Malatra’


 

“Papa’ e’ vero che i giovani di sinistra invecchiando diventano di destra?”

La domanda non e’ delle piu’ banali e per un povero padre che sta arrancando su per la salita che porta al vallone del Malatra’ con uno zaino di 16 chili e due bastoni che paiono tronchi d’albero ha l’effetto di un colpo basso.

Ma puo’ essere l’occasione per prendere fiato.

Mentre penso alla risposta mi giro e osservo le Gran  Jorasses dietro di noi che, viste da questa quota, appaiono ben diverse da come le vediamo abitualmente dal fondo della Val Ferret. Torri, guglie, strapiombi, canaloni, lingue di ghiaccio. Tutto e’ davanti a noi. Uno spettacolo imponente e maestoso. Noto che piu’ a sinistra, verso il Bianco, quelle che sembravano innocue nuvolette bianche si stanno addensando e non promettono niente di buono. 

“Voi sapete che quelli di destra si chiamano anche conservatori e quelli di sinistra progressisti. Per essere conservatori di solito ci vuole prima qualcosa da conservare ed e’ piu’ facile che uno si trovi a possedere qualcosa con l’avanzare degli anni rispetto a quando e’ studente o ha appena cominciato a lavorare. ”.

L’autore della domanda, Paolo, 12  anni sembra quasi convinto ma Giacomo che ha 3 anni in piu’ non me la passa liscia.

“Tu riduci tutto ad una questione di interessi. E le idee, gli ideali allora non contano nulla? Non e’ meglio avere un poco di meno ma vivere in una societa’ piu’ giusta?”

Fare il padre oggigiorno non e’ cosi’ semplice. Ora mi tocca anche prendere lezione di etica dai miei figli. Certo che gli ideali contano ma ideale e’ una parola generica sotto cui passa di tutto. Anche Hitler aveva i suoi ideali!

Mi spiego meglio.

Il mio pensiero e’ che in generale la sinistra goda di una superiorita’ teorica ma di una inferiorita’ pratica. Intendo dire che i principi ispiratori della sinistra come la protezione dei piu’ deboli, redistribuzione della ricchezza attraverso la leva fiscale sono senz’altro condivisibili. Purtroppo  pero’ i risultati sono spesso deludenti. Questo perche’ quando va al potere ha una marcata tendenza ad aumentare il ruolo dello stato che a volte diventa inefficiente e oppressivo. Guarda con diffidenza all’iniziativa privata mortificando l’impegno dei singoli e sospingendoli all’assistenzialismo. Insomma possiamo dire che la sinistra e’ piu’ preoccupata della divisione della ricchezza che della sua produzione. E quando una societa’ si impoverisce economicamente finisce per compromettere anche l’etica e la morale perche’ se e’ vero che il benessere non migliora l’uomo e’ certo che la miseria e il bisogno ne tirano fuori il peggio.”

“Ma allora tu voti a destra?”

“Non sempre.  Io non sono manicheo.”

“Cosa vuol dire”

“I seguaci del vescovo Manicheo pensavano che la vita cosi’ come la conosciamo fosse il risultato della lotta tra bene e male. Per cui vedevano tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra.

Facciamo un esempio. Tu tifi per l’Inter vero?. Bene. E’ mai successo che un rigore dato contro la tua squadra ti sia sembrato giusto? Ma quanti rigori reclami invece a favore per ogni partita? Come vedi la fede calcistica e’ un esempio di manicheismo.

Credo che nella nostra politica vi sia qualcosa di simile e cosi’ gli avversari politici sono sempre persone indegne mentre a chi sta dalla propria parte gli si perdona tutto.

A me piace invece distinguere e giudicare di volta in volta.

Io sono per un liberalismo alla Montanelli e se la destra non mi piace sono capacissimo di votare a sinistra.”

 

Non mi illudo di aver detto l’ultima parola sull’argomento ma proprio in quel momento si sente un sordo brontolio. Riprendiamo la salita e acceleriamo l’andatura ma altri tuoni seguono e gia’ scendono le prime goccioline di pioggia. Sento che la schiena sotto allo zaino e’ bagnata di sudore, sopra invece sono bagnato per la pioggia.

“Ragazzi torniamo indietro che qui si mette male!”

Ma Paolo non intende ragione.

