incremento dei marcatori di infiammazione (PCR, Elastasi) rispetto al regime di trattamento con dosi normali.

 

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 Copyright© 1999/2005 - Francesco Angelo Zanolli - Ultimo aggiornamento in data 16/11/2005