BIOGRAFIA scritta dal nipote Emanuele Gaetani-Tamburini
A S. Eccellenza, il Comm. Prof. FRANCESCO DE
SANCTIS
MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Eccellenza.
L' E. V., con una cortesia che verso di me, per
studi ignotissimo, non può essere prodotta che da sua naturale e squisita
benignità di animo, ha condisceso di accogliere la dedica del mio Studio Biografico sul compianto mio Zio Nicola Gaetani-Tamburini, che tanto si onorava di essere amico a Lei, del quale non solo riconobbe
per se l'eminenti qualità dell' ingegno e del cuore, ma pose affettuosa sollecitudine,
perchè fossero in Italia più comunemente riconosciute e apprezzate.
Quest'accettazione è per me qualche cosa più di un
incoraggiamento, perchè trattandosi di un mio lavoro letterario, non tanto mi
gioverà il favore del Ministro, quanto, è più, quello dell'insigne letterato,
che forma una delle più belle e incontestate illustrazioni viventi.
Io, signor Ministro, ho ereditato dall'illustre mio
zio, con esempi buoni e fruttuosi di patrio amore, l'ammirazione verso di
Lei, la quale ebbe campo di accrescersi, da che lui dipartito, l'E.V., vinte
oramai le battaglie per la restaurazione della patria, rimane tuttavia sulla
breccia a combattere col suo strenuo valore le battaglie più difficili, ma più
profittevoli alla umanità, del progresso, delle lettere, delle scienze.
Con profondo ossequio significandole i sentimenti
del grato mio cuore, mi onoro segnarmi
Fermo (Marche), 15 Giugno 1878.
Um. Dev. Obb. Servo Emanuele Gaetani-Tamburini.
ã ã ã
Nell'epoca più nefasta della dominazione straniera, e precisamente il 26
gennaio 1824, a Monsampolo del Tronto — piccola ma graziosa terricciola del
nostro Piceno — nasceva NICOLA GAETANI-TAMBURINI, da Giuseppe e Maddalena
nata Tamanti (1). [Una recente indagine sui registri parrocchiali
documenta il 3 aprile 1820 come data di nascita e il 5 aprile 1820 come data di
battesimo – ndr]
(1) Fu donna amorosissima, ed
educò il cuore de' suoi figli alla religione del dovere ed al culto intemerato
del buono e del vero. — Mori il 13 Agosto 1873 a Monsampolo del Tronto, di anni
84.
In quei tempi infelicissimi, in cui l'educazione
torturava le tenere intelligenze coi meccanici artifizi del vecchio
classicismo, ed i vergini cuori della nostra gioventù venivano informati
all'egoismo ed all'ipocrisia — allontanati mai sempre d'ogni amore di patria e
di libertà — il GAETANI-TAMBURINI faceva i suoi studi prima in patria, poscia a
Fermo, a Teramo, a Macerata, indi a Roma, ove strinse, ancor giovanissimo,
relazione coi primi letterati ed artisti che da tutte le parti affluivano in
quella metropoli e si raccoglievano principalmente intorno al Muzzarelli.
Incominciò a fare le sue prime prove nella
letteraria palestra, con lo scrivere epigrafi italiane.
É da notare però che in quel tempo nello Stato
Pontificio, ed in modo specialissimo nella capitale del cattolicismo, era
inibito espressamente il porre nelle chiese o ne' camposanti iscrizioni che non
fossero dettate in lingua latina. Era realmente barbara, e stolta nel medesimo
tempo, l'ambizione della Corte Papale, per imporre un linguaggio Urbi et
Orbi, che poteva da essa sola esser compreso e non da migliaia d'infelici,
che, mossi dal desìo di rinnovare un saluto, un addio ai loro cari estinti,
accorrevano in quei luoghi.
Il GAETANI-TAMBURINI adunque adottò la forma
dell'epigrafia italiana come arma di combattimento; ed i suoi tentativi non
andarono falliti.
Ed invero, nel 1843, pubblicò un opuscoletto delle
medesime, al quale tenne dietro un altro pubblicato nel 1845, poscia un terzo
nel 1847, nella cui prefazione si professava sincero e caldo patriotta — come
lo era davvero — esclamando: «Giovane di anni
l'animo educo a fortezza come se io mi destinassi al martirio; ferma la mia
volontà simpatizzo con tutti gli uomini travagliati che hanno studiato e
studiano modo di rigenerare la patria. Per questi tutta la mia mente, tutto il
mio cuore, purché in essi si ravvisi quella costanza che nell'animo altissimo
infonde l'amore del vero».
