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NOTE SUL CINEMA ITALIANO

 

IL PERIODO BELLICO: 1940-1945

 

Il cinema di guerra

Negli anni di guerra il pubblico affolla come non mai le sale, tanto che se ne aprono a centinaia di nuove; la gente cerca alcune ore di evasione dal dramma quotidiano, dagli orrori della guerra.

Neppure in questi anni il regime fascista asservisce alla propria causa il cinema italiano: si hanno pochi modesti film di propaganda ma, la maggior parte della produzione, è libera da vincoli e direttive governative.

Anche film di guerra come quelli di Rossellini: La nave bianca ('41), Un pilota ritorna ('42), L'uomo dalla croce ('43), non inneggiano alla guerra fascista, anzi, ben lungi dalla retorica e dall'esaltazione dell'eroismo, sottolineano in maniera neppure molto velata, la violenza cieca della guerra, e gli umani sentimenti di fratellanza fra i popoli.

 - Isa Miranda

In Uomini sul fondo ('41) di De Robertis prodotto dalla Centro Cine della Marina, si esalta il valore dei nostri marinai, ma non per motivi bellici: il sommergibile è affondato nel porto di La Spezia per la collisione con una nave italiana (!).

Notevole è Giarabub ('42), di Goffredo Alessandrini, con i volti di Carlo Ninchi e Mario Ferrari -non se ne potevano trovare di più adatti per questo eroico episodio- che non nasconde la retorica, ma mostra anche tanta verità nel dramma del soldato italiano. Da qui, la celebre canzone con i versi "Colonnello non voglio pane..."

 - Alberto Sordi

In Bengasi ('42), di Genina, ci si interroga sul significato della guerra. Pochi ricordano I trecento della Settima ('43), di Mario Baffico, rievocazione di un episodio in Albania, interessante solo perchè i personaggi sono Alpini veri. Quelli della montagna ('43), di Aldo Vergano; un melodramma militare con gli immancabili Alpini ed un Capitano (chi lo farebbe meglio di lui?) rigidissimo: Mario Ferrari.

Di Matio Mattoli si può ricordare I tre Aquilotti ('42) tratto da un soggetto di Vittorio Mussolini, con un Alberto Sordi non ancora scettico (come sarà nei suoi futuri films) sull'entusiamo del soldato italiano in guerra.

Anche in un film fiabesco come La corona di ferro ('41) di Blasetti, si può riscontrare una chiara denuncia contro la tirannia ed il dispotismo, argomenti non certo graditi a qualsivoglia dittatura, specialmente in tempo di guerra. All'alleato germanico, questo film, non piace per niente, tanto che viene affermato: "questo regista, da noi, sarebbe messo al muro".

 

 - Enrico Viarisio

Forse è in questi anni che nasce l'idea di un cinema impegnato, verista, vicino a persone e fatti reali, anche se non può ancora, per motivi contingenti, esprimersi nella forma del neorealismo. Probabilmente è Vittorio Mussolini, nelle cui mani stanno le sorti del cinema italiano, che dà spazio e risonanza alle idee di quegli intellettuali che, a guerra finita, avrebbero creato uno dei momenti più alti della cinematografia mondiale.

Lavorano nel cinema in questo periodo anche Alberto Moravia, Carlo Levi, Giacomo De Benedetti nelle sceneggiature, ecc. ma non ufficialmente, perchè ebrei.

Nel frattempo il cinema italiano si esprime con ottime pellicole ed eccellenti attori su testi letterari: I promessi sposi ('41) di Camerini; Processo e morte di Socrate ('39) di Corrado D'Errico, con Ermete Zacconi; La cena delle beffe ('41) di Blasetti, (indimenticabile il seno nudo della Calamai e, in second'ordine, la frase di Nazzari "Chi nón béve con mé péste lo cólga!" in perfetto tosco-sardo); Gelosia ('43) da Capuana (Il marchese di Roccaverdina), Di Poggioli; Ossessione ('43) da James Cain, di Visconti, con la straordinaria passione carnale della coppia Girotti-Calamai.

 

 - Carlo Romano

Vi è anche un genere di films definiti sbrigativamente e sprezzantemente Calligrafici, probabilmente più per fare un unico fascio della produzione di un triste periodo della storia d'Italia, che di voler analizzare con obiettività i reali valori in discussione.

 - Alida Valli

Questi films, che rifiutano la roboante estetica fascista preferendo una grande sensibilità letteraria traggono ispirazione, più o meno liberamente, perlopiù da romanzi italiani dell'ottocento; sono dotati di una grande cura formale e, quando necessario, di uno straordinario senso del paesaggio. In definitiva, una ricerca scrupolosissima sulla qualità della rappresentazione visiva, ma anche sonora e verbale.

 - Massimo Serato

Si possono ricordare: Addio giovinezza! ('40) dal testo Camasio-Oxilia, di Ferdinando Maria Poggioli; Piccolo mondo antico ('41) e Malombra ('42) di Soldati; Via delle cinque lune ('42) dalla Serao, di Luigi Chiarini; La bella addormentata ('42) da Rosso di San Secondo, di Chiarini, con la Ferida, Valenti e Nazzari, film vigoroso con notevoli connotazioni sociali.

