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I parametri dell'allenamento

Perché, oltre ai muscoli, non usare ogni tanto il cervello? Facciamo un po' d'ordine!


A prescindere dai nomi altisonanti e dalle scoperte rivoluzionarie, che lascio ai falsi profeti che prosperano nelle varie riviste del settore, per impostare una routine d'allenamento produttiva occorre semplicemente applicare la logica ed il metodo scientifico. Come spesso dice Mike Mentzer (sono stato molto influenzato dai suoi scritti), non siamo riusciti a portare l'uomo nello spazio procedendo in maniera casuale, basandoci sull'istinto e su false e contraddittorie teorie costruite su deduzioni prive di fondamento scientifico.

La teoria scientifica può (anzi, deve!) essere applicata anche al body-building ed impostare, per renderla efficace, una routine d'allenamento in maniera scientifica vuol dire essenzialmente manipolare opportunamente i seguenti tre parametri base: intensità, volume e  frequenza.


L'
intensità, è senza dubbio un parametro non semplice da definire, ma alcuni autori seri, cito per tutti il "maestro" Filippo Massaroni, sono riusciti ad avvicinarsi abbastanza alla "perfezione". Trattare in maniera scientifica una qualità, nel caso specifico l'intensita', necessariamente significa cercare di misurarla. Poiché alla base di ogni allenamento c'e' la singola serie, ed ogni allenamento è, generalmente, composto da più serie occorre un modo per misurare l'intensita' di una serie, da intendere, in un certo senso, come una misura dello svuotamento energetico del pool dei fosfati, ed un'altro per determinare l'intensita' di un gruppo di serie. Per quanto riguarda l'analisi per una singola serie si giunge alla seguente formula, che può anche "lasciare il tempo che trova", ma che sicuramente può servire come punto di partenza:

                         I = (Kg x Rip) / max

dove Kg e' il carico al bilanciere, Rip indica il numero delle ripetizioni e max e' il massimale in quel determinato esercizio. Come si vede, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'atleta che con il trascorrere degli allenamenti aumenta i carichi adeguandoli ai nuovi massimali continua ad usare la stessa intensità anche se la percentuale del massimo gli consente carichi maggiori, a parità di ripetizioni.
Passando all'analisi di un insieme di serie, bisogna tener conto dei metabolismi che sono dietro la contrazione e degli eventuali cataboliti. Nella misura dell'intensità delle serie, occorre quindi tener conto dei tempi di recupero delle fonti energetiche specifiche al lavoro effettuato. La variabile base è quindi il tempo ed il concetto di intensità che ne consegue è detto "densità". Poiché, al solito, è necessario misurare una grandezza per poterla trattare, ecco la formula che ne consegue:

                        D = (Kg x Rip x nS) / t

dove Kg x Rip e' il tonnellaggio sviluppato in una serie, nS il numero di serie e t il tempo impiegato per eseguire il lavoro dalla prima ripetizione della prima serie all'ultima ripetizione dell'ultima serie. Tale parametro, che ha molto a che fare col concetto di potenza, qualche tempo fa e' stato ripreso da Pete Sisco che lo ha definito Forza Alpha.

Ricapitolando:
a) sono gli appena definiti parametri, I e D, gli unici (o almeno i principali) che possono quantificare l'intensita' di un allenamento;
b) solo una variazione opportuna (il come, potrebbe essere argomento di un futuro articolo....) delle quantità che definiscono I e D può portare ad un incremento dell'intensità di un allenamento;
c) contrariamente a quanto spesso si legge, l'aumento dell'intensità non ha niente a che vedere con l'aumento del numero di serie, anzi, secondo Mentzer, Massaroni ed i più, e' l'esatto contrario!

Passando alla conseguente applicazione in palestra, secondo Mentzer (citerò molte volte Mentzer, che in un certo senso considero come un punto di riferimento), per ottenere risultati l'intensità deve essere massima (100%), cioè i set vanno portati al cedimento. Personalmente, poiché molti studi hanno portato alla conclusione che l'iperplasia viene innescata essenzialmente dalle contrazioni eccentriche (negative), penso che sia opportuno aggiungere, anche se non sempre e non contemporaneamente su tutti i muscoli, una ripetizione negativa al set portato fino al cedimento.
Molto è stato scritto sulle varie tecniche da utilizzare per cercare di aumentare l'intensità (Forzate, Rest-Pause, Contrazione Statica, Stripping, Negative, Burns, ecc.) e quindi su quest'argomento eviterò di soffermarmi.

Una nota ben più ampia deve essere, invece, fatta per quanto riguarda le "
varianti di intensità" (così le definisce McRobert). Forse avrò sbagliato qualcosa (probabilmente la frequenza era troppo alta ed in futuro prometto di riprovarci abbassandola un po'), ma i cicli di intensità crescente consigliati da McRobert, nel mio caso, si sono rivelati un completo fallimento. Addirittura, anche all'inizio dei cicli, quando utilizzavo carichi da non portare fino al cedimento, ho avuto sempre bisogno di effettuare delle sedute di "scarico". In pratica, mi sovrallenavo, non mi allenavo con sufficiente intensità per progredire, e ........... decompensavo!
A supporto di quanto, da me, verificato "sul campo", si possono fare parecchie considerazioni teoriche nei confronti dei cicli a carico crescente (fig. 1).

