mappa del progetto Dante

  1.1 Sommario dei temi trattati nei quattro libri del Convivio
 
 

Il Convivio nasce dal progetto di edificare una enciclopedia del sapere destinata a tutti quei “nobili di cuore” che per le ragioni più disparate non hanno potuto studiare il latino, ma sono infiammati dal divino desiderio di conoscenza che, come insegna Aristotele, è connaturato all’uomo in quanto essere razionale. Secondo il progetto originario l’opera avrebbe dovuto comprendere quindici trattati, una introduzione generale e quattordici commenti ad altrettante canzoni scritte in volgare. Dante riuscì a completare soltanto la stesura dei primi quattro trattati, per il sopraggiungere del nuovo impegno della Commedia cui avrebbe dedicato tutte le sue energie. Gli indizi presenti all’interno del testo permettono di stabilire, con un buon margine di approssimazione, che l’opera fu iniziata alla fine del 1303 e interrotta agli inizi del 1307. Tra la stesura dei primi tre libri e quella del quarto si inserisce un lasso di tempo di circa due anni, tra il 1305 e il 1306, in cui si collocherebbe la composizione del De vulgari eloquentia.

Le caratteristiche dei destinatari e la struttura dei singoli trattati, concepiti come commenti esplicativi a canzoni in volgare, forniscono le ragioni principali a giustificazione della scelta, temeraria per quei tempi, di adottare la nascente lingua del sì per un’opera di filosofia che spesso si inoltra anche sul pericoloso terreno delle dispute teologiche. Dante illustra queste motivazioni nel trattato introduttivo, che si conclude con una entusiastica esaltazione della nuova lingua, definita “sole nuovo e luce nuova” che nei secoli a venire subentrerà al latino, la lingua delle scuole consacrata dalla tradizione.

Dopo questa introduzione il secondo trattato, che commenta la canzone Voi che’ntendendo il terzo ciel movete, espone la dottrina dei quattro sensi della scrittura (letterale, allegorico, morale, anagogico) ed illustra la gerarchia delle discipline del sapere medievale attraverso uno schema allegorico in cui ogni singola scienza viene associata per analogia ad una delle sfere celesti del cosmo tolemaico. In questo schema le arti del trivio (grammatica, dialettica, retorica) vengono poste in corrispondenza, rispettivamente, con i cieli di Luna, Mercurio, e Venere. Le arti del quadrivio (aritmetica, musica, geometria, “astrologia”) corrispondono a loro volta ai cieli del Sole, di Marte, Giove e Saturno. La sfera delle stelle fisse accoglie, insieme, la Fisica e la Metafisica, il Primo Mobile l’Etica, l’Empireo la Teologia. Se la pace dell’Empireo, cielo dei cieli ricolmo di luce, rappresenta la Verità assoluta che potremo vedere “faccia a faccia” soltanto nella vita ultraterrena, il movimento di rotazione delle sfere celesti attorno alla terra assurge a metafora del “movimento” di ciascuna scienza attorno al proprio oggetto disciplinare.

Conclusa questa esposizione schematica della gerarchia delle scienze, il III trattato procede a costruire una sorta di “antropologia pragmatica” centrata sull’esaltazione della potenza della mente e sulla divinizzazione della Filosofia, vera regina delle scienze. Commentando la canzone Amor che ne la mente mi ragiona, Dante preleva materiali appartenenti a tradizioni spesso eterogenee: l’Aristotele latino, mediato dai commenti di Tommaso d'Aquino e Alberto Magno, ma spesso anche di Averroè ed Avicenna, viene spesso affiancato a fonti neoplatoniche come il Liber de Causis e contaminato con suggestioni teoriche tipiche della metafisica della Luce, in un arco che spazia dai testi dello Pseudo Dionigi Areopagita fino ai trattati di Roberto Grossatesta. In questo sincretismo, emerge uno dei tratti caratteri peculiari dell’approccio dantesco, un atteggiamento di apertura “polifonica” che rende vano ogni tentativo di ricondurre a forza il pensiero del poeta entro i ranghi di una qualsiasi ortodossia, identificata di volta in volta con questa o quella singola fonte. Ed è in tale contesto che deve essere intesa la trasformazione più significativa a cui viene sottoposta la filosofia, la “Donna Gentile” che governa la mente di colui che “si innamora” del sapere. La filosofia non viene più esaltata in quanto mera apportatrice di consolazione in funzione subalterna e ancillare rispetto alla teologia – secondo il classico motivo fissato da Severino Boezio nella Consolatio Philosophiae e canonizzato dalla tradizione – ma glorificata come apportatrice di una beatitudine che Dante paragona esplicitamente alla “letizia” degli angeli in Paradiso.

 

In sostanziale continuità con questa apoteosi della mente umana, che fissa le linee guida della trattatistica rinascimentale sull’eccellenza e la dignità dell’uomo, il quarto trattato affronta il tema della “nobiltà”, nel tentativo di fornire una definizione scientificamente corretta di tale concetto. Stavolta, a differenza del metodo seguito nei trattati precedenti, il commento alla canzone Le dolci rime d’amor ch’i solìa, è condotto soltanto attraverso l’esplicazione del senso letterale. Dante procede confutando l’opinione attribuita all’imperatore Federico II, secondo cui nobiltà significa “antica ricchezza e belli costumi”. In contrasto con la concezione aristocratica e feudale, Dante stabilisce che l’autentica nobiltà appartiene all’individuo e non alla stirpe o alla casata di provenienza. Essa non si trasmette ereditariamente come un qualsiasi patrimonio, ma è un dono di Dio, più precisamente un “seme di felicitade messo da Dio nell’anima ben posta”. Anche in questo caso troviamo significative commistioni tra elementi teorici che appartengono alla tradizione neoplatonica, come la dottrina dell’origine dell’anima mediata da Alberto Magno, ed elementi eterodossi provenienti dalla tradizione ermetica ma anche dal cosiddetto “aristotelismo latino”, soprattutto Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia.
Il Convivio, in definitiva, non vuole offrire una summa sistematica sul modello delle grandi opere scolastiche, alle quali comunque si ricollega nel metodo di argomentare, ma nemmeno un’enciclopedia di tipo puramente compilativo come i vari Specula o florilegi diffusi all’epoca, dai quali Dante, in ogni caso, attinge con abbondanza di citazioni. I quattro trattati costituiscono un laboratorio linguistico in cui per la prima volta il volgare del sì viene messo alla prova nel difficile arengo della filosofia, onde mostrarne la pari dignità, se non la superiorità, nei confronti del latino; ma soprattutto un laboratorio speculativo in cui emergono i principali nuclei concettuali che la Commedia tradurrà in moduli narrativi.

 

| Commenti |