Il filosofo camminava sulla spiaggia, di buon mattino. Quello era il suo luogo preferito, quando voleva concentrarsi su qualche problema difficile.
Camminava lento, accarezzandosi la barba bianca. E pensava: “Certo, è un onore essere invitati al Congresso, ma in cambio devo tenere un discorso sul tema. E quelli del Congresso che tema mi assegnano? Il disegno di Dio, nientemeno! Adesso cosa faccio? Dove trovo uno spunto originale?”
Camminava lento, scansando le stelle marine che la tempesta della notte aveva gettato sulla sabbia. Guardava in basso, e si accorse di “lui” solo quando gli fu addosso. Incontrava spesso quel bambino, apparentemente solo, che giocava sulla spiaggia. E anche quella mattina “lui” era li.
Il filosofo detestava i bambini: li trovava troppo sporchi, capricciosi e, in definitiva, stupidi. Se poteva, li evitava. Ma quello no. Quello aveva qualcosa di speciale: non era petulante, ci si poteva scambiare qualche parola e, incredibilmente, riusciva sempre a metterlo in imbarazzo con qualche osservazione acuta. Aveva un conto aperto con quel bambino.
Il filosofo non poté fare a meno di salutarlo.
· “Buongiorno, bambino”.
· “Buongiorno, signor filosofo”.
· “Cosa fai di bello oggi?”
· “Faccio quello che vedi. Raccolgo le stelle marine e le ributto in acqua prima che il sole le uccida. C’è poco tempo oramai”.
Il filosofo sorrise, malizioso. Era una sua debolezza punzecchiare gli interlocutori e, per una deplorevole piega del suo carattere, più l’interlocutore gli sembrava sprovveduto più godeva nel tentare di coglierlo in fallo.
Ma poi prendevano il sopravvento l’imprudenza e l’arroganza.
Anche quella volta non poté resistere.
“Caro bambino, il tuo progetto è folle. Guarda: la spiaggia è lunga chilometri e le stelle marine sono migliaia, forse milioni. Nella migliore delle ipotesi, potrai salvarne qualche decina. Lascia perdere. Non vale la pena. Che differenza fa?”.
Sembrava che il bambino avesse già in mente la risposta giusta. Raccolse in fretta un’altra stella e la buttò in mare.
“Vedi? Per quella ci sarà una differenza! Ne vale la pena”.
Il filosofo restò sconcertato. Che figura! Lasciarsi trascinare fino a farsi mettere nel sacco da un bambino! Un’altra volta da “quel” bambino. Sempre lui!
Promise a se stesso che in futuro avrebbe ponderato meglio prima di esprimersi e non avrebbe lasciato prevalere il lato deplorevole del suo carattere.
Ma oramai era di cattivo umore. La giornata era persa e tornò a casa nervoso. Forse, domani...
Dormì agitato. L’indomani, di buon mattino, il filosofo era sulla spiaggia per ripensare al disegno di Dio. Non c’erano più le stelle marine. Erano state liquefatte dal sole? oppure il bambino era riuscito a salvarle tutte?
Già, il bambino. Lo vide da lontano, sulla battigia, intento a prelevare acqua dal mare con una conchiglia per poi versarla in una piccola buca che aveva scavato nella sabbia della riva.
Il filosofo s’illuminò. Stavolta non si sarebbe fatto beffare.
· “Buongiorno, bambino”.
· “Buongiorno, signor filosofo”.
· “Cosa fai di bello oggi?”
· “Faccio quello che vedi. Voglio attraversare il mare a piedi e così lo svuoto. L’acqua la metto tutta in questa buca”.
“Altolà. Conosco questa storia. È già capitata a sant’Agostino. In qualche modo sei venuto a sapere che mi sto occupando del disegno di Dio e quindi hai organizzato questa messinscena per ridere di me”.
“No, no, signor filosofo, cosa dici? Non mi permetterei mai”.
