BORRA DI CANALA (dal Piglionico) - 04/04/2004

L’attesa. L’attesa di aspettare il momento desiderato per fare una cosa voluta. Può durare anni, poi l’impazienza ha il sopravvento. Dico l’impazienza, ma anche tanti altri motivi, primo di tutti il tempo a disposizione. Io e Alfredo ci eravamo proposti da tempi remoti di risalire la Borra di Canala in invernale.
La Borra di Canala è un angusto, affascinante vallone posto tra la Vetricia e la Pianiza, quindi sul versante N-E del gruppo Pania della Croce-Pizzo delle Saette. Dicono che in invernale, quando è tutta innevata, sia molto suggestiva e, visto che l’anno 2004 verrà ricordato per le abbondanti nevicate che hanno interessato anche le Alpi Apuane, non potevamo certo perdere l’occasione.
In effetti vale la pena di ricordare brevemente anche un precedente tentativo di un po’ di tempo prima che ci lasciò l’amaro in bocca; fallito come obbiettivo, ma non certo un fallimento per la piacevolezza della giornata comunque trascorsa.
A causa delle abbondanti nevicate dei giorni precedenti dovemmo lasciare la macchina al bivio per l’Alpe di S. Antonio, in quanto era stata resa praticabile la strada asfaltata, mentre la strada per il Piglionico era rimasta immacolata con i suoi 60 cm. abbondanti di neve.
Bello si, in quanto incontaminata, ma senza traccia battuta, camminarvici era una fatica assurda, roba da ciaspole o da sci. Riuscimmo passo dopo passo, affondando ogni volta fino al ginocchio, ad arrivare fino alla cappellina, mentre si perse ogni speranza nel tentativo di andare oltre, quando iniziammo a sprofondare fino all’inguine. Va bene, il tentativo era arduo, sapevamo che c’era molta neve, ma io, Alfredo e Luca avevamo preso un giorno di ferie e decidemmo comunque di andare.
Così, appena possibile abbiamo riprovato, questa volta solo io e Alfredo. Ormai non era più freddo, ma neve ce ne era ancora molta, anche se immaginavamo di non trovarla ghiacciata.
Quindi la mattina alle 6,45 partiamo da quel di Spicchio di Vinci, solita strada, verso la Garfagnana.
La strada per il Piglionico, dopo il bivio per l’Alpe di S.Antonio, è molto più praticabile rispetto alla volta precedente, ma verso la metà, dobbiamo ugualmente lasciare la macchina. Adesso però la neve è battuta, difatti ci sono anche molti altri escursionisti sulla via del Rifugio Rossi e della Pania della Croce.
La strada fino alla cappellina è un po’ noiosa, ma comunque è in luoghi affascinanti. Il filo dell’orizzonte va dall’Omo Morto fino al Sumbra, comprendendo, quando appare, la vetta della Pania della Croce, il Pizzo delle Saette e le altre vette minori.
Alle 9 e 15 siamo alla cappellina in località Piglionico (q. 1150 slm.), proseguiamo per il segnavia n. 127 che qui coincide con il n. 7.
Dopo poche centinaia di metri dovremmo incontrare il bivio al quale i due segnavia si separano, il n. 7 va verso il Rifugio Rossi alla Pania e il n. 127 va alla Foce di Mosceta, aggirando il Pizzo delle Saette ed incrociando l’attacco della salita alla Borra di Canala. Ma la neve è ancora tanta, i segnavia sono talvolta nascosti. A memoria individuiamo il luogo della biforcazione, ma non si vede proprio nessun segno. Proseguiamo allora in direzione del Rifugio Rossi per vedere se la memoria ci inganna. Quando riteniamo di essere andati effettivamente troppo oltre, dopo esserci pure consultati con un escursionista di vecchio pelo, apparentemente (e certamente) più esperto di noi, decidiamo di tornare indietro.
Torniamo al punto dove ricordiamo di aver visto, in qualche precedente escursione, la biforcazione ed iniziamo a vagare ai margini del bosco alla ricerca di qualche segnale indicatore. Nella neve non c’è traccia, nessuno ha ancora percorso quel sentiero dopo l’ultima nevicata, non deve essere un sentiero molto frequentato in questa stagione (e probabilmente poco frequentato in ogni caso). E non dico che sia scarsamente segnalato, è che effettivamente la neve è ancora tanta e probabilmente ha coperto i segni.
Dopo tanto cercare, alto, sul tronco di un albero, in lontananza scorgiamo il segno bianco e rosso. Finalmente! Certo avremmo potuto anche partire all’avventura, la direzione la sapevamo ed anche che dovevamo mantenerci in quota, ma quando è possibile evitare spiacevoli inconvenienti è meglio farlo, ed una volta trovati i segnavia ripartiamo più tranquilli.