Soggiungeva poi: «Il vero patriotta è quello che
sinceramente crebbe la sua giovinezza fra le miserie civili e fra le tristezze
italiche e di carattere altero l'animo impresse onde sublimarsi nel dolore e
tener ferma la volontà di giammai chinarsi ad altrui. Per costui le aspirazioni
di Giovanni Berchet e di Giacomo Leopardi, furono tanto divine
che ad esse debbono gl'italiani l'indipendenza nazionale dalle loro menti».
Queste iscrizioni vennero accolte e giudicate
favorevolmente dai più celebri scrittori di questo genere di componimento, ed
in modo particolare dal Muzzi e dal Gioberti, il quale gliene rese
grazie ed elogi con la lettera seguente scritta da Parigi il 22 Novembre dello
stesso anno:
«Gentilissimo Signore, La sua lettera piena di sensi
generosi e benevoli mi ha vivamente commosso. La ringrazio e di essa e del
libro e delle lodi immeritate ond'Ella mi onora. Lessi con piacere le sue
iscrizioni eleganti, nobili, civili, ingegnose, e forse talvolta più ingegnose
che alla semplicità dell'epigrafia non si confaccia. Ma questo è difetto
felice, più degno d'invidia che di biasimo, specialmente ne' primi lavori,
perchè augurio di frutti preziosi e testimonio di larga vena. Godo di intendere
che Ella abbia per le mani opera di maggior mole e di tema accomodato ai
bisogni correnti della patria nostra. Perseveri fortemente nell'assunto, e non
che scorarsi per le avversità, ne pigli animo e lena; perchè gl'ingegni
fortunati come il suo vincono se stessi, quando sono battuti all'incudine del
dolore. Io non ho nessun lavoro inedito, benché abbia preparata nella mente la
materia di quelli a cui accenno nell'ultimo mio libro. Farò uso, occorrendo, di
ciò ch'Ella mi tocca sui Municipi. Non mi estendo di più per difetto di tempo,
ma la prego di credermi quale mi dico con molta ed affettuosa stima»
VINCENZO GIOBERTI.
Proseguendo il GAETANI-TAMBURINI con amore la
carriera letteraria, alternava i suoi studi con svariati scritti sulle lettere,
scienze ed arti nei più accreditati periodici di quei tempi, scritti dei quali
non sarebbe inutile fare una raccolta, per conoscere come, sin dalla età
giovanile, si adoperò intieramente pel bene della umanità e della patria.
Fra i giovanili suoi scritti, non merita si lasci
dimenticata la prefazione da lui fatta, per introdurre i lettori alla
bellissima raccolta dei Canti popolari per l'educazione dei popolo del prof.
Ferdinando DePellegrini, il cui libro ha avuto l'onore di varie edizioni, fra
le quali la più recente è quella dedicata alla colta e gentile sposa del
Tamburini, Enrichetta, oggi vedova.
Amò sopra ogni cosa, anzi si può dire fu l'ideale
della sua vita lo studio della Divina Commedia, che tolse a commentare con
lunghi e difficili ragionamenti, avendo in mente di formarne il codice della
educazione della gioventù italiana.
Nei tempi più nefasti per la patria nostra, che
oppressa, lacerata e divisa, giaceva sotto il dominio straniero, il
GAETANI-TAMBURINI non si rimase dal consacrare tutte le sue forze ed il suo ingegno,
per vedere finalmente data alla medesima quell'unità, la quale oggi grandeggia
dal Quirinale sopra incrollabile base.
ã ã ã
Si era nel luttuoso decennio
della reazione, e l'Italia, già commossa a nuove speranze di libertà e
d'indipendenza al grido entusiastico di Viva Pio IX — il quale con ispirazione
veramente divina benediceva, unico esempio nella storia dei Papi, il sacro
nazionale vessillo — ripiombava nuovamente nelle più crudeli disillusioni,
sotto la tirannide dei Principi e degli stranieri, perchè il Pontefice
rinnegando i suoi primi sentimenti di Principe italiano, rinunziava alla gloria
che per un momento circondò il suo nome di Redentore d'Italia.