Le possibilità di adattamento dell'atleta conseguenti a questo tipo di andamento possono essere due:
1) se già le prime sedute rappresentano per l'atleta un notevole impegno è molto probabile che egli si venga a trovare in grande difficoltà con il trascorrere dei giorni, poiché il suo organismo non ha il tempo di adattarsi al carico che, d'altro canto, continua a crescere (probabilmente è il mio caso);
2) la possibilità opposta a quella appena descritta è quella per cui le sedute iniziali sono per l'atleta di facilissima realizzazione e soltanto le ultime sedute riescono a provocare adattamenti efficaci nel suo organismo (penso che McRobert con la sua ciclizzazione miri a questo).
Nel primo caso la crescita continua del carico di allenamento provoca, nel giro di pochi giorni, fenomeni di affaticamento che rendono impossibile lo sviluppo ulteriore dell'allenamento. Nel secondo caso, gran parte delle sedute previste sono scarsamente utili al fine di provocare adattamenti vantaggiosi.
Dalle considerazioni sopra esposte si possono ricavare alcune conclusioni:
a) la crescita lieve ma ininterrotta dei carichi di allenamento non tiene in debito conto le leggi fisiologiche dell'adattamento: provoca a seconda dei soggetti, o troppa fatica o troppo poca;
b) da quanto visto nel punto a, si tratta di una modalità di sviluppo del carico che ha poca, se non addirittura nessuna, adattabilità pratica;
c) l'unico modo per poter sviluppare in tale maniera il carico di lavoro è ridurre "esageratamente" la frequenza degli allenamenti.
Come già detto, prima di dare un giudizio definitivo, dovrò rivedere (rispetto troppo il lavoro fin qui fatto da McRobert per accantonare i suoi cicli ad intensità crescente dopo pochi tentativi), variando i vari parametri, i cicli di intensità consigliati da McRobert anche se, fin da adesso, li ritengo di una certa utilità nel caso in cui occorra apprendere qualche nuova tecnica, come ad esempio lo squat da 20 ripetizioni, ecc.
All'atto pratico, fin'ora, mi sono sempre trovato meglio con un ciclo ad intensità decrescente (fig. 2), sul modello Tschiene - Bellotti - Donati, tirando due, tre allenamenti al limite e poi scaricare.

Il parametro complementare all'intensità è il volume. Esso è una misura della quantità dell'allenamento mentre l'intensità, in un certo senso, ne misura la qualità.
Per misurare il volume, occorre definirlo e a seconda degli autori, ecco a cosa si giunge:
1) v = n° serie;
2) v = n° serie x n° ripetizioni;
3) v = n° di serie x n° ripetizioni x Kg sull'attrezzo.
Personalmente, forse per semplicità di calcolo, utilizzo la prima definizione, anche se le terza (indicata anche come tonnellaggio) è sicuramente la più diffusa.

A prescindere dalla definizione adottata, il volume, contrariamente all'intensità, deve essere minimo (verrà spiegato dopo il perché) e Mentzer, nella sua categoricità, consiglia addirittura un solo set per muscolo. Poiché non tutti, a mio avviso, possiedono un feed-back tale da riuscire in un solo set a coinvolgere la "totalità" delle fibre di un muscolo, io trovo più logico un range che va da 1 a 4 set per area muscolare.
Quando si esegue più di un set per muscolo, per sollecitare il maggior numero possibile di fibre, è bene cambiare ogni volta esercizio (o almeno l'angolazione dello stesso o l'ampiezza dell'impugnatura), ad esempio se abbiamo intenzione di eseguire 3 set per i dorsali, un ipotetica routine potrebbe essere la seguente:
Trazioni alla sbarra per 6 ripetizioni + 1 negativa; Rematore con bilanciere per 8 rep; Trazibar per 6 rep (ovviamente il numero di rep è puramente indicativo in quanto ogni set va portato al limite).
Occorre considerare, ancora, che le braccia vengono sollecitate indirettamente dagli esercizi per dorsali e pettorali e, in conseguenza di ciò, bicipiti e tricipiti vanno allenati con 1, al massimo 2, set.
Il capitolo seguente, della storia intitolata "volume", è quanti set bisogna eseguire per allenamento? Questa è la classica domanda da un milione (e forse più) di dollari. Molto dipende dal tipo di routine che abbiamo in mente, e cioè se abbiamo intenzione di allenare tutto il corpo in un solo allenamento o vogliamo utilizzare una split doppia o tripla (non penso che si possa andare oltre una split tripla). Ovviamente più muscoli si allenano in una stessa seduta, e più il range di 1 - 4 set per muscolo tende ad uno! La regola generale da seguire è proprio questa e addirittura, nel caso in cui si alleni tutto il corpo in una stessa seduta, è bene allenare a sedute alterne (o non allenare affatto in quanto ricevono stimoli indiretti) le aree muscolari "secondarie".
Vedremo in seguito come trattare singolarmente i tre casi che possono presentarsi (allenamento singolo, split doppia, split tripla) e quando, oltre che perché, optare per uno rispetto agli altri.