“Dovevi dirlo prima! Ormai che abbiamo fatto tanta salita andiamo avanti!”

Mi arrendo di fronte a tanta determinazione e procediamo.

La pioggerellina continua ma non infierisce, anzi lentamente si dirada.

Lasciamo alle nostre spalle il rifugio Bonatti mentre ormai si intravede l’apertura della valle che ben conosciamo con i suoi ruscelli, le fontane, il prato soffice e verde pieno di fiori. 

E’ un paesaggio cartolina che sembra quasi finto tanto e’ bello.

 

Cerchiamo un posto per la tenda ma notiamo che proprio nella porzione di praticello molto piano delimitata da  rialzi di pietra dove l’abbiamo messa l’anno scorso c’e’ gia un’altra tenda. Non si vede nessuno.

Pazienza, ci adattiamo ad un altro posto poco distante.

Prepariamo un cerchio di sassi per il fuoco. Io metto i miei due grossi bastoni e ognuno scarica il suo fardello di legna quanto mai preziosa visto che ci dobbiamo asciugare.

 

Montiamo la tenda lanciando sguardi preoccupati al cielo cupo e minaccioso ma che per ora ci risparmia.

Ci stringiamo intorno al fuoco mentre ogni genere di derrate alimentari esce dagli zaini. I piu’ strani accostamenti vengono sperimentati. Biscotti e olive, cioccolato svizzero con salmone affumicato. Non c’e’ la mamma a tenerci in riga cosi’ abbiamo modo di dimostrare quali strumenti universali siano le nostre mani. E se prendendo il tonno si ungono un po’ non c’e’ problema, basta succhiarsi le dita! Si risparmia il tovagliolo e c’e’ un supplemento di sapore.

Il fuoco e’ buono, caldo, ci asciuga ed e’ l’unica difesa contro il buio pesto che ci circonda. Il movimento della fiamma ha una specie di potere magnetico nel catturare lo sguardo che non riesce piu’ a distaccarsi.

 

I ragazzi raccontano di tutto finche’ il discorso va a finire su cose paurose.

Allora io tiro fuori  una storia che avevo sentito da bambino.

“Badate bene, questo e’ un fatto vero pubblicato sul giornale, ma non so se raccontarlo, non voglio responsabilita’ per quello che potrebbe accadere.”

Tutti protestano impazienti.

Va bene. Pero’ io vi ho avvisato!

 

Una contessa vecchia e sola era assistita da una certa signora Maria. La contessa era stata molto ricca ma ormai l’unica cosa di valore che le era rimasta era una gamba d’oro massiccio a 18 carati.

Quando mori’ vennero i vicini a renderle omaggio ma nel pieno della notte, quando tutti se ne furono andati, la Maria apri’ la cassa, tolse la gamba d’oro e ce ne mise una di legno. Tutto filo’ liscio ma da quel giorno la Maria non riusciva piu’ a dormire come prima.

Aveva degli incubi e le sembrava di udire nella notte una vocina flebile e lontana che pareva dire: Mariaaaa ridammi la mia gamba d’oroooooo.

Lei balzava dal letto tutta sudata, correva vicino alla porta e guardava giu’ per la scala attraverso il buco della serratura ma non vedeva nessuno, tornava tra le lenzuola e l’incubo riprendeva.

La cosa andava avanti da tempo finche’ una notte buia e tempestosa ……..

Faccio una pausa come se non volessi piu’ andare avanti.

“E allora?” protesta Paolo con uno sguardo preoccupato mentre Giacomo guarda nervosamente dietro di noi dove il gioco della fiamma proietta strane ombre sull’erba. Credete ragazzi, e’ meglio che mi fermi qui.

“Ma dai vai avanti!” Incalza Luca.

Va bene pero’ sia ben chiaro che l’avete voluto voi. Dicevo che in una notte buia e tempestosa la Maria si sveglio’ atterrita piu’ che mai.

Stavolta non aveva solo sentito la solita voce ma anche uno strano rumore di passi su per le scale. Non era un passo normale ma alternato come di uno storpio. Tic toc, tic toc. Il cuore le batteva in gola mentre il sudore gia’ le grondava dal viso, corse vicino alla porta per guardare dalla serratura ma si accorse con terrore che la maniglia gia’ stava girando. 

