LA GENTE A CUI DEVO QUALCOSA


Ripenso... a tutta la mia vita e a tutti coloro a cui devo qualcosa, voglio dire quelli che ricordo personalmente. Naturalmente so che questa gente di cui sono debitore deve qualcosa a dell'altra gente, che a sua volta deve qualcosa a qualcun altro, e insomma tutti noi siamo debitori nei confronti degli altri. E ciò che possediamo non è altro che la somma di tutto ciò di cui siamo debitori.
E l'unico modo che ho per ripagarvi, amici che andate e venite e parlate, è lavorare, e fare in modo che il mio lavoro vi aiuti a trovare lavoro, il genere di lavoro che più vi piace e più vi si adatta. Il vostro lavoro mi ha giù aiutato, e continua ad aiutarmi, ma ho bisogno di sapere concretamente se il mio lavoro aiuta voi.
In questo periodo il mio lavoro consiste soprattutto nello scrivere. Scrivo canzoni, ballate, storie in musica e racconti senza melodia, e versi scatenati con battute libere e ritmi ancora più liberi. Questi ritmi da soli sono belli come la vernice del vostro trattore, come l'olio della vostra ruota, ma sono io che ho verniciato il vostro trattore, e ho zappato filari e filari di terra piena di erbacce nei vostri campi di cotone e di granturco. Non ho mai avuto tempo di imparare tutto quello che bisogna sapere sul verso sciolto e sul ritmo. Non sono mai stato molto brillante a leggere le note musicali, e neppure a scriverle. Non ho mai imparato le leggi superiori della matematica, e neppure il parlare ricercato.
Però vi ho sempre osservato attentamente, e ho tenuto le orecchie
ben aperte quando mi passavate vicino. Ho visto le rughe scavate nei vostri volti dalle preoccupazioni, dal tempo e dallo spazio. Ho visto il vento modellare i vostri volti in modo che il sole potesse illuminarli con pensieri e chiaroscuri. Mi ricordo com'era la vostra faccia la prima volta che vi ho visto, e ricordo la vostra voce e le parole strascicate che pronunciò la prima volta che l'udii, e notai i diversi modi in cui gli occhi vi si facevano chiari e scuri mentre parlavate e a volte, mentre tacevate, vidi le speranze che si riaffacciavano nel vostro sguardo.
E anche quando non dicevate niente sapevo leggervi in viso le vostre esigenze, perché me le avevate raccontate e io le avevo fatte mie. E io vi aveva raccontato i miei affanni e voi li avevate fatti vostri. Mi avete parlato delle cose che sapevate e ho imparato a farvi partecipi di ciò che sapevo. Mi avete battuto le mani quando ballavo e mi avete tenuto la testa in grembo quando piangevo. Ma ora ho trentaquattro anni, e nel corso degli ultimi anni non ho pianto molto.
Immagino di essere arrivato al punto in cui l'unico modo in cui potrei piangere è su un foglio di carta pieno di parole come questo. Ho sentito in me una tempesta di parole, abbastanza da scrivere centinaia di canzoni ed altrettanti libri. Ma so che queste parole che sento non sono mia proprietà privata.
Le ho prese in prestito da voi, cosi come ho camminato in mezzo al vento prendendo in prestito l'aria sufficiente per continuare a muovermi, e ho preso in prestito da mangiare e da bere per mantenermi in vita. Ho preso in prestito la camicia che voi avete cucito, il cappotto che avete filato, la biancheria che avete rammendato e i calzini che avete tessuto. Sono andato avanti, seguendo la mia strada, e voi siete andati avanti lungo il vostro cammino. E le intemperie, la neve, le bufere, il ghiaccio e la grandine si sono abbattuti sul campo di avena, hanno martellato il tetto dell'auto, hanno bucato le tettoie e strappato tendoni, hanno infranto i vetri alle finestre, ma non hanno mai separato il nostro lavoro. Il vostro lavoro ed il mio si sono tenuti per mano e non si sono mai separati. Ed io ho preso in prestito la mia vita dalle opere della vostra vita. Ho sentito in me la vostra energia, ed ho visto la mia muovere voi.
Forse vi hanno detto di chiamarmi poeta, ma io sono poeta non più di quanto lo siete voi. Sono un autore di canzoni e un bravo cantante non più di quanto lo siete voi. L'unica storia che ho sempre cercato di scrivere siete voi. E non sono mai riuscito a scrivere una ballata o un racconto che dicessero tutto quello che c'è da dire su di voi. Voi siete i poeti, e la vostra lingua di tutti i giorni è la nostra migliore poesia scritta dal migliore poeta. Io non sono altro che una specie di scrivano, di meteorologo; il mio laboratorio è il marciapiede, la strada, il campo, l'autostrada e gli edifici. Io non sono né più né meno che un fotografo senza macchina fotografica. Perciò lasciate che sia io a chiamare voi poeti e cantanti, perché voi saprete leggere tutto questo con più canto nella voce di quanto non possa fare io.
Mia moglie e i miei amici, che leggono queste pagine man mano che le scrivo, infondono nelle parole lo spirito della poesia più di quanto non potrò mai fare io. Sei tu, lettore di queste pagine, che sai cogliere il respiro del cannone e il ritmo del tamburo dalla pagina scritta. Io non sono né più né meno che il tuo segretario che la trascrive, come un eterno debito mai completamente saldato. Questo è un libro di debiti e di parziali acconti.

13 Marzo 1946
Coney Island






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