Gl’Italiani però, lungi dal deporre l'idea di
render libera la nazione, non potendo più adoperarsi a sì nobile scopo
apertamente, ricominciavano dappertutto il lavorìo delle società segrete.
Nelle nostre Marche, ricadute nel Giugno del
1849, sotto il giogo pretino, la più estesa di tale società riuscì
quella intitolata: L'Apostolato Dantesco, fondata sui primi di Marzo del
1855, dal GAETANI-TAMBURINI, che, per mezzo di questa associazione, si
prefisse spandere in nome del Divino Poeta idee nazionali, disporre gli animi
a giovarsi scambievolmente in ogni favorevole congiuntura pel bene d'Italia.
Ad allargare la società fuori della nativa
provincia fu dal GAETANI-TAMBURINI stabilito, crearsi soci Onorari e
Corrispondenti, i quali specialmente si ebbero in gran numero negli Abruzzi, da
tante conformità e relazioni legato alle Marche.
L' Apostolato Dantesco, riunivasi or qua, or là —
ad onta della rigorosissima sorveglianza della polizia — in diverse città e
paesi Marchigiani, discutendo temi eminentemente civili ed umanitari,
propugnando l'istruzione e l'educazione del popolo, onde formarne il carattere
morale, per preparare gì'Italiani a farsi degni e maturi per le libere
istituzioni, che si miravano a conseguire.
Ogni socio assumeva, ascrivendosi a quella generosa
schiera di patriotti, il nome di un Italiano illustre, sì antico che
contemporaneo, il quale rammentasse un fatto glorioso della storia nazionale,
quasi a testimonianza del non mai spento valore latino, e come fausto presagio
di futura grandezza. Il GAETANI-TAMBURINI imponeva a se stesso il nome di
Italo, per testimoniare ancora una volta quanto ardente fosse in lui il
desiderio di cooperare al risorgimento nazionale, realizzando il voto che
allegrò le ultime ore dei più caldi patriotti dall' Alighieri a Ciro Menotti
ed ai fratelli Bandiera, per formare una Italia non più serva, e «di
dolore ostello» come era stata fino allora la nostra misera patria, ma
dall' amore operoso dei suoi figli resa libera e grande.
Il governo che sin dal suo primo nascere, ebbe
qualche indizio e della società, e delle idee che essa propugnava, sotto la
forma letteraria, fece improvvisamente rilegare il GAETANI-TAMBURINI entro le
mura del paesello natale, sottoponendolo di continuo a visite domiciliari,
durante le quali gli vennero detratti, anzi rubati a viva forza libri e carte,
di cui ebbe a rimpiangerne amaramente la perdita (1).
(1) A questa detrazione di molte
lettere e documenti devesi attribuire se il mio Studio Biografico non riuscirà
— almeno per quel tempo — abbastanza completo ed esatto. E ciò mi è stato pure
impedito, per la parte susseguente, dalla improvvisa morte del
GAETANI-TAMBURINI a Brescia, per la quale non mi fu possibile rintracciare
parecchi de' suoi manoscritti, e le lettere indirizzatogli da uomini illustri,
così nostri che stranieri, fra i quali dal Manzoni, dal Tommaseo, dal Cantù,
dallo Sclopis, da Victor Ungo, dal Giulio Simon, dal Michelet, dal Quinet, ecc,
stante che, per la mia fanciullezza, vedeva allora, ma non comprendeva appieno
di quale importanza fossero quelle carte, che forse altrimenti si sarebbero
potute sottrarre alla deplorabile distruzione.
Fu quindi il 7 Dicembre 1856 arrestato e
trascinato in prigione nel forte di Ascoli-Piceno,
con alcuni suoi compagni. E lì, benché guardato a vista dagli sgherri
pontifici, benché sottoposto alle più dure privazioni, benché oppresso dal
dolore per la morte del vecchio suo genitore, che l'angoscia di vedersi
strappare dal fianco il diletto figlio, condusse nel sepolcro in pochi giorni,
pur mai disdisse il suo fiero carattere, nè sconfessò i suoi patriottici
sentimenti, continuando anzi coi mezzi che destramente potè procurarsi, a mantener
viva in altri la fede al prossimo riscatto della patria.
Fra le amarezze che cagionarongli la prigione, e
più che altro il sapere come sempre più infierisse la reazione nel suo paese, e
l'essere costretto a rimanersi inerte in sì deplorevole stato di cose, un dolce
conforto formarono al GAETANI-TAMBURINI le amichevoli relazioni, contratte
molto tempo innanzi con illustri letterati italiani e stranieri, coi quali
riuscì — eludendo anche in ciò la vigilanza dei custodi — a mantenere segrete
corrispondenze dal carcere.