MARIAAAAAA!!!!!!!! Grido a squarciagola buttando le braccia in alto agitandomi tutto e le reazioni non si fanno attendere.

Paolo mi balza praticamente in braccio afferrandomi il colletto della giacca e roteando gli occhi come per capire cosa stia succedendo, gli altri balzano in piedi in un attimo di smarrimento.

“Ci siete cascati eh?” Faccio io. Figuriamoci, dicono loro. Ma intanto la signora Maria ha colpito anche stavolta.

 

Ora e’ il momento andare a dormire in tenda, ovvero degli scherzi.

I versi piu’ strani si sentono provenire dall’altra tenda. Risate soffocate, rutti, scorregge, grugniti come per esorcizzare la paura appena patita per la Maria.

Guardate che se fate versi di animali potete attirare gli orsi! Il messaggio viene recepito e lentamente il silenzio prende il sopravvento.

 

Non pioviggina piu’ ma ha cominciato a tirare vento forte che fa sbattere la tenda.

Un senso di inquietudine mi prende e non mi sento affatto tranquillo.

Quella tenda piazzata a poca distanza da noi non ci voleva proprio. Per tutto il tempo in cui c’era ancora luce avevo curato con l’occhio se vedevo qualche movimento.

Ad un certo punto avevo anche visto con sollievo due persone scendere per il sentiero del colle che confina con la Svizzera. Ma poi non ho visto piu’ nulla nonostante che il sentiero, scendendo, passasse proprio vicino a noi. Dove cavolo erano finite? Perche’ non si erano fatte vedere?

Piu’ tardi poi all’imbrunire, mentre con la coda dell’occhio curavo la tenda mi e’ sembrato di vedere per un attimo una piccola luce, come di qualcuno che avesse acceso una sigaretta. Mi sono avvicinato per vedere meglio, ho anche gridato “c’e’ qualcuno?”, ma niente.

E se fossero dei malintenzionati? E’ vero che certe cose si leggono solo sui giornali ma come faccio a sapere cosa ci sara’ scritto sul giornale di domani? Del resto siamo un solo adulto con quattro ragazzi dagli 11 ai 16 anni, tutto sommato una compagnia abbastanza vulnerabile.

Allungo una mano per controllare il mio piccolino che gia’ dorme alla grande imbacuccato da molti strati di maglie e maglioni dentro al sacco a pelo. Un senso di protezione mi prende. Sento il vento fischiare fuori e penso ai nostri antenati preistorici. Come si saranno tenuti stretti nelle caverne per combattere il freddo e sempre con un occhio aperto per vigilare sui pericoli di ogni tipo, lupi, orsi, nemici e chissa’ cos’ altro. Sappiamo ben poco di loro ma le loro avventure e la selezione feroce che hanno dovuto subire ce le portiamo dentro di noi, sono scritte nel nostro DNA. I loro sacrifici sono serviti a renderci come siamo, esseri viventi molto evoluti.

E in questo contatto cosi’ profondo con la natura mi sembra che qualcosa di ancestrale si risvegli in me e che mi rende inquieto.

Mi giro sulla destra, poi sulla sinistra, poi sulla pancia, poi sulla schiena e cosi’ giro dopo giro finche’ sento dei passi intorno alla tenda e noto una macchia di luce trasparire dal telo di copertura.

“Venga fuori e non svegli i bambini!”

 

Esco e mi trovo davanti due persone. Uno e’ vestito da guardia forestale e mi sembra di riconoscerlo, l’altro indossa un maglione dolce vita e pure il suo viso mi ricorda qualcosa. Non so dove ma quell’angolo della bocca cosi’ piegato in basso come in una smorfia per nulla rassicurante sono sicuro di averlo gia’ visto.  

Parla la guardia.

“E’ vietato piazzare la tenda sotto i 2500 metri di quota, la legge 560 del 1986 lo proibisce”

“Lo so bene. Proprio lei l’anno scorso ci multo’ perche’ avevamo messo la tenda al lago d’Arpy. Ma il lago d’Arpy si trova a 2100 metri qui siamo al vallone del Malatra’!”

“Ci troviamo esattamente a  2460 metri e quindi siete in multa. Fanno 100.000 a tenda”

Vedo che tira fuori il blocchetto delle multe e comincia a scrivere.

