Il Santo Graal
Storia e leggende
della reliquia più celebre della cristianità
Cos'è il Santo Graal? Un calice? Una pietra? Un
libro? Poeti, scrittori, esoteristi e registi hanno
diverse teorie in proposito. In queste pagine non posso pretendere di esaurire
il discorso e forse nemmeno di scalfirne il mistero, ma solo cercare di offrire
al semplice curioso qualche indicazione per districarsi in un argomento così
affascinante e così tanto spesso travisato.
LA
STORIA E LA LEGGENDA
La
leggenda del Sacro Graal ha inizio
nell’anno 63 d.C, quando
Giuseppe d’Arimatea,
discepolo di Gesù, lasciò la
Terra Santa per una missione segreta. Dopo un lungo e pericoloso viaggio per
mare l’imbarcazione di Giuseppe raggiunse uno stretto estuario a est dell’Inghilterra. Innanzi a lui, si ergeva la sua
destinazione ultima:
Glastonbury Tor,
l’isola di vetro. Una volta sbarcato, Giuseppe alzò il suo bastone al
cielo in segno di ringraziamento e lo affondò poi nel terreno. Con sé, aveva
portato un prezioso tesoro: si trattava di una coppa contenente il sangue di Gesù Cristo, il Sacro
Graal. In Inghilterra il Graal
restò a lungo.
Per
secoli la sua custodia venne tramandata ad una
discendenza di guardiani. Come Giuseppe prima di loro,
ciascuno era protetto dalla magica coppa. Essa spegneva la loro sete, saziava i
loro appetiti, guariva le loro ferite mortali. Aveva un enorme potere di vita e di morte. Durante il regno del leggendario re Artù il Graal veniva
custodito in una grande fortezza nella quale era sorvegliato da un valoroso cavaliere.
Tuttavia questi tradì il suo sacro dovere per amore di una
donna. E così la benedizione del Graal divenne una maledizione. Un giorno, mentre il
cavaliere duellava per amore della sua signora, fu ferito di una ferita
gravissima, e poiché aveva trascurato la difesa del Graal,
non accennava a guarire. Tutto intorno alla fortezza che ospitava il Graal, la terra si fece arida e deserta. Ferito a morte, e
tuttavia incapace di morire, il cavaliere vide spegnersi a poco a poco il suo
potere. Solo pescando era in grado di dimenticare il dolore della sua
condizione. E fu così che incominciarono a chiamarlo
il Re Pescatore.
Eppure, c’era ancora una speranza. La profezia parlava
di un cavaliere innocente che un giorno avrebbe annullato la maledizione. Il
cavaliere - così si diceva - avrebbe posto al re una domanda precisa, e la
terra sarebbe rifiorita. Ma qual era questa domanda?
Nel frattempo, in una foresta molto distante, viveva una vedova con l’unico
figlio rimasto. Aveva perso il resto della famiglia in guerra,
e quindi, decisa a salvare almeno il più giovane, lo aveva portato a
vivere in quella zona selvaggia, lontano dal mondo degli uomini. Quel ragazzo
si chiamava Parsifal. Un giorno Parsifal vide dei cavalieri nella foresta e
decise di andarsene per diventare a sua volta cavaliere. Non si girò neppure
mentre si allontanava, e non vide la madre cadere a terra morta. Lui le aveva spezzato il cuore. Dopo un lungo viaggio, raggiunse la sua
destinazione, Camelot, il castello di re Artù. Entrando a Camelot, sentì
levarsi una risata di donna e la profezia aveva detto che una risata di donna
sarebbe nuovamente riecheggiata al castello solo in presenza
di un uomo abbastanza valoroso da mettersi alla ricerca del Santo Graal. Era il segnale. E Parsifal
era l’eletto. Ora, sarebbe stato introdotto alla nobile arte del cavalierato. E
il giovane aveva molto da imparare: le astuzie in battaglia, i voti di onore e di coraggio custoditi nel codice della
cavalleria, e soprattutto, il codice del silenzio. Ma
un giorno Parsifal, preso dal rimorso per aver lasciato la madre, si rimise in
cammino e si addentrò nella foresta. All’improvviso, si alzò una nebbia che lo
fece smarrire. Fu allora che incontrò il Re Pescatore, e con esso,
il suo destino. Vedendo che il giovane cavaliere s’era perso, il re gli offrì
riparo per la notte al suo castello. Più tardi, mentre sedevano insieme nel grande salone, cominciò a svolgersi un misterioso rituale.
Come dal nulla, apparse una processione di candele. Alla sua testa una donna
portava un calice scintillante, oltre il quale apparve un magico banchetto. Con
grande sorpresa di Parsifal, il Re Pescatore non si
unì a lui per il banchetto. Parsifal vide che era tormentato da una gran pena,
e se ne chiese il perché. Ma nonostante la curiosità,
si ricordò del codice del silenzio dei cavalieri, e lo rispettò. Poi cadde in
un sonno profondo. Svegliandosi il mattino seguente, Parsifal
era solo, come se la notte precedente fosse stata un sogno. Il castello
era deserto e il Graal era scomparso. Il giovane cavaliere
aveva fallito la sua ricerca. Per arroganza, non aveva chiesto al re quale fosse la sua pena. Quella era la domanda da porre. Per anni
Parsifal vagò sulla terra in cerca della sua innocenza ormai perduta. Ma invece del Graal, tutto ciò che
riuscì a trovare furono gli inganni e le falsità del mondo. Infine,
quando ormai le sue speranze erano quasi svanite, raggiunse la cappella di un
vecchio eremita. Grazie a lui, comprese di aver peccato di orgoglio, d’aver prima spezzato il cuore di sua madre, e
di non aver poi mostrato amore per le sofferenze del prossimo. Solo arrivando a
questa consapevolezza, lasciando da parte il suo orgoglio terreno, egli poté
riaccostarsi a Dio, rimarginare la ferita del re, allontanare la maledizione
dalle sue terre, e restituire tutto il suo potere al Graal.