Un colpo di pistola ('42) da Puskin, di Mario Castellani; Giacomo l'idealista ('43) da De Marchi, di Lattuada che debutta ed inizia la sua analisi del mondo femminile con un testo fortemente antiborghese e di denuncia dell'ipocrisia sociale. Le sorelle Materassi ('43) da Palazzeschi, di Ferdinando Maria Poggioli; Zazà ('44) da Berton-Simon, di Renato Castellani.

Da tempo, in Italia, si dibattono temi che saranno alla base della poetica neorealistica, si lavora su modelli letterari e cinematografici verso una esperienza concreta che non tarderà a venire.

Anche il regime fascista, attraverso il Ministro Pavolini favorisce, con le cautele del periodo -siamo agli inizi della guerra- un cinema aperto alla visione realistica. Dice Pavolini: "Certo, un cinema realista, ma senza l'equivoco che realismo debba per forza riflettere gli aspetti deteriori della società".

Alcuni films si rifanno alle lezioni letterarie del verismo e delle opere del Verga, subiscono le influenze del cinema francese di Renoir, Marcel Carné, Duvivier, della cinematografia sovietica, della stringente efficacia del cinema americano; vengono realizzati films che possono essere considerati come anticipatori del neorealismo, pur proveniendo da esperienze alquanto diverse: La peccatrice ('40) di Palermi; Sissignora ('41) di Poggioli; Fari nella nebbia ('42) di Franciolini; Quattro passi fra le nuvole ('42), di Blasetti; Avanti c'è posto...('42) e Campo dei fiori ('43) di Bonnard; I bambini ci guardano ('43) di De Sica; L'ultima carrozzella ('43) di Mattoli, ecc.

Fino ad arrivare ad una pietra miliare: Ossessione ('43) di Visconti. E' l'annuncio di un nuovo cinema: aggressivo, ideologico, esplicito; tutto esprime vitalità e forza: dai personaggi al paesaggio; dagli oggetti ai suoni; dagli sguardi ai silenzi. E' un'esplosione che mostra dimensioni mai esplorate nel mondo del visibile e nel mondo dei sentimenti, che squarcia la realtà fino alle componenti angoscianti infinitesime.

Dopo Ossessione, il cinema, non può più essere quello di prima.

 

Il cinema migra al nord

Alla fine del 1943 parte degli uomini del cinema seguono gli impianti cinematografici trasferiti al Nord, nella Repubblica Sociale Italiana; parte -la maggior parte- invece, abbandona i poco promettenti scalcinati carrozzoni in viaggio verso il destino incerto di una guerra oramai chiaramente perduta, e si immerge nella folla romana alla ricerca, come tutti, di qualche genere alimentare al mercato nero e, soprattutto, di cancellare un passato quasi sempre ingombrante.

I volontari della RSI, per quanto cerchino di dimostrare assoluta fiducia nella vittoria finale, nella volontà ferrea del Duce e nelle vagheggiate armi segrete tedesche, sembrano piuttosto rassegnati alla "bella morte", una fine gloriosa per non venir meno alle proprie illusioni ed al Patto d'Acciaio con l'alleato Germanico.

I documentari italiani e tedeschi dell'epoca, mostrano le Brigate di reclutati con uomini, ragazzi e anche bambini mal vestiti, male armati e denutriti, in partenza per i vari fronti, soprattutto quello interno, dove italiani fucileranno italiani, si massacreranno civili, si incendieranno case e paesi.

La vita vale pochissimo in quei giorni, si regolano conti con un colpo alla nuca, anche senza alcuna motivazione bellica o politica; bastano rancori personali, interessi di vario genere.

La nuova capitale del cinema è Venezia, con uomini di spettacolo molto variegati, registi e attori di differentissimi valori; un ambiente infido, corrotto, con sospetti, delazioni, doppi e tripli giochi, complicità inimmaginabili per garantirsi passaporti di salvezza in vista di qualsiasi possibile esito del conflitto.

Non mancano i collaborazionisti con le Brigate Nere che collaborano anche con i Partigiani, alcuni si salvano, altri no; Osvaldo Valenti e la Luisa Ferida vengono fucilati.

In questo clima, durante i 600 giorni della RSI, vengono girati dei films la cui qualità è pari alle idee e mezzi economici disponibili; si può ricordare perchè visto anche nel dopoguerra, Ogni giorno è domenica ('44) di Mario Baffico col pugile Erminio Spalla.

Gli altri film non inneggiano nè trattano di guerra: le bombe, quelle vere, non mancano al pubblico che continua ad affollare i cinematografi, proprio per non pensare, almeno per un paio d'ore, alle sofferenze quotidiane.

Siccome la gente evita i films di propaganda, circolano quelli di evasione, di buoni sentimenti, ecc. Si ripescano vecchie pellicole e se ne importano dai paesi amici: Germania, Ungheria, Romania ecc.

Nel frattempo, al Sud, tornano i films americani.

-Mario Camerini -Goffredo Alessandrini -Mario Mattoli -Raffaello Matarazzo -Gennaro Righelli -Amleto Palermi -Luchino Visconti -Carlo Ludovico Bragaglia -Sergio Tofano -Aldo Vergano Quelli della montagna ('43) 

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