Nel novero degli egregi amici, i quali per mezzo di
confortanti scritti rendevangli meno duri gli amari giorni, che consumava
lentamente nel carcere, è a porre pel primo l'illustre storico lombardo Cesare
Cantù (2).
(2) All'illustre Comm. Cesare
Cantù io debbo vive azioni di grazie per avermi fatto tenere — in diverse
spedizioni — le più importanti lettere, a lui dirette dal GAETANI-TAMBURINI,
delle quali, non potendosi disdire l’importanza massima per la storia e la
tendenza dell' epoca, darò colle stampe un volume.
Piacerai trascrivere qualche brano più saliente di
alcune lettere, che il GAETANI-TAMBURINI gli diresse dal carcere, a mostrare in
quale stato egli fosse ridotto, ed in che condizioni versasse la patria sua.
«La cara vostra
letterina vale un balsamo alle ferite dell' animo; queste povere iscrizioni vi
diranno cosa è la mia prigione: in esse non ho mentito, tutta la vita
spirituale racchiudono, ed i miei dolori ho rivelati come mi stanno tutti nel
cuore».
«La vostra lettera
è per me un precetto di sociale morale, e tutto l'avvenire della civiltà e
della patria essa contiene. Sopra il cuore mi sta, e la vita dell'anima mi
riaccende, mi infiamma; somiglia alle lacrime di una madre che raccolte dal
cuore vi fanno germogliare intelletto d'amore».
«Il pane del
carcere mi dà vital nutrimento; lo dissi ai miei giudici nel processo, ricordai
Pellico e posi sotto i loro occhi la vita di Poerio — personificazione
dell'Italiano martirio. A grandi tratti disegnai la storia del concetto
sociale, e dissi loro, che malgrado le prigioni ed i tribunali io era fermo
nelle mie credenze, anche mi dovessero queste costare la vita».
«Questo vi valga a
documento di quanto ora vi dico. A nome del Fisco mi si chiamava responsabile
di opinioni e di fatto antipolitico. Chiesi il significato della parola
antipolitico, mi si disse che era parola tecnica, di procedura; ed insistendo
mi si rispose il significato non saperlo, perchè mai loro era stata fatta una
simile domanda, e perciò anch'essi ritenerlo misterioso».
«Il mio Giudice si
chiama Eucherio Collemasi di Camerino, uno dei compromessi del 31, e per
spirito liberale in quest'anno egli ebbe processo e condanna di sei anni di
carcere, che per interi gli si fece espiare. Ed oggi?.... oggi è processante
per tutte le nostre Marche!»
Ecco qualcuna delle iscrizioni, che, sotto il titolo di Iscrizioni sulle
pareti del carcere, erano racchiuse nella lettera diretta al Cantù:
CALAVA A SERA IL 7 DICEMBRE DIVELTO D' AMATISSIMA FAMIGLIA ENTRO PRIGIONE MI PIOMBARONO
DESOLATO. |
BASTANTE A ME STESSO L'ARCANO CONTENTO DEL
DOLORE VIVIFICAVA LO SPIRITO. MI FU LETTO IL NUDO
TERRENO SONNO LA COSCIENZA. |
LA MANO POSTAMI AL
CUORE ANSIO OGNI PALPITO
NE RICEVEI TUTTE MI VENNERO COME IN VISIONI DI
VERGINI LE GIOIE PRIME D'
AMORE FIORI FRESCHISSIMI A CORONARE LA
SVENTURA RINFIAMMARMI
L'ANIMA. |
SENZA RIMORSI MI CORRE LA GIOVINEZZA QUESTA D'UNA PRIGIONE PIÙ LIBERO MI SVOLGE IL
PENSIERO PIÙ SERENO IL DOLORE NUTRE
LA FEDE CH' È AMORE DELLO SPIRITO. VII Dicembre MDCCCLVII. |
In altre sue lettere si rinvengono i seguenti
brani:
«L'amore di Dante, degli studi, delle grandi virtù, della
patria, questo è tutto il mio delitto, ed il lungo processo ne è testimonio e
documento».
