L’attesa. L’attesa di aspettare
il momento desiderato per fare una cosa voluta. Può durare anni,
poi l’impazienza ha il sopravvento. Dico l’impazienza, ma anche tanti altri
motivi, primo di tutti il tempo a disposizione. Io e Alfredo ci eravamo
proposti da tempi remoti di risalire la Borra di Canala in invernale.
La Borra di Canala è
un angusto, affascinante vallone posto tra la Vetricia e la Pianiza,
quindi sul versante N-E del gruppo Pania della Croce-Pizzo delle Saette.
Dicono che in invernale, quando è tutta innevata, sia molto suggestiva
e, visto che l’anno 2004 verrà ricordato per le abbondanti nevicate
che hanno interessato anche le Alpi Apuane, non potevamo certo perdere
l’occasione.
In effetti vale la pena di
ricordare brevemente anche un precedente tentativo di un po’ di tempo prima
che ci lasciò l’amaro in bocca; fallito come obbiettivo, ma non
certo un fallimento per la piacevolezza della giornata comunque trascorsa.
A causa delle abbondanti nevicate
dei giorni precedenti dovemmo lasciare la macchina al bivio per l’Alpe
di S. Antonio, in quanto era stata resa praticabile la strada asfaltata,
mentre la strada per il Piglionico era rimasta immacolata con i
suoi 60 cm. abbondanti di neve.
Bello si, in quanto incontaminata,
ma senza traccia battuta, camminarvici era una fatica assurda, roba da
ciaspole o da sci. Riuscimmo passo dopo passo, affondando ogni volta fino
al ginocchio, ad arrivare fino alla cappellina, mentre si perse ogni speranza
nel tentativo di andare oltre, quando iniziammo a sprofondare fino all’inguine.
Va bene, il tentativo era arduo, sapevamo che c’era molta neve, ma io,
Alfredo e Luca avevamo preso un giorno di ferie e decidemmo comunque di
andare.
Così, appena possibile
abbiamo riprovato, questa volta solo io e Alfredo. Ormai non era più
freddo, ma neve ce ne era ancora molta, anche se immaginavamo di non trovarla
ghiacciata.
Quindi la mattina alle 6,45
partiamo da quel di Spicchio di Vinci, solita strada, verso la Garfagnana.
La strada per il Piglionico,
dopo il bivio per l’Alpe di S.Antonio, è molto più
praticabile rispetto alla volta precedente, ma verso la metà, dobbiamo
ugualmente lasciare la macchina. Adesso però la neve è battuta,
difatti ci sono anche molti altri escursionisti sulla via del Rifugio
Rossi e della Pania della Croce.
La strada fino alla cappellina
è un po’ noiosa, ma comunque è in luoghi affascinanti. Il
filo dell’orizzonte va dall’Omo Morto fino al Sumbra, comprendendo, quando
appare, la vetta della Pania della Croce, il Pizzo delle Saette e le altre
vette minori.
Alle 9 e 15 siamo alla cappellina
in località Piglionico (q. 1150 slm.), proseguiamo per il segnavia
n. 127 che qui coincide con il n. 7.
Dopo poche centinaia di metri
dovremmo incontrare il bivio al quale i due segnavia si separano, il n.
7 va verso il Rifugio Rossi alla Pania e il n. 127 va alla Foce di Mosceta,
aggirando il Pizzo delle Saette ed incrociando l’attacco della salita alla
Borra di Canala. Ma la neve è ancora tanta, i segnavia sono talvolta
nascosti. A memoria individuiamo il luogo della biforcazione, ma non si
vede proprio nessun segno. Proseguiamo allora in direzione del Rifugio
Rossi per vedere se la memoria ci inganna. Quando riteniamo di essere andati
effettivamente troppo oltre, dopo esserci pure consultati con un escursionista
di vecchio pelo, apparentemente (e certamente) più esperto di noi,
decidiamo di tornare indietro.
Torniamo al punto dove ricordiamo
di aver visto, in qualche precedente escursione, la biforcazione ed iniziamo
a vagare ai margini del bosco alla ricerca di qualche segnale indicatore.
Nella neve non c’è traccia, nessuno ha ancora percorso quel sentiero
dopo l’ultima nevicata, non deve essere un sentiero molto frequentato in
questa stagione (e probabilmente poco frequentato in ogni caso). E non
dico che sia scarsamente segnalato, è che effettivamente la neve
è ancora tanta e probabilmente ha coperto i segni.
Dopo tanto cercare, alto,
sul tronco di un albero, in lontananza scorgiamo il segno bianco e rosso.
Finalmente! Certo avremmo potuto anche partire all’avventura, la direzione
la sapevamo ed anche che dovevamo mantenerci in quota, ma quando è
possibile evitare spiacevoli inconvenienti è meglio farlo, ed una
volta trovati i segnavia ripartiamo più tranquilli.
