Atmosfera
Scienziati
di varie discipline hanno messo insieme
i loro sforzi per scoprire natura, funzionamento ed evoluzione
della pellicola di gas che ci circonda, latmosfera, che ci
sembra immensa
Quando
alziamo gli occhi al cielo, vediamo in realtà uno strato
sottilissimo.
Se la Terra fosse un mappamondo di un metro di diametro, lo
strato daria respirabile
avrebbe uno spessore di 7-8 decimi di millimetro.
Nella realtà, la fascia ove può svilupparsi la vita si spinge
sino a 10-13 chilometri daltezza.
A quote più elevate, la scarsità dossigeno, il freddo e le radiazioni provenienti dallo spazio la renderebbero impossibile. Allo studio di questo sottile, ma fondamentale, strato di gas concorrono scienziati di varie discipline.
I meteorologi cercano di comprendere, rilevare e prevedere gli eventi relativi alle precipitazioni, dai temporali alle nevicate, i fisici studiano per esempio le interazioni tra latmosfera e le particelle provenienti dallesterno, come i raggi cosmici o il vento solare, i glaciologi hanno contribuito a spiegare come si è evoluta latmosfera negli ultimi 500 mila anni, studiando campioni di gas rimasti intrappolati nei ghiacci antartici o groenlandesi, i geologi riescono a spingersi ancora più indietro nel tempo, fino a qualche centinaio di milioni di anni, analizzando lossigeno presente nelle rocce, i biologi, studiando levoluzione della vita, contribuiscono alla comprensione delle trasformazioni che latmosfera ha subito nel tempo, e i matematici cercano di prevedere la sua evoluzione futura creando modelli da far elaborare ai computer.
LE ULTIME
TRACCE A 2.500 KM
Che coshanno scoperto? Prima di tutto che latmosfera
è una miscela di gas, che diventa sempre più rarefatta a mano a
mano che si sale.
Il 99% della massa dei gas atmosferici si trova, infatti, nei primi 40 km di quota, e a questaltezza la pressione è ormai circa 1/100 di quella rilevabile sulla superficie; a 100 km è diminuita fino a poco più di un centomillesimo. Il limite dellatmosfera si trova a circa 2.500 km di quota, cioè dove la densità degli atomi diventa pari a quella presente nel vuoto interplanetario.
Per tenere conto di queste enormi differenze, latmosfera è stata suddivisa in due fasce:
bassa (sotto i 100 km) e alta atmosfera, a loro volta suddivise in varie regioni.
La parte che noi respiriamo è costituita da un miscuglio di gas cui viene dato il nome di aria, costituita per circa il 78% da azoto, per il 21% da ossigeno, per lo 0,9% da argon, per lo 0,03% da anidride carbonica e da piccole quantità di altri gas come neon, elio, krypton, xeno, idrogeno, e così via.
Ma latmosfera non ha sempre avuto
questa composizione.Nei primi milioni di anniddi vita della
Terra, questa era probabilmente molto simile a quella attuale di
Giove o Saturno, cioè una miscela di idrogeno, metano, vapore
acqueo e ammoniaca.
A trasformarla, è ormai certo, sono stati i vulcani., i qiali però emettono vapore acqueo, anidride
carbonica ma non azoto.
Allora da dove arriva lazoto? E che fine
hanno fatto il vapore acqueo e lanidride carbonica?
La risposta risiede nelle caratteristiche del nostro pianeta.
Prima di tutto la sua distanza dal Sole, che ha permesso al vapore acqueo di condensare e formare gli oceani. Come conseguenza, grandi quantità di anidride carbonica atmosferica sono state inglobate dallacqua e depositate sul fondo degli oceani.
Se la Terra si fosse trovata più vicina al Sole di circa 30-40 milioni di chilometri, la temperatura sarebbe stata così elevata da impedire al vapore acqueo di condensare. E se, al contrario, fosse stata più lontana di 30-40 milioni di chilometri, la temperatura sarebbe stata così bassa che tutto il vapore acqueo si sarebbe solidificato in una coltre ghiacciata.
VITA E OSSIGENO
La seconda ragione dellattuale composizione
dellatmosfera è la comparsa della vita vegetale.
Lenorme quantità dossigeno presente
nellatmosfera ha, infatti, origine in gran parte biologica.
Al contrario delle moderne piante però, le prime alghe non rilasciavano ossigeno direttamente nellaria: lossigeno libero sarebbe stato un veleno per gli organismi che vivevano tre miliardi di anni fa. Lo emettevano invece inglobato in un composto di ferro che si ritrova in molti strati geologici di età comprese tra i 3 e gli 1,5 miliardi di anni.
