In invernale vuol dire
in invernale e questa gita lo è decisamente. Dopo le nevicate adesso
il tempo butta sul freddo e la neve è ormai consolidata e dura.
Tutti gli anni ci proponiamo
almeno una gita in queste condizioni, sia per godere anche in questa stagione
delle “mai troppo amate Alpi Apuane”, sia per imparare un po’ di tecnica.
Alfredo come sempre
ne sa più di me, io con ramponi e piccozza sono ancora poco avvezzo,
ma vedrò di fare del mio meglio, la guida ce l’ho buona. Certo,
la temperature rigide di questi giorni hanno reso la neve dura. Può
essere pericoloso, bisogna stare molto attenti, anche quando le cose sembrano
semplici.
In considerazione di
ciò non abbiamo scelto niente di estremo (siamo Merendoni o no!),
ma comunque un’escursione di discreto impegno, ripeto, date le condizioni
in cui si è svolta.
Partiamo alle 6,45,
l’aria è pungente. Come sempre abbiamo lanciato l’invito, la convocazione,
ma non abbiamo ricevuto adesioni. La demotivazione intorno a noi è
grande, ma non ci scoraggiamo. Noi andiamo.
Alle 7,30 ci fermiamo
a Ponte a Moriano, alla solita pasticceria. Un caffeino e una pasta,
per ritoccare la colazione di casa. Una sbirciatina alla cronaca locale
sul giornale ci fa deglutire dallo sconcerto. Dice di due salvataggi avvenuti
il giorno precedente proprio sulla Pania Secca. Una scivolata, per
fortuna senza tragiche conseguenze e il recupero di un escursionista rimasto
bloccato per la rottura di un rampone. Ma l’evento più tragico è
l’incidente occorso il venerdì precedente al gestore del Rifugio
Rossi, che versa in gravi condizioni. (Non ce la farà. Non lo
conoscevo personalmente, ma da praticante della montagna, e soprattutto
delle Alpi Apuane, non posso che essere profondamente dispiaciuto e toccato
dalla morte di una persona che aveva scelto valori che anch’io condivido.
Credo che valga anche per Alfredo.)
Le notizie lette non
sono certo confortanti, ma le apprendiamo nel verso giusto, cioè:
dobbiamo fare molta attenzione. Non siamo persone che amano il pericolo
e siamo capaci di abbandonare quando riteniamo di incontrare difficoltà
superiori alle nostre possibilità.
Alle 8,30 siamo al
Piglionico, quota 1150 slm., ci prepariamo con i ramponi e le ghette.
Impugnate le piccozze partiamo che sono le 8,45.
Per quanto riguarda
il percorso niente di particolare da segnalare. Dal Piglionico saliamo
verso il Rifugio Rossi alla Pania per il segnavia 7, quello che
è forse il sentiero più frequentato di tutte le Apuane. Un
timido sole trafigge le nuvole e risalta i rilievi imbiancati di neve.
Saliamo per il bosco senza alcuna difficoltà. I fusti spogli dei
faggi sembrano infilzati nella neve come aghi in un puntaspilli.
Verso le 10 usciamo
dal bosco in quelli che normalmente sono chiamati i “pratoni del Rossi”.
Lo spettacolo è affascinante. Ad una buona luce il candore della
neve addolcisce le asperità e gli sfasciumi della montagna, la roccia
fa mostra di sé solo nelle pareti più verticali, dove la
neve non riesce ad accumularsi.
I segnavia sono praticamente
invisibili, ma non è un grosso problema, si può andare tranquillamente
“a vista”. Studiamo le mosse. La Pania Secca è lì di fronte
a noi. Ci faremo da soli il percorso. Il fatto è che la Pania Secca
non l’abbiamo mai salita, nemmeno senza la neve, per cui abbiamo un’idea
soltanto vaga di quale sia il percorso normale. In ogni caso con la neve
è tutto diverso, quindi ci muoviamo per le zone più innevate,
vale a dire quelle meno scoscese.
Per il primo tratto
abbiamo seguito quello che effettivamente è il sentiero segnato.
Traversando il versante nord, alle falde dell’Omo Morto, ci portiamo verso
un’ampia distesa nevosa, discretamente pendente, che culmina con la cresta
ovest-sud-ovest. Iniziamo a salirla, traversando verso sinistra.
A tratti la neve si è trasformata in ghiaccio, e si sono formate
alcune lastre. Con un po’ di attenzione cerchiamo di individuarle per tempo,
in modo da poterle evitare. La neve è comunque abbastanza dura,
ma i ramponi entrano bene, anche se nei traversi, appoggiando di lato,
costringono la gamba a sforzi muscolari ai quali non sono abituato. Pertanto,
appena la pendenza lo permette, inizio a salire in verticale, affondando
le punte dei ramponi. E’ ugualmente faticoso, ma almeno è più
sbrigativo.
Guadagnato faticosamente
il filo della cresta ovest-sud-ovest le cose si fanno più semplici,
non ci sono difficoltà di rilievo, ma un po’ di attenzione è
comunque indispensabile.
Alle 12 e 15 siamo
in vetta alla Pania Secca, a quota 1711 slm. Una nuvola giunge ad
avvolgerci completamente, e ci toglie la prospettiva di una Pania della
Croce parzialmente innevata, che speravamo poter ammirare e fotografare
con la buona luminosità che finora avevamo avuto.
Giusto il tempo di
farci due foto, per testimonianza, mentre in vetta arrivano alcuni rocciatori
che hanno scalato la cresta est. Poi non indugiamo ulteriormente, la Pania
della Croce è ancora coperta, ma fa freddo e non è il caso
di aspettare che la nuvola se ne vada, cosa che non sembra possa avvenire
in tempi rapidi. Iniziamo la discesa.
Torniamo sui nostri
passi, lungo la cresta ovest-sud-ovest, e scendiamo per l’ampio versante
nord. Poi decidiamo di non proseguire a ritroso per il percorso fatto all’andata,
e invece di scendere verso i pratoni sottostanti il Rifugio Rossi continuiamo
a scendere per il versante nord, attraversando spazi ricchi di neve.
Alle 14,00 siamo alla
base della teleferica che porta i carichi al Rifugio Rossi. E’ proprio
l’ora di mangiare qualcosa, tanto più che è tornato il sole
e non è poi così tanto freddo.
Consumato il pasto
riprendiamo a scendere. Lungo uno stradello incontriamo delle capanne di
pietra, poi ancora scendendo, arriviamo alla piazzola della cappellina
del Piglionico, dove abbiamo lasciato la macchina.
Sono le 15 e 20, non
è tardi. La gita si conclude qui. Abbiamo il tempo per tornare a
casa con tutta calma. Ci attende un’altra brutta notizia: ancora un incidente
mortale, avvenuto oggi sul Monte Tambura; l’ennesima dimostrazione,
purtroppo, che le Apuane d’inverno non vanno assolutamente sottovalutate.
Ma restano, comunque, bellissime, forse anche più che d’estate.