Questo dice la
leggenda. E da qui ha inizio la nostra ricerca
La leggenda della coppa con il sangue di Cristo
potrebbe essere vera? E se davvero esiste, dove si
trova adesso il Graal? La leggenda del Graal conobbe inizialmente fama per opera di un poeta
francese del XII secolo,
Chrétien de Troyes. Egli scrisse di un magico calice che aveva il potere di
restituire la vita. Morì, però, prima di terminare la sua opera. La leggenda
quale noi oggi la conosciamo, fu scritta dai monaci
Cistercensi dell’Europa medievale. Per i monaci, la leggenda era una ricerca
della rettitudine, una parabola. Una volta adattata allo spirito del
cristianesimo, il contenuto della leggenda originaria rimase lo
stesso, fatta eccezione per un dettaglio: il Graal
non era più semplicemente un calice magico: si diceva ora che fosse la coppa
usata dal Cristo durante l’ultima cena. Gli archivi storici dell’Europa del XII
secolo parlano di un’epoca di carestie e pestilenze.
Per decenni l’intero continente fu devastato dalle epidemie e dalla siccità. I
raccolti non maturavano. Migliaia di persone soffrivano per la distruzione
disseminata dalla peste. Fu anche l’era delle Crociate, un’era di guerre e
brutalità, nella quale gli eserciti di Europa marciavano
contro i musulmani in Terra Santa. La loro missione era quella di riprendersi
Gerusalemme, la nicchia più sacra per il mondo cristiano. Per i cristiani del
medioevo, la leggenda del viaggio di Parsifal per terre misteriose, alla
ricerca del Sacro Graal, era un esempio da imitare.
Ben presto divenne una sorta di inno per gli stessi
crociati, una delle giustificazioni della guerra santa.
Ma il Graal, come la leggenda che ne parla, è più antico di
quanto possa sembrare.
Nonostante la storia della ricerca da parte di Parsifal sia
stata scritta per la prima volta nel XII secolo, gli storici concordano nel dire che abbia avuto origine
oltre un millennio prima. Le sue radici affondano, infatti, nelle saghe degli
eroi dell’Irlanda e della Britannia del tempo dei Celti. Ma
se la leggenda è ancora più antica del cristianesimo, il Graal
è la coppa di Cristo oppure un idolo pagano? Nel I secolo
d.C., quando la Britannia
fu invasa dall’impero romano, molte tribù celtiche fuggirono in Bretagna nel
nord-ovest della Francia. Portarono con loro i racconti di una
antica ricerca, preservati nella memoria dei bardi e dei cantastorie.
Gli scrittori del XII secolo adattarono quegli stessi
racconti al gusto delle corti francesi del medioevo. Trasformarono gli eroi celtici
in cavalieri dalle scintillanti armature e la legge degli antichi guerrieri nei
codici medievali del cavalierato. Così nacque la leggenda del Santo Graal. Il Graal avrebbe mostrato
il suo benefico potere solo ad un cuore umile e puro.
Ma il
mistero più intrigante attende ancora di essere risolto.
Dove si
trova, adesso, il Sacro Graal?
Di una cosa possiamo essere certi: Giuseppe d’Arimatea non era un mito. E
secondo la leggenda, egli portò il Graal dalla Terra
Santa in Inghilterra, a Glastonbury Tor. Ancora oggi, tra la popolazione locale di Glastonbury, aleggia la convinzione che in qualche luogo si
celi un magico segreto. Nei pressi della collina (Tor)
c’è una sorgente chiamata il "pozzo del calice". In epoca medioevale
questo pozzo fu reso famoso dai monaci dell’abbazia di Glastonbury. A
quel tempo, essi sostenevano che la sorgente dovesse il suo insolito colore
rossastro a una fonte sacra, ovvero il sangue di
Cristo che fuoriusciva dal Graal nascosto. Secondo la
storia, però, i monaci di Glastonbury - come la
maggior parte degli ordini religiosi dell’epoca - erano tutt’altro
che benestanti, e avrebbero potuto inventare questa storia per attirare
numerosi pellegrini ingenui a un’abbazia che aveva
bisogno di urgenti restauri. Nel corso del XVI secolo
il re Enrico VIII separò l’Inghilterra dalla Chiesa di Roma. Di conseguenza, i
grandi monasteri cattolici della Britannia subirono
gli attacchi della corona. Fu un’epoca di terrore e di persecuzione. I monaci
di Glastonbury - si disse - fuggirono con il Graal alla volta del feudo di Nanteos
Manor, nel Galles. Qui, fu loro offerto un rifugio.
Il priore divenne il cappellano della famiglia, mentre i monaci lavoravano
nella tenuta. Secondo una leggenda, quando morì l’ultimo monaco, il Graal fu affidato al signore del feudo e lì rimase per 400
anni. Il Graal - si diceva - era una coppa di scuro
legno d’ulivo dal diametro di una quindicina di centimetri, e per tutto quel
tempo, pare facesse bella mostra di sé nell’abitazione
della famiglia. Molti ritengono che alla morte dell’ultimo signore del feudo,
nel 1952, la coppa fu affidata ad altri e sia ora
conservata in luogo segreto.