Solo in seguito le piante furono in grado di vivere con lossigeno in circolazione nellaria e, da allora latmosfera ha raggiunto le caratteristiche attuali, con lazoto che continuava ad accumularsi anche per scissione della molecola di ammoniaca (composta da azoto e idrogeno) da parte dei raggi solari.
GLI STRUMENTI
PER STUDIARLA
Lo studio dellatmosfera nella sua globalità è in realtà
recentissimo, se lo si paragona allo studio del tempo
atmosferico, che fonda le proprie radici addirittura
nellantico Egitto.
Solo quando trovò il modo di alzarsi da terra, infatti, luomo iniziò a studiare anche gli strati più alti. Uno dei pionieri fu Louis Gay-Lussac, che nel 1804 si spinse fino a 7 mila metri di altitudine, compiendo le prime analisi scientifiche dellaria ad alta quota Più tardi, Leon de Bort esegui a Parigi centinaia di esperimenti, scoprendo che tra 9 e 13 km di quota la temperatura aumenta anziché diminuire: era la scoperta della stratosfera.
Ma questi non erano che tentativi pionieristici. Si dovette attendere la nascita di organizzazioni internazionali (in grado di raccogliere con sistematicità dati meteorologici e ambientali da tutto il mondo) per ottenere un quadro della struttura dellatmosfera a livello planetario, sia in senso orizzontale sia verticale. LOrganizzazione meteorologica mondiale (OMM), oggi la più rappresentativa, fu fondata dallONU nel 1951, sulle ceneri dellOrganizzazione meteorologica internazionale, nata nel 1873.
Lopera di questi enti è stata poi
resa più efficace dagli sviluppi della tecnologia. Come i
satelliti ambientali, in grado di misurare le caratteristiche
dellatmosfera a diverse quote, grazie a strumenti che
inviano onde radio a lunghezza diversa.
La lettura allinfrarosso, poi, misura la temperatura della
sommità delle nubi. A bordo dei satelliti sono stati inseriti
anche strumenti in grado di rilevare 24 ore al giorno la presenza
di ozono e tracciarne le variazioni quotidiane.
Uno di questi è il Gome (Gbbal Ozone Monitoring Experiment) che è in grado di rilevare lo spettro dellozono e quindi verificarne la presenza e la quantità. Si usa poi il Lidar (Light Detection and Ranging), un apparecchio che invia speciali raggi laser da terra verso le nuvole, per individuare la presenza di aerosol, cristalli di ghiaccio, gas e vapore acqueo dispersi nellatmosfera. Funziona grazie a un raggio laser la cui luce viene riflessa e dispersa proprio in base al tipo e alla quantità di elementi che vi sono in circolazione.
IL PIANETA SI
SCALDA O NO ?
Nella parte più bassa dellatmosfera si gioca un fenomeno
di vitale importanza: leffetto serra, il
fenomeno per cui il calore rilasciato dalla superficie terrestre
viene intrappolato da elementi quali vapore acqueo e anidride
carbonica.
Se non ci fosse, la temperatura sarebbe bassissima, ma se fosse troppo accentuato si rischierebbe il surriscaldamento del pianeta.
Finora, leffetto serra è stato per noi prezioso, dal momento che ha permesso lo sviluppo della vita.
Ma da anni è stato lanciato lallarme sul rischio che possa aumentare troppo, a causa delle attività umane (in particolare per lanidride carbonica emessa bruciando combustibili fossili).
A questo proposito cè però un mistero: è innegabile che la superficie terrestre si stia riscaldando, ma ciò non avviene nellatmosfera che le sta appena sopra. Anzi, sembra che la troposfera (cioè lo strato daria che noi respiriamo) si stia addirittura raffreddando. Le misure sorprendono gli scienziati, tantè che molti stentano a credere ai dati, perché le simulazioni al computer prevedono invece un riscaldamento della troposfera ancor più rapido di quello della superficie.
Sono sbagliati i modelli? «Latmosfera è certamente più complessa dei modelli al computer» fa notare Roy Spencer del Global Hydrobogy and Climate Center della Nasa «ma non dovrebbe comunque comportarsi in modo opposto alle previsioni». Senza sbilanciarsi in tentativi di spiegazione del fenomeno, Spencer mostra i dati in suo possesso, dove si osserva che i termometri in superficie misurano un aumento della temperatura di 0,2 gradi al decennio. In base a ciò, i modelli al computer prevedono un aumento nella parte più bassa della troposfera (fino a circa 8 chilometri di quota) di almeno 0,6 0C. Ma i satelliti ambientali dicono che non è così: laumento della temperatura dellatmosfera, infatti, è stato di soli 0,05 0C al decennio negli ultimi 30 anni. Addirittura, prima dellinnalzamento delle temperature dovute al fenomeno del Nino nel 1997-98, la temperatura media della troposfera era in diminuzione di 0,01 0C al decennio.