«Fra le contestazioni che mi ebbi, mi sarà sempre caro il
ricordare, che mi si ascriveva a delitto l’essere nemico della pena di morte,
l’amare svisceratamente l'Italia, l'averla chiamata Italia del dolore, il
dirla dell'avvenire».
«La mia povera
mamma, ha patito i veri spasimi dell' esistenza. Io potetti sapere lo stato di
mia famiglia un mese e mezzo dopo l'arresto, e rivedere i poveri miei
fratelli!... Ci si volle negare perfino il mangiare, ed abbiamo patita la fame
!! Pellico non ebbe nei suoi tre
mesi di procedura, a soffrire la durezza della nostra prigione, e le sue pagine
rilette nel carcere non si tingono nere quanto le nostre»
Il processo — condotto con le più raffinate
apparenze gesuitiche — durò trentatrè mesi, e si chiuse con la condanna del
GAETANI-TAMBURINI a venti anni di carcere. Gli altri furono condannati a dieci
anni. [in
realtà la sentenza parla di 10 anni per tutti - ndr]
ã ã ã
Il 1848 — ebbe a dire un illustre scrittore
— fu grande miracolo di audacia non riflettuta, l'anno che seguì fu un allegro
abbandono di vita, ed il grido eroico dei morenti echeggiò per tutta l’Europa.
— Dieci anni di sosta bastarono a correggere molti errori, ad appurare le idee,
ad affilare le armi.
Vinto Lamoricièr a Castelfidardo, Ascoli fra le prime città Marchigiane insorgeva, ed il primo suo atto fu
la liberazione del GAETANI-TAMBURINI (18 Settembre 1860), il quale come
uno dei membri della Giunta Provvisoria del Governo, nella sua città e
provincia, ebbe il supremo conforto di proclamare l'annessione alla Monarchia
costituzionale di Casa Savoia.
Il Regio Commissario Generale, Lorenzo Valerio,
dopo averlo chiamato in Ancona per giovarsi dell'opera sua e dei suoi consigli,
lo nominò Provveditore agli Studi nella provincia Ascolana,
ove fu il primo ad impiantare scuole ed istituti educativi sotto il libero
regime. Ecco come si esprimeva su tale argomento, l’egregio scrittore
Marchigiano, Avv. Cav. Carlo Lozzi:
«Mi pare ancora di
essere presente a quella festa solennissima e veramente popolare, onde fu
inaugurata in Ascoli-Piceno l'apertura delle scuole nel grandioso tempio di
Sant'Agostino. Mi pare ancora di sentire la voce del GAETANI-TAMBURINI, che
commossa commuoveva l'uditorio numeroso e plaudente. Mostrò nel suo discorso
con rapidi tratti, ma spiccantissimi di quanto la civiltà andasse debitrice
agli studi classici ed alle arti liberali, e come gli uni e le altre
compenetrandosi con le aspirazioni, coi costumi, coi bisogni della risorta
nazione, dovessero ringentilire, anzi ricreare il popolo e preparare l’avvenire
dell'umanità nelle trasformazioni sociali».
Il Discorso quindi pubblicato per le stampe e
largamente diffuso, raccolse lodi da tutte le parti d'Italia. Venne subito
decorato dal Ministero della Croce di Cavaliere della Corona d'Italia,
accompagnata con parole di elogio, l'ultime delle quali, che è pregio
dell'opera, riproduciamo.
«Nel darle di ciò
partecipazione, amo dichiararle, come una simile distinzione venga conceduta a
coloro che in ogni tempo seppero adoperarsi efficacemente pel bene del paese,
fra i quali ben merita di essere annoverata la S.V.Ill.ma, che intendendo con
particolare amore alla educazione della gioventù, prepara alla patria
cittadini devoti, pronti a sacrifici, desiderosi di procacciarle onore».
Il GAETANI-TAMBURINI fu certamente uno de'
Marchigiani che facilitarono la propagazione dei princìpi liberali, e
l'intendimento de' nuovi auspici governativi nelle popolazioni, adoperando in
ciò l'esempio, la parola efficace e sentita, gli scritti resi per brillante
forma popolari.
Nel 1861 si sposò con la gentile Signorina Enrichetta
Pretaroli di Ascoli, che da qualche tempo ardentemente amava — e da lei
veniva con pari affetto riamato — ed ebbe da questo amore in pegno, un figlio,
che volle si nomasse Alighiero (3) a ricordanza del grande amore che
portò continuamente al più alto Poeta d'Italia, e del lungo studio con cui ne
commentò le opere. E a questo figlio, benché bambino, si deliziava
continuamente fare imparare e ripetere qualche brano del divino Poema.