La
frequenza di allenamento, intesa come numero di allenamenti settimanali, è il parametro più misterioso e sconosciuto. Tale sfuggente entità, che all'atto pratico risulta importante quanto l'intensità ed il volume, nella letteratura del body-building praticamente non esiste! Ho letto molto (ma non tutto e quindi qualcosa può essermi sfuggita) e gli unici accenni riguardo tale argomento sono attribuibili a McRobert, Mentzer, Shawn Phillips e Hatfield.

Il lavoro di Shawn Phillips, che non è altro che il rifacimento dei vecchi scritti di Hatfield, è teoricamente corretto in quanto è vero che i diversi muscoli necessitano di tempi diversi per recuperare (a causa del tipo di fibre, delle dimensioni, ecc.), ma - a mio avviso - alla fine non è stato proposto nulla di realizzabile. Per quanto ne so, sia Hatfield che Shawn Phillips non hanno fornito un metodo pratico e rapido per realizzare dei programmi congruenti (tra la varie problematiche, con l'andare avanti del ciclo possono presentarsi associazioni incompatibili tra le varie aree muscolari: allenare i tricipiti il giorno prima dei pettorali, allenare gambe e schiena nello stesso giorno, allenare i bicipiti il giorno prima dei dorsali, ecc. ecc.) a frequenza variabile.
Niente paura! Col mio libro sui
Sistemi a Frequenza Multipla e con l'ausilio del relativo Software, realizzare coerenti programmi con Frequenza Variabile è diventato semplice…

Dei lavori di McRobert e Mentzer che dire? Beh, entro certi limiti, anche se per molti versi sono ormai "sorpassati", potrebbero portare nella direzione giusta! In pratica, McRobert e Mentzer, affermano che bisogna allenarsi con una frequenza decisamente inferiore a quella "consueta" e che con l'aumentare dell'anzianità d'allenamento tale frequenza deve diminuire ancora. Nulla da eccepire, se non fosse per l'aleatorietà di McRobert, il quale consiglia di ridurre la frequenza lasciandosi guidare dal buonsenso, e la categoricità di Mentzer, il quale afferma che la frequenza giusta (almeno all'inizio) è di un allenamento ogni quattro giorni. Non basta affermare, anche se già è un grossissimo passo avanti, che è necessario allenarsi  meno spesso, occorre fornire le metodologie che permettono di determinare quant'è il "meno spesso".
La chiave giusta per determinare la frequenza ottimale, o quantomeno per evitare il sovrallenamento e massimizzare i progressi, è liberarsi dai preconcetti e cominciare col fare le seguenti due asserzioni:

1) l'affermazione, fatta nell'ambito "scientifico", che un muscolo decompensa dopo 96 ore dall'ultimo allenamento è un'enorme fesseria (se chi l'ha affermato è un professore dovrebbero togliergli la laurea, se è un allenatore sarebbe meglio che cambiasse mestiere!). Se l'evidenza sul campo, cioè in palestra, ha mostrato che ad un muscolo occorrono a volte decine di  giorni per recuperare (e successivamente supercompensare) da un allenamento come può decompensare prima? Fatevelo spiegare dal sapientone di cui sopra........
2) il tempo necessario per recuperare, che poi è il parametro da cui deriva la frequenza d'allenamento, non è un quantità costante e tantomeno una quantità intera (dove per intera si intende che non si recupera esattamente dopo 24, 48, 72 ore, ecc. , ma dopo, ad esempio, 30, 46, 121 ore, ecc.), e quindi occorre procedere per tentativi e con una certa approssimazione.

Poiché le variabili da manipolare, nel tentativo di determinare la frequenza opportuna, sono tante,
una soluzione generale del problema non è possibile. Il problema, viceversa può essere risolto (anche se con una certa approssimazione) se lo semplifichiamo soffermandoci sui vari casi particolari.
Sarà argomento di prossimi articoli proprio come trattare singolarmente i tre casi (allenamento singolo, split doppia, split tripla) che possono presentarsi.

Ricapitolando, abbiamo fin qui introdotto i parametri necessari per un'organizzazione scientifica dell'allenamento e abbiamo
postulato che per ottenere risultati l'intensità deve essere massima, il volume minimo e la frequenza opportuna.
Nella prossima sezione continuerò il discorso cercando di
spiegare scientificamente il perché di quanto è stato assunto e successivamente mostrerò come applicare la teoria espressa al fine di impostare un produttivo programma di allenamento.