Per spiegare lanomalia sono state finora avanzate soltanto ipotesi. Il buco nellozono, sconosciuti effetti collaterali delle grandi eruzioni vulcaniche e laerosol (il pulviscolo dellatmosfera) possono avere importanti effetti sulla temperatura atmosferica, ma nessuno scienziato ha condotto, al momento, serie ricerche globali. Recentemente è stata chiamata in causa anche la ridotta attività solare.
E anche possibile che i dati raccolti alla superficie siano stati alterati da un fenomeno noto come "effetto asfalto", che fa aumentare le reali temperature della superficie. La maggior parte dei termometri per la raccolta dei dati infatti, si trova in prossimità di aeroporti e dunque potrebbero essere influenzati dal riscaldamento localizzato delle grandi città. Ma anche questa è solo unipotesi. Lunico fatto concreto è che i satelliti coprono lintera superficie terrestre, oceani e foreste comprese e raccolgono dati provenienti dai vari livelli dellatmosfera, con precisione assoluta.
Chi ha ragione dunque? I satelliti o i termometri terrestri?
Brezze e
monsoni, piogge e grandinate, celle convettive e cumulonembi.
Ecco come nascono molti dei principali fenomeni atmosferici.
Che il vento possa essere piacevo le lo si scopre quando soffia nelle afose giornate estive. Che sia utile lo si deduce da un dato: solo nel 1999 sono state installate centrali eoliche per 3.600 megawatt, pari a 3 piccole centrali nucleari.
Che possa essere catastrofico lo dimostra ciò che lascia dietro di sé quando soffia a 300 allora negli uragani tropicali. Ciò che, invece, non si percepisce mai è che brezze e cicloni fanno tutti parte di masse daria molto più grandi, che possono essere alte quanto lintera troposfera e avere una base estesa migliaia di chilometri quadrati.
LORIGINE
DI ZEFIRI E CICLONI
La causa prima nella formazione dei venti è il contatto tra
laria e il suolo o il mare, che trasferisce calore dalla
superficie allaria. Ma a livello locale i venti nascono
dagli spostamenti di masse daria tra zone a diversa
pressione: come quando si mettono in comunicazione due vasche
piene dacqua situate a quote diverse.
Ma come fanno due masse daria confinanti ad avere pressioni diverse? Per rispondere, pensiamo a unisola nel Mediterraneo.
In estate il suolo si scalda più velocemente dellacqua: laria calda sale dal suolo sopra lisola, si espande e dà vita a unarea di minore pressione, mentre laria più fredda sul mare forma attorno allisola aree di pressione più alta. Quando laria calda sale, laria più fredda si muove immediatamente verso lisola per prenderne il posto: nasce il vento.
Queste situazioni, note come celle di Hadley dal nome dello studioso che ne ipotizzò lesistenza nel 1753, si manifestano anche su grande scala. Fra lequatore e i poli si contano tre "celle convettive di circolazione": nella prima laria sale a 60° di latitudine e scende ai poli, nella seconda sale a latitudine 30° e scende a 60°, nella terza sale allequatore e scende a latitudine 30°.
La velocità del vento dipende dunque solo dalle differenze di pressione tra un punto e laltro. Un vento violentissimo come la bora che soffia a Trieste, per esempio, dipende dalla notevole differenza di pressione tra laltopiano del Carso e il mare, per cui laria cade su Trieste a precipizio, come lacqua di unaltissima cascata. La velocità di caduta dellacqua di una cascata dipende infatti, in buona misura, dal dislivello.
In teoria, quindi, i venti dovrebbero essere sempre perpendicolari alle isobare, cioè alle linee ideali che uniscono i punti con identica pressione. E così accadrebbe se il pianeta non ruotasse su se stesso.
Il primo a notarlo fu, nel 1835, Gustave Gaspard de Coriolis (dal quale prese il nome la forza detta, appunto, di Coriolis). Leffetto di trascinamento dato da questa forza fa sì che i venti tendano a spostarsi verso sinistra (con la consueta convenzione che il "nord" stia in alto), trascinati dalla rotazione del pianeta.