Mi ribello a quella che ritengo una vera carognata per cui sbotto fuori un “Ma Lei e’ un pignolo incredibile!”

“Ah si? Io sarei pignolo?” Mi ribatte alterandosi tutto. “E allora saro’ pignolo fino in fondo e le faccio altre 100.000 di multa perche’ avete acceso il fuoco.  La legge regionale 368 del 1982 lo proibisce!”

“Ma qui non c’e’ pericolo d’incendio, il boschi finiscono a 1800 metri di quota mentre noi siamo a 2460 come mi ha appena detto.” Supplico io.

“Le leggi non si discutono, si applicano. La discussione l’hanno gia’ fatta in parlamento quando le hanno approvate. Se non le vanno bene si metta in politica e si dia da fare!”

Me ne sto zitto per evitare altri guai e rivolgo lo sguardo verso l’altro, quello del maglione dolce vita, che solo in quel momento mi accorgo di riconoscere.

“Ma lei e’ Renato Bilancia, il serial killer della Liguria, 14 vittime in due anni!”

Mi interrompo quando ormai capisco di aver parlato troppo.

Riesco solo a balbettare “Ma …..non e’ in …...galera?”

 “Intanto le vittime sono 16 in due anni e mezzo e poi siamo ad agosto, anche un ergastolano ha diritto ad una settimana di vacanza” e aggiunge con voce sibilante “Io pero’ mi rilasso veramente solo quando riesco a far fuori qualcuno!”

 

In quel momento vedo balenare la lama di un coltello. Il cuore mi batte a 100 mentre i due si fanno un cenno d’intesa e la guardia forestale si defila come per evitare una testimonianza scomoda.

“Mi dispiace solo che un Parenti l’ho gia’ ucciso. Nel palma res delle mie vittime avrei preferito  evitare doppioni. In quello vero, s’intende perche’ in quello ufficiale lei non figurera’ mai. L’ho vista prima intorno al fuoco. Salame e fontina, fontina salame e anche tonno! Il paparino s’e’ ingozzato come un porco, ha avuto una digestione pesante ed e’ andato in sonnambula. Peccato che sia finito giu’ per il precipizio che c’e’ all’imbocco della valle. Non e’ nemmeno una notizia da prima pagina”

Gia’, il giornale, me lo sentivo che stava maturando qualcosa!

“Finira’ in galera!” Gli grido.

“Uno che ne ha ammazzati 16 ne puo’ ammazzare anche 17, piu’ dell’ergastolo non mi possono dare quindi io praticamente l’ammazzo gratis. Perche’ rinunciare ad un simile piacere? E poi nei registri della questura io figuro in vacanza a Pietra Ligure.

Facevi il furbo prima con la signora Maria eh? Vediamo cosa sai fare adesso!

Avanti andiamo!”

Mi prende per un braccio e mi punta il coltello alla schiena.

“Non finira’ cosi!” Grido con tutte le mie forze mentre tento di dare un calcio alla mano che tiene il coltello, ma la gamba mi pesa come un macigno e non si muove e dalla gola mi esce appena un confuso mugolio.

 

Mi rendo conto che mi sto svegliando da un incubo.

Signore mio ti ringrazio che sia solo un brutto sogno, ma proprio cosi’ brutto che il cuore mi picchia ancora come un martello.

Non mi par vero che non sia successo nulla.

Io non sono come Vasco Rossi, non voglio una vita spericolata, a me piace fare il papa’, lo zio, amici, passeggiate, bicicletta, mirtilli, funghi. Roba di questo genere insomma.

Io sono un paladino della normalita’. La vita mi sembra gia’ straordinaria cosi’ com’e’ e vorrei sorseggiarmela poco a poco come un bicchiere di vino buono senza sballi ne colpi di adrenalina.

 

Ma allora, direte voi, se sono un paladino della normalita’ cosa mi viene in mente di andare a dormire al Malatra’, unico adulto con alcuni ragazzetti? Cosa volete che vi dica, sono le contraddizioni della vita con cui ciascuno di noi deve fare i conti.

 

Il respiro si calma, il cuore anche. Guardo l’orologio. Sono le tre e quaranta. Ho sete, in effetti il Bilancia una cosa giusta l’ha detta per via del salame, del tonno  e della fontina.