Inenarrabile era l'affetto che gli portava, e pochi mesi prima della lacrimata
sua morte, in una lettera diretta al Lozzi, così si esprimeva: «Non iscrivo
sillaba sulla educazione se prima non penso al mio figliuolo: la mia gran consolazione
è la inspirazione più sincera».
(3) Trovasi nel Convitto Nazionale
di Macerata. Buono, docile e studioso fanciullo, dà molto a sperare.
Ma dove pongo l’affetto che il GAETANI TAMBURINI
nutriva per l'intera sua famiglia?. Per la madre, a cui volle più volte
dedicati lavori su Dante, per la buona consorte, per la quale «dieci anni di
matrimonio furono la continuazione del primo giorno delle nozze, anzi del primo
amore», — per i fratelli che amò e sorresse in ogni loro bisogno, — per le
sorelle che protesse e tutelò sempre con affetto paterno, e volle sovente
ricordate nelle sue Centurie epigrafiche, — per me, (suo nipote) a cui
prometteva, sebbene allora fanciullo, il più ridente avvenire?!
ã ã ã
Nel 1863, il GAETANI-TAMBURINI, costretto
per motivi particolari, vittima di un intrigo, a dimettersi dall'ufficio di
Provveditore, durante il quale aveva dato il più possente impulso alla
letteratura classica e civile, fu dal Governo nominato Preside del R. Liceo
Arnaldo di Brescia.
L'affetto e la stima che il GAETANI-TAMBURINI seppe
acquistarsi in pochissimo tempo dai cittadini Bresciani, lo provano chiaramente
le parole dell'illustre Prof. Gallia, pronunciate in occasione della sua
morte.
«Volge l'ottavo
anno — scrive egli — che NICOLA GAETANI-TAMBURINI venne a noi dalla sua Ascoli.
Ci pare ieri il dì, che gli fummo la prima volta incontro, a stringergli la
mano, a dargli il benvenuto. Ed egli, mentre con quel suo piglio affettuoso e
schietto, con quel suo fare quasi dico verginale e fanciullesco, si dava tutto
a noi, fidente disacerbava pure nei nostri non meno aperti sembianti, nelle
nostre benevole accoglienze, il rammarico dell'addio che stato era costretto a
dare a' congiunti, agli amici, a' suoi colli, alla sua marina, al suo tronco
nativo. Da quel giorno ei fu padre ed amico a' nostri figliuoli; più che
superiore, fu amico e fratel nostro; fu compagno assiduo delle nostre cure e
dei nostri pensieri; nulla si tenne più desiderato e caro di ciò che è il più
dolce e prezioso de' nostri sospiri».
«Chi ha figli e li
volse per questa nè amena più, nè facile via de' classici studi, non potrà
scordar mai la bontà, la indulgenza, la carità, colle quali amò appianar loro
il cammino, stimolarvi i più valenti per ingegno, confortarvi i meno
apparecchiati e pronti, infonder lena a tutti e speranza, esser di tutti più
presto provvidenza e tutela, che vindice o punitore d'alcuno. Custode perciò
della disciplina nelle nostre scuole, la mantenne senza asprezza e rigore,
colla parola persuasiva, coll'affetto onde penetrò negli animi dei nostri
giovani, li guadagnò in breve, e si rese arbitro de' loro voleri».
«È innamorato di
ogni cosa bella e buona, bramoso di promuovere, ovunque siasi, il culto e
l'opera, appena fu tra noi, si guardò intorno, cercò ogni nostra istituzione;
da per tutto egualmente offerse, spontaneamente, senz'ambizione, senz'altro
intendimento che quello del bene, la cooperazione sua, la contribuzione del suo
ingegno, de' suoi studi, della sua buona, sincera, indefessa volontà».
Ed invero, fu egli uno dei primi a fondare nella
patria di Arnaldo, associazioni che valessero ad educare ed istruire il
popolo; e nell' istituzione d'una Società degli amici della popolare
istruzione ebbe a compagni l’Aleardi, il Gazzoletti, il Gallottini, il Bruni,
il Caprioli, ed altri generosi, riuscendo così pienamente nell'intento, da
formare di questa società una delle glorie della Brescia dalle dieci giornate.