Il percorso serpeggia adesso in un bel boschetto, rado e spoglio, data la stagione. Il marrone scuro degli alberi contrasta con il bianco della neve, come in una foto in bianco e nero, tanto più che l’azzurro del cielo non penetra lo strato delle nuvole. La neve è soffice, incontaminata, lasciarci le prime impronte è sì un piacere, ma nel contempo dispiace rovinare la perfezione di quella superficie candida.
Camminiamo nel bosco attenti ai segnavia, che sembrano meglio visibili andando nel senso contrario al nostro. Facciamo in effetti un po’ fatica a seguirli, non sarebbe così se non ci fosse la neve, allora il sentiero sarebbe ben visibile.
In qualche tratto il sentiero è praticamente intagliato nel fianco della montagna e sulla destra il terreno è alquanto precipite, anche se le cime degli alberi che salgono dal basso, oltrepassando di quota il sentiero, riducono l’effetto di strapiombo.
Dopo una sosta tecnica per la riparazione di una ghetta alla quale si è spalancata la cerniera (da buttare!), oltrepassata quella che pensiamo essere l’inizio della cresta nord della Vetricia, sappiamo di dover trovare sulla sinistra l’attacco del sentiero n. 139, che risalendo la Borra di Canala porta anch’esso al Rifugio Rossi. Quindi procediamo con attenzione, ma non troviamo indicazione alcuna. Questa volta non indugiamo troppo e prendiamo a salire tra gli alberi senza seguire traccia alcuna, ma guidati da un chiarore che pensiamo essere la Porta della Borra di Canala. Sono le 11 e 40.
Per fortuna non ci siamo sbagliati, quando usciamo dagli alberi, in lontananza su una parete rocciosa, scorgiamo il desiderato segno bianco-rosso e recuperiamo così il sentiero n. 139. Aggirando lo spuntone di roccia entriamo nella Borra.
L’inizio è una conca, il fondo è livellato dalla neve. Tanta neve, soffice e bagnata. A volte si sprofonda fino all’inguine e dobbiamo con fatica sfilare la gamba. Dei ramponi non c’è bisogno, anzi sarebbero solo d’impaccio. Le ghette, messe per proteggerci dalla neve fanno quel che possono, cioè siamo con i pantaloni ormai già inzuppati fino al ginocchio e gli scarponi non stanno meglio.
Passiamo un’altra strozzatura del canale, poi tutto si apre in uno splendore incontaminato. Ai lati le aspre pareti rocciose della Vetricia sulla sinistra e la Pianiza sulla destra che contrastano con il fondo ondulato e candido. Non sappiamo quanto possa essere spesso questo strato, ma non c’è sasso o masso che affiori.
Decisamente affascinante, peccato solo che il cielo rimanga coperto, ma la nuvola in fondo fa da coperchio a questo contenitore naturale.
Anche oggi mi sono portato i miei due chili abbondanti di attrezzatura fotografica, ogni tanto mi fermo e mentre faccio qualche scatto tiro un po’ il fiato. Penso a quanto abbiamo aspettato, che finalmente ci siamo e che ne valeva proprio la pena.
Quando stiamo per arrivare alla Focetta del Puntone incontriamo una comitiva di sci-alpinismo. Bentornati tra gli umani. Loro fanno il percorso in senso inverso al nostro, la Borra di Canala se la scendono con gli sci.
Alle 13 e 30 arriviamo alla Focetta del Puntone (q. 1611 slm.). Del palo indicatore rimangono fuori dalla neve solo le palette colorate. Quindi quasi un metro e mezzo di neve!
In 10 minuti siamo al Rifugio Rossi, ancora quasi sommerso dalla neve. Direi che siamo piuttosto fradici, entriamo a consumare il pranzo e a prendere qualcosa di caldo.
Alle 14 e 35 ripartiamo per il segnavia n. 7, ora c’è solo da scendere. Alfredo parte a razzo facendosi scivolare nella neve, io lo seguo per un po’, poi riprendo il mio passo naturale. Perché correre? Perché sudare anche in discesa? Si sta così bene ed è tutto così bello!. E comunque non ce la farei a stargli dietro.
Arrivo alla cappellina del Piglionico alle 15,25 che Alfredo è lì che aspetta da 20 minuti. Partiamo, questa volta di pari passo, per raggiungere la macchina, godendoci gli ultimi scorci di quelle montagne innevate che chissà quando rivedremo con così tanta neve.
Alle 15 e 50 siamo arrivati, finalmente possiamo toglierci i panni fradici ed è un gran sollievo per i piedi avvizziti. Siamo stanchi, camminare affondando continuamente nella neve stronca le gambe, ma sono sacrifici che si fanno volentieri, questi. Guardate le foto e datemi ragione.
Per le statistiche: dislivello in salita (e quindi anche in discesa) 460 mt dalla cappellina alla focetta, tempo impiegato 7 ore circa soste e titubanze comprese.