Esco lentamente dal sacco pelo e sento un freddo pungente.

Vicino a me Paolo dorme come un sasso. Mi avvicino carponi all’entrata della tenda dove e’ parcheggiata una bottiglia d’acqua e bevo. Tiro su la cerniera della tenda, esco e mi allontano di qualche metro a far pipi’. Il freddo mi fa tremare tutto e mi ha rimpicciolito il pisello che quasi non lo trovo.

Guardo in alto e vedo un cielo incredibile. Il vento ha spazzato via le nuvole e le stelle appaiono ai miei occhi miopi come palloncini lucenti su un albero di natale. Ma vicine, cosi’ vicine che sembra di poterle toccare. Troppo bello! Rientro in tenda a prendere gli occhiali, mi infilo la giacca a vento ed esco di nuovo.

 

Non c’e’ la luna e il cielo non e’ nero ma blu. Le stelle non sono piu’ palloncini ma sembrano punti di luce attaccati alla volta. Si vede perfettamente e di fronte a me il ghiacciaio delle Gran Jorasses, dall’altra parte della valle, emana una luce profonda nettamente blu.

Finalmente ho capito il significato del colore “blu notte”.

L’aria fresca mi ossigena la mente, mi sento veramente bene e torno nel mio sacco a pelo. Controllo la temperatura sull’orologio di Paolo. Due gradi! Mi infilo piu’ che posso, tirando dentro anche la testa e cado in un sonno profondo.

 

Un tintinnio di campanelle Mi risveglia. Sono le 7,30. Una mandria di mucche si reca al pascolo e passa di fianco alla tenda. Esco per controllare che qualcuna non inciampi nelle corde dei picchetti.  Mi infilo scarpe giacca e pantaloni e lascio che i ragazzi dormano a piacere. Il cielo e’ azzurro ma il sole deve ancora spuntare dalle creste dei monti. C’e’ un freddo pungente e cammino velocemente in salita per scaldarmi tra i fischi di alcune marmotte che trottano intorno.

Passo vicino alla tenda misteriosa che a questo punto non degno di uno sguardo. Dopo poco sento inequivocabili i sintomi di una impellente esigenza fisiologica. Non c’e’ nessuno che mi possa vedere, la mia privacy non e’ in pericolo eppure cerco un luogo riparato per sentirmi a mio agio.

Mentre me ne sto accovacciato penso che nella necessita’ di provvedere quotidianamente ai bisogni corporali vi e’ qualcosa di biblico. E’ come se Dio quando caccio’ i nostri antenati dal paradiso e ingiunse loro che per l’avvenire si sarebbero dovuti procurare il pane con il sudore della fronte avesse anche aggiunto “e dovrete fare la cacca tutti i giorni!”.

In effetti e’ una specie di bagno d’umilta’ che sembra fatto apposta perche’ non ci montiamo troppo la testa e ci ricorda quanto sia precario l’equilibrio della vita (chi non ha pensato almeno una volta a che problemi andremmo incontro se solo si intasasse il tubo di scarico!)

Qualcosa che accomuna ricchi e poveri, uomini ed animali. i quali, a ben guardare se la cavano anche meglio. Prendiamo un piccione, per esempio, spicca il volo e zac! in un istante si libera del dovuto senza contorsioni ineleganti e se per caso colpisce un passante porta anche fortuna! Con la pipi invece e’ diverso, quasi divertente con quel getto che si puo’ indirizzare a piacere. E poi e’ sempre un’occasione utile per dare un’occhiata al nostro amico che a volte e’ cosi’ difficile tenere a bada. Forse e’ per quello che quando qualcuno e’ poco incline al ragionamento si dice che e’ una testa di c.

 

Ho visto recentemente un film di Aldo Giovanni e Giacomo “Chiedimi se sono felice”. Non so perche’ ma da qualche tempo questa domanda mi rimbalza nella mente. Ho provato a respingere il pensiero presagendo che non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono, ma inutilmente. La domanda mi ritorna e non rimane che affrontarla. Sono felice? Beh vediamo un po’. Cominciamo con le tre esse comunemente ritenute il crocevia centrale della vita di un uomo: sesso – soldi – salute.

Non c’e’ male.