“Ti aspetti che ti dica che non è possibile mettere il mare nella piccola buca per sentenziare che io sto facendo la stessa cosa quando tento di comprendere con la mia piccola mente il disegno di Dio”.
“Veramente, non volevo davvero insinuare che la tua mente sia piccola...”
“Certo che non posso comprendere interamente il disegno di Dio, ma ogni riflessione, ogni sforzo in tale direzione farà una differenza; ne vale la pena”.
“Signor filosofo, non avevo intenzione di sentenziare. Ma, visto che hai toccato l’argomento, vorrei segnalarti che, secondo me, potrebbe anche non esistere alcun disegno di Dio”.
Il filosofo restò ancora una volta sbalordito. La conversazione stava assumendo una direzione imprevedibile e già pericolosa.
Il bambino continuò: “Esiste una dimostrazione matematica della necessità di una qualche regolarità anche in un susseguirsi di eventi perfettamente casuale. Un noto teorema afferma che il disordine assoluto non può esistere”.
“Fammi un esempio”, disse il filosofo, un po’ a disagio ma anche incuriosito.
“Per esempio, tra l'insieme di tutte le stelle che appaiono durante la notte, siamo sempre in grado di ordinarne alcune in gruppi che chiamiamo costellazioni. Noi tendiamo irresistibilmente a vedere tra le stelle delle figure basate su concetti predefiniti, quali il triangolo, il quadrilatero, o altri, ma tutti correlati alle conoscenze già acquisite dal nostro occhio e dalla nostra mente”.
Al filosofo sembrava di essere già al
Congresso. Quasi senza accorgersene osservò: “Mi
sembra di capire che ognuno ci vede le figure che ha già in mente. Per questo i
greci antichi vedevano animali, figure mitologiche e oggetti comuni, mentre,
quando c’è stata la possibilità a partire dal Cinquecento di vedere le stelle
dell’emisfero australe, oramai gli astronomi erano in grado di vedere orologi,
sestanti, macchine e oggetti tecnologici del loro tempo.”
“È proprio così. Ma è importante capire che è inevitabile vedere dei triangoli o dei quadrilateri una volta che le stelle visibili superino il numero di 2 o di 3”.
Il filosofo era sicuro: quello non era un bambino qualsiasi. E, non sapendo bene cosa aggiungere, azzardò una conclusione su quello che aveva capito.
“Insomma, mi stai dicendo che il caso genera delle regolarità e che queste regolarità annullano il caso. Mi stai dicendo che non occorre un disegno”.
lo
straordinario bambino confermò: “Infatti 3 x 5 = 15”.
“Cosa c’entra questo calcolo, così semplice?” Il filosofo non temeva nemmeno più di porre le domande più elementari.
“Illustra il fatto che 15 è una proprietà, emergente,
implicita, e necessaria, del 3 e del 5. Non si può dare 3 e 5 senza avere 15.
Rifletti bene, signor
filosofo: il 15 non è una proprietà del 3 e neppure del 5, bensì una proprietà
della combinazione di 3 e 5.
Spingendoci oltre,
possiamo affermare con certezza che il 15 non è lo scopo del 3 e/o del
5. Non c’è un disegno”.
Il filosofo riconobbe: “Questo getta una luce diversa su quelle circostanze in cui
pensiamo che alcuni elementi collaborino allo scopo di ottenere un certo
risultato”.
“Infatti, più spesso di quello che si crede, il risultato non
è voluto da nessuno ma, semplicemente, emerge. Necessariamente e
automaticamente”.
Il filosofo si arrese: “Ma
c’è o non c’è un disegno di Dio?”
“Mettiamola così: è improprio dire che
lo scopo del 3 e del 5 sia generare 15.
Il 15 emerge necessariamente una volta dati 3 e 5. Nello svolgersi casuale
degli eventi emergono regolarità che fanno pensare a scopi.
Talvolta, tutto questo lo chiamiamo disegno di Dio”.
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