Ebbe pure ad assiduo ed amoroso compagno nelle sue
istituzioni uno dei più valenti educatori che vanti l'Italia nostra, il DeCastro,
che a quel tempo il Governo mandava a Brescia a fondare un istituto Tecnico,
ove fu dato al GAETANI-TAMBURINI per la prima volta stringere la mano all'uomo,
che, sin dal carcere, aveva appreso ad amare leggendo il suo libro “Del Bello”,
opera la quale sollevando l'anima nella serena regione delle idee, educò per
molti anni la gioventù della patria serva, a scorgere l'idea politica e morale
sotto il velame dell'idea letteraria. E con le due destre si stringevano due
cuori che avevano sempre palpitato per un'idea, l'idea d'una Italia redenta
dalla tirannide politica e religiosa, idea che fu il sogno dorato della loro
giovinezza, l'aspirazione e per così dire l’obbiettivo d'ogni loro pensiero e
di ogni atto della loro vita.
In Brescia pertanto il DeCastro ed il
GAETANI-TAMBURINI si adoperarono con ogni cura a riordinare
l'istruzione industriale e professionale, gittando le basi d'un istituto,
ch'era apertamente avversato dai fanatici del vecchio classicismo e dalle
vecchie idee. Di qui le ire inconsulte di quella setta oscurantistica
che allora dominava sull'ignoranza e sui pregiudizi delle plebi, setta che con
nomi diversi, ma sempre potentemente organizzata, con un fine unico, ramificata
nella vecchia Europa, mise, specialmente nel doloroso decennio dal 1849 al
1859, profonde radici dovunque per opera dei Gesuiti e dell'Austria congiurati
insieme a rinnegare una delle pagine più gloriose del nostro Risorgimento.
Ma ad onta di tutte le mene e di tutti gli sforzi della
setta gesuitica, che ancora continuava ad opporsi potentemente ad ogni idea di
progresso e di civilizzazione, il GAETANI-TAMBURINI mai non cessò di adorare la
ragione e l'intelletto, mai smise il culto amoroso dell'arte e della libertà,
che ben conosceva precedere l'avviamento dei popoli a migliori destini.
Nominato Preside Onorario dell' Istituto Sociale
d'Istruzione in Brescia, promosse con ogni premura lo sviluppo di quel
filantropico sodalizio, e con non minore impegno prese parte alla fondazione di
una Società Filodrammatica di beneficenza, istituita allo scopo di
restituire la drammatica al suo ufficio eminentemente civile e morale, volgendo
gl'incassi a profitto delle classi popolari.
Così compenetrando ogni sua aspirazione e dedicando
ogni opera sua alla vagheggiata ricostituzione civile e politica d'Italia, al
risorgimento di una letteratura ispirata a sentimento di nazionale grandezza,
al bene del popolo, che tanto amò e procurò giovare con tutte le forze in ogni
occasione, prendeva parte attivissima ai lavori dell'Ateneo Bresciano, all'avanzamento
del quale nessuno cooperò, per avventura, con più solerzia, con più amore di
lui.
Ma mentre la sua nobile intelligenza si applicava
con più fecondo ardore agli studi prediletti, mentre sembravano arridergli
maggiormente le speranze d'un più lieto avvenire, ed un posto eminente era per
conferirglisi — frutto dei suoi sacrifici e degli onorati sudori — mentre i più
splendidi elogi gli pervenivano da ogni parte per il suo ultimo lavoro: l'Unione
degli Stati Uniti in America, e illustri cittadini Milanesi lo invitavano a
recarsi nella loro città per darvi pubbliche letture, la morte lo coglieva
improvvisamente a Brescia la sera del 24 Marzo 1870.
Moriva di soli quarantasei anni, dopo una vita
continuamente travagliata ed infelice, senza poter riabbracciare i parenti,
rivedere gli amici della fanciullezza, i compatriotti, pei quali nutriva sì
vivo affetto. Nè gli era concesso di vedere realizzato il desiderio più
lusinghiero della sua vita, che aveva mantenuta viva la sua fede nell'avvenire,
che gli era stato santo impulso all'alto sentire e a volere fermamente il
benessere della patria, a cui aveva sagrificato gli anni più belli della sua
giovinezza, la libertà, gli averi, il desiderio dico, di vedere Roma libera e
capitale d'Italia, grandioso avvenimento mondiale che sei mesi dopo soltanto
era già avvenuto (4).