Lavoro – famiglia – amici.

Anche meglio.

Egoismo, ignoranza, stupidita’ (elementi preziosi e fondamentali per essere felici dato che la precarieta’ della condizione umana e’ tale che senza una discreta dose di questi ingredienti uno rimarrebbe schiacciato da tutto cio’ che al mondo non va):

Non mi posso lamentare.

Stranamente pero’ piu’ vado avanti e piu’ vengo preso da una specie di tristezza. Perche’ mai?

Semplice.

L’abitudine toglie gradualmente il potere gratificante di tutto cio’ che va bene mentre lascia intatto il potenziale negativo di cio’ che potrebbe andare male.

La felicita’ non dipende tanto dal livello di vita in assoluto ma dall’aspettativa che qualcosa vada meglio, mentre basta il timore che qualcosa vada male per rovinare tutto.

 

A furia di camminare con la mente ingarbugliata da simili ragionamenti arrivo alla sommita’ di un colle coperto di fiori. Il sole e’ arrivato finalmente a superare la cresta delle montagne e mi riscalda piacevolmente. Mi siedo proprio vicino ad un ciuffo di stelle alpine. Le osservo da vicino. Sono coperte da una specie di lanugine, il vento le  muove e nel loro aspetto tremulo sembrano voler dire: “Non ci cogliere, siamo protette da una legge regionale!” Tranquille sorelline, dopo la notte che ho passato non trasgredirei neanche a un regolamento condominiale.

Ora appoggio la testa sulle mani con i gomiti puntati alle ginocchia e provo a non pensare a nulla ma mi rendo conto che non e’ facile. Il cervello non smette mai di lavorare neanche nel sonno, figuriamoci ora con le pulsazioni accelerate dalla salita. I neuroni, le cellule del nostro cervello, hanno sempre qualche messaggio da scambiarsi quasi fossero degli scolaretti indisciplinati. Ma io li bacchetto come una maestra arcigna e respingo tutti i pensieri che mi propongono, finche’ dopo un po’ riesco ad ottenere una calma accettabile.

Ora tentero’ un esperimento assolutamente eccezionale mai tentato prima in nessun laboratorio del mondo. Il collegamento tra pensiero e materia. Pensero’ di togliere la mano destra dal mento e di toccarmi il naso con l’indice.

Incredibile! Quello che ho pensato si sta verificando!

Ripeto l’esperimento con la sinistra. Funziona ancora!

Mi alzo in piedi. E’ bello avere un paio di gambe che ti portano dove vuoi, due occhi che ti fanno vedere il mondo, le braccia e tutto il resto.

Insomma e’ bello essere vivi.

E’ come essere alla guida di qualcosa di estremamente sofisticato, piu’ di una formula 1, piu’ di un modulo spaziale. Il corpo umano, la macchina piu’ meravigliosa mai vista nell’universo. Ebbene tutto cio’ e’ a nostra disposizione ma l’abitudine ci impedisce di apprezzare quanto misterioso e straordinario sia il fatto stesso di essere vivi.

 

Guardo giu’ nella valle e vedo qualche movimento intorno alla tenda, sono le 9 e i ragazzi sono usciti.

E’ ora di scendere.

Arrivo alla tenda dove Giacomo e Paolo stanno facendo a botte rimproverandosi a vicenda di aver finito i biscotti.

Svuotiamo le tende per fare asciugare al sole vestiti e attrezzatura.

Piu’ tardi mentre scendiamo a valle squilla il telefonino. E’ mia moglie. “Disgraziati! E’ da ieri che cerco di parlarvi, ero preoccupata per la pioggia!” “Va be’ ma se mancava il segnale cosa ci potevo fare?”  La risposta e’ un secco clik. Ha chiuso il telefono.

Mentre arriviamo in paese do un’occhiata all’edicola dove una locandina a caratteri cubitali attira la mia attenzione. Crollo della borsa!

Stranamente ne sono quasi contento, ripenso al discorso sulla felicita’ e capisco che forse non sono messo cosi’ male.

Posso sempre sperare che i miei figli con il tempo si diano meno botte, che mia moglie sia piu’ comprensiva, che la borsa si riprenda.

La vita nella sua normalita’ insomma mi aspetta e a me va bene cosi’.

 

 

 

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