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PIEDE - Atlopatie

 

Nell’evoluzione della specie, da quando l’uomo è diventato eretto, la deambulazione ha subito un cambiamento radicale. Le forze che erano distribuite sui quattro arti, si sono alla fine concentrate sui due inferiori e in particolare sui piedi che sono diventati così sede di sollecitazioni molto intense.

 

 

ANATOMIA FUNZIONALE

 

Per meglio chiarire la biomeccanica della corsa, alcune premesse di anatomia funzionale in particolare con riferimento alla sottoastragalica:

 

essendo il tendine del tibiale anteriore eccentrico medialmente rispetto alla tibio-tarsica ed alla sottoastragalica ed intervenendo la sua azione nella fase oscillante dell’arto, questo fa sì che all’inizio della fase portante il piede affronti il suolo in inversione con le sue strutture laterali (piede calcaneale) e calcagno in varo

successivamente, starterizzata dagli ischio-gambieri e per la direzionalità propria della troclea astragalica concava medialmente, la tibia intrarota mentre la tibio-tarsica flette dorsalmente

per effetto della intrarotazione tibiale e della traslazione mediale del carico la sottoastragalica prona direzionata sul piano ortogonale al suo asse di compromesso; globalmente fulcro dei movimenti assiali tra piede astragalico e piede calcaneale è l’asse longitudinale della Chopart con ipotizzabile sensore il legamento ad “Y”

con la pronazione della sottoastragalica il calcagno everte, il sustentaculum tali si abbassa, l’astragalo adduce, flette plantarmente e si distalizza; contemporaneamente la tibia flette e globalmente il piede e la gamba si abbassano. Sono questi meccanismi di ammortizzamento che permettono l’assorbimento dello shock all’impatto del calcagno

sempre con la pronazione della sottoastragalica, navicolare e cuboide si portano in posizione più parallela sul piano frontale il che permette di aprire la Chopart facendo così anche dell’avampiede un efficiente e mobile adattatore ad ogni variazione del terreno

alla pronazione della sottoastragalica, che segue l’impatto in varo del retropiede, segue, avviata in via propriocettiva, la sua supinazione (tibiale posteriore, flessore lungo delle dita, flessore lungo dell’alluce, tricipite surale)  quale momento stabilizzante che trasforma il piede in una leva efficiente per lanciare il corpo nello spazio. La supinazione della sottoastragalica, e con essa la sua stabilizzazione, inizia quando la pelvi controlaterale oltrepassa il piano frontale dell’arto portante che viene sollecitato (femore e tibia)  in extrarotazione. Ciò porta il calcagno in