(4) Giunto alla fine di questo
breve cenno sulla vita del Tamburini, non mi rimarrebbe che parlare delle sue
opere. Ma qui non essendo ancor dato alla pochezza del mio ingegno — anche
avuto riguardo alla giovanissima mia età — dare un esatto giudizio
Critico-Bibliografico dei suoi lavori mi è forza avvertire i lettori, che
potranno avere un criterio esatto, e del valore degli scritti, e dell'alto
intendimento filosofico ond'era informato il Tamburini scrivendo, leggendo i
Commentari dei suoi lavori, pubblicati a cura dell'Ateneo Bresciano (Un volume,
1870).
Della sua morte si dolsero amaramente quanti in lui
ammiravano la costanza dell' operare, la religione della patria, l’amore della
letteratura e dell'arte, i numerosi amici (5) che egli ebbe fra i più insigni
letterati e scienziati d'Italia e dell'estero, e specialmente la cittadinanza Bresciana,
che in lui aveva trovato l’affetto di un padre, la benevolenza di un fratello.
(5) Fu onorato dell'amicizia dei
più celebri scrittori della democrazia militante di Francia, quali Michelet
— Quinet — Giulio Simon — Victor Hugo ecc. — e di quella dei
nostri uomini di lettere, fra i quali ricorderò: l'illustre scrittore dei saggi
critici, il De-Sanctis, ora Ministro della Pubblica Istruzione — il Cattaneo
— il Manzoni — il Cantù — l'Aleardi — il Bonghi —il
Mamiani — il Capponi — il Gazzoletti —lo Sclopis — il Bruni — il Berti — il De-Castro
— il Vecchi — il Rosa — il Gennarelli — il Deminicis — il Trevisani — il
Raffaelli, ecc. — A questi ultimi, cioè al Trevisani ed al Raffaelli — debbo
parole di ringraziamento e particolare gratitudine per avermi il primo
incoraggiato ad effettuare detto lavoro, che senza dei saggi suoi consigli,
forse oggi non vedrebbe la luce, ed al Raffaelli per essermi stato di non poco
giovamento nelle ricerche fatte nella Biblioteca di questa Città, ove egli
disimpegna l'ufficio di Comunale Bibliotecario.
Giulia Centurelli, la gentile poetessa e
pittrice Ascolana, legata fin dall'infanzia in amicizia col GAETANI-TAMBURINI,
ne pianse la morte con questi eleganti versi sgorgati dal fondo del cuore:
E tu
pur t'involasti, o dolce amico ?
Tu pur
lasciasti la terrena spoglia
Mentre
ancor bella ti ridea la vita !
Deh
ritorna, ritorna ! inconsolata
La
poveretta che ti fu sorella
Ti
piange e chiama e suader non vuolsi
Che la
tua vita ed il tuo amor sien spenti !
Deh
rispondi, ove andasti ?
E chi
con tanta
Possa
ti trasse dalla terra fuore ?
Te ne
avvedesti tu ? ti strinse il petto
L'aspro
dolor dell'ultima partita ?
All'Italia
pensasti, a quel supremo
Tuo
sospiro ed amor, per cui cotanto
Soffristi
un giorno ed operasti tanto ?
Che
sentisti nel cor ? pensasti al figlio,
Alla
sposa, agli amici … a me pensasti
Orfana
derelitta in su la terra ? (6)
(6) Chi bramasse conoscere per
intera questa poesia, ed avere cenni Biografici dell'esimia scrittrice G.
Centurelli, veda il mio Ricordo di G.Centurelli (Fermo, Tip. Mecchi, 1877).
A lei rispose da Brescia, eco lamentevole, il valente e lodatissimo
scrittore Prof. Pio Zuccheri, con versi pieni dell'anima del Leopardi: ... Ed
io l'amai, ed anche a me fu padre...
Nel cimitero Bresciano, una modesta
iscrizione rammenta le virtù e le sofferenze del GAETANI-TAMBURINI, con queste
parole:
NICOLA GAETANI-TAMBURINI
ASCOLANO
S'INNAMORÒ D'OGNI COSA ALTA E GENTILE
PATÌ IL CARCERE PER LA PATRIA
FU VII ANNI PRESIDE AL NOSTRO LICEO
LO COLSE MORTE FULMINEA
IL XXIV MARZO MDCCCLXX
CON LUTTO PUBBLICO.
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