Il percorso serpeggia adesso
in un bel boschetto, rado e spoglio, data la stagione. Il marrone scuro
degli alberi contrasta con il bianco della neve, come in una foto in bianco
e nero, tanto più che l’azzurro del cielo non penetra lo strato
delle nuvole. La neve è soffice, incontaminata, lasciarci le prime
impronte è sì un piacere, ma nel contempo dispiace rovinare
la perfezione di quella superficie candida.
Camminiamo nel bosco attenti
ai segnavia, che sembrano meglio visibili andando nel senso contrario al
nostro. Facciamo in effetti un po’ fatica a seguirli, non sarebbe così
se non ci fosse la neve, allora il sentiero sarebbe ben visibile.
In qualche tratto il sentiero
è praticamente intagliato nel fianco della montagna e sulla destra
il terreno è alquanto precipite, anche se le cime degli alberi che
salgono dal basso, oltrepassando di quota il sentiero, riducono l’effetto
di strapiombo.
Dopo una sosta tecnica per
la riparazione di una ghetta alla quale si è spalancata la cerniera
(da buttare!), oltrepassata quella che pensiamo essere l’inizio della cresta
nord della Vetricia, sappiamo di dover trovare sulla sinistra l’attacco
del sentiero n. 139, che risalendo la Borra di Canala porta
anch’esso al Rifugio Rossi. Quindi procediamo con attenzione, ma non troviamo
indicazione alcuna. Questa volta non indugiamo troppo e prendiamo a salire
tra gli alberi senza seguire traccia alcuna, ma guidati da un chiarore
che pensiamo essere la Porta della Borra di Canala. Sono le 11 e 40.
Per fortuna non ci siamo sbagliati,
quando usciamo dagli alberi, in lontananza su una parete rocciosa, scorgiamo
il desiderato segno bianco-rosso e recuperiamo così il sentiero
n. 139. Aggirando lo spuntone di roccia entriamo nella Borra.
L’inizio è una conca,
il fondo è livellato dalla neve. Tanta neve, soffice e bagnata.
A volte si sprofonda fino all’inguine e dobbiamo con fatica sfilare la
gamba. Dei ramponi non c’è bisogno, anzi sarebbero solo d’impaccio.
Le ghette, messe per proteggerci dalla neve fanno quel che possono, cioè
siamo con i pantaloni ormai già inzuppati fino al ginocchio e gli
scarponi non stanno meglio.
Passiamo un’altra strozzatura
del canale, poi tutto si apre in uno splendore incontaminato. Ai lati le
aspre pareti rocciose della Vetricia sulla sinistra e la Pianiza
sulla destra che contrastano con il fondo ondulato e candido. Non sappiamo
quanto possa essere spesso questo strato, ma non c’è sasso o masso
che affiori.
Decisamente affascinante,
peccato solo che il cielo rimanga coperto, ma la nuvola in fondo fa da
coperchio a questo contenitore naturale.
Anche oggi mi sono portato
i miei due chili abbondanti di attrezzatura fotografica, ogni tanto mi
fermo e mentre faccio qualche scatto tiro un po’ il fiato. Penso a quanto
abbiamo aspettato, che finalmente ci siamo e che ne valeva proprio la pena.
Quando stiamo per arrivare
alla Focetta del Puntone incontriamo una comitiva di sci-alpinismo.
Bentornati tra gli umani. Loro fanno il percorso in senso inverso al nostro,
la Borra di Canala se la scendono con gli sci.
Alle 13 e 30 arriviamo alla
Focetta del Puntone (q. 1611 slm.). Del palo indicatore rimangono fuori
dalla neve solo le palette colorate. Quindi quasi un metro e mezzo di neve!
In 10 minuti siamo al Rifugio
Rossi, ancora quasi sommerso dalla neve. Direi che siamo piuttosto
fradici, entriamo a consumare il pranzo e a prendere qualcosa di caldo.
Alle 14 e 35 ripartiamo per
il segnavia n. 7, ora c’è solo da scendere. Alfredo parte
a razzo facendosi scivolare nella neve, io lo seguo per un po’, poi riprendo
il mio passo naturale. Perché correre? Perché sudare anche
in discesa? Si sta così bene ed è tutto così bello!.
E comunque non ce la farei a stargli dietro.
Arrivo alla cappellina del
Piglionico alle 15,25 che Alfredo è lì che aspetta
da 20 minuti. Partiamo, questa volta di pari passo, per raggiungere la
macchina, godendoci gli ultimi scorci di quelle montagne innevate che chissà
quando rivedremo con così tanta neve.
Alle 15 e 50 siamo arrivati,
finalmente possiamo toglierci i panni fradici ed è un gran sollievo
per i piedi avvizziti. Siamo stanchi, camminare affondando continuamente
nella neve stronca le gambe, ma sono sacrifici che si fanno volentieri,
questi. Guardate le foto e datemi ragione.
Per le statistiche: dislivello
in salita (e quindi anche in discesa) 460 mt dalla cappellina alla focetta,
tempo impiegato 7 ore circa soste e titubanze comprese.