Linsieme di queste grandi forze planetarie, ovvero le differenze di pressione dovute al diverso grado di riscaldamento dellaria e la forza di Coriolis, determinano la direzione dei grandi spostamenti di aria al suolo. Alcuni di essi sono così importanti da meritarsi un nome.
LE AUTOSTRADE
DELLARIA
Gli alisei,
per esempio, spirano dalle aree tropicali verso lequatore,
muovendosi da nord-est a sud-ovest nel nostro emisfero, e da
sud-est a nord-ovest nellemisfero australe. Sono venti
costanti, attivi tutto lanno con velocità medie di 15-20
km/h.
I monsoni sono invece venti periodici (il nome è dorigine araba: in arabo mausim significa stagione) e caratteristici del subcontinente indiano, della penisola indocinese e delle regioni meridionali della Cina. Spirano durante lestate dalloceano Indiano verso linterno del continente asiatico e portano piogge abbondanti (monsone estivo). Durante linverno spirano dallinterno del continente asiatico verso loceano Indiano e sono costituiti da aria povera dumidità, che dà origine ad una stagione secca e calda (monsone invernale).
I monsoni nascono perché destate linterno dellAsia si riscalda, diventando una zona di bassa pressione permanente che attira aria umida dalloceano.
Vi sono poi i venti occidentali e i venti polari, che si formano con un meccanismo simile a quello degli Alisei, ma a latitudini più alte.
PER LE GOCCE
SALE O GHIACCIO
Dopo i venti, le nubi sono il fenomeno più importante della troposfera.
Ma non tutte danno luogo a precipitazioni. Perché si formi una
sola goccia di pioggia, infatti, occorre fino ad un milione di
goccioline di "acqua di nube" (che sono piccolissime:
hanno diametri tra i 20 e i 50 millesimi di millimetro). In caso
contrario, le correnti ascensionali battono la forza di gravità,
e la goccia resta per aria.
Il processo di ingrossamento delle goccioline è chiamato coalescenza e si manifesta più facilmente se nella nube sono presenti alcune "prime gocce" più grosse, che si formano intorno a nuclei di sale (una situazione tipica delle zone tropicali).
Alle nostre latitudini le precipitazioni sono più spesso dovute alleffetto Bergeron-Findeisen, dal nome dei due ricercatori (svedese e tedesco) che lo spiegarono negli anni Trenta.
Leffetto si manifesta quando la parte alta delle nubi è a -2,5 0C una temperatura abbastanza bassa da trasformare le goccioline in piccoli cristalli di ghiaccio.
Le correnti portano i cristalli di ghiaccio a quote più basse, dove diventano nuclei per la condensazione del vapore acqueo: i cristalli diventano fiocchi di neve e si appesantiscono finché non cominciano a cadere.
Sarà pioggia o neve? Dipende soltanto dallaltezza a cui si trova il limite degli 00C. Se, come succede in estate, questo limite si trova tra i 3 e i 4 mila metri, durante la discesa i fiocchi di neve incontrano aria calda che li fa sciogliere. Ma, può capitare che nevichi anche destate a 2 mila metri, se il limite degli zero gradi si abbassa a sufficienza.
LA DINAMICA DEL
CHICCO
Nei grandi sistemi perturbati estivi, i temporali, si possono
formare nubi molto strette e alte, con un diametro alla base di
qualche km ma alte fin quasi al limite della troposfera.
Queste nubi sono percorse da violenti moti convettivi che,
tra laltro, impediscono ai cristalli di ghiaccio di
trasformarsi nella parte alta della nube in fragili cristalli di
neve.
Piuttosto si formano tozzi corpi ghiacciati i quali, ogni volta
che scendono nella parte bassa della nube, raccolgono nuova acqua
che poi gela quando risalgono nella parte più fredda.
Si formano così chicchi che presentano una caratteristica struttura concentrica in seguito alle ripetute raccolte dacqua.
Le dimensioni dei chicchi di grandine dipendono dal numero di nuclei di condensazione. In altre parole: in ogni nube ci sono o tanti chicchi piccoli o pochi chicchi grossi. Le grandinate più rovinose in Italia sono costituite da chicchi di qualche centimetro, mentre nei Paesi tropicali non è eccezione avere grandinate con chicchi grandi più di 10 cm.
Ma pioggia, neve e grandine non sono gli unici elementi che possono cadere dal cielo. Anche la polvere può "precipitare". Ad esempio una perturbazione sul Sahara può sollevare dal suolo unenorme quantità di pulviscolo, che ha raggiunge in poche ore la Sicilia, depositando su gran parte dellisola un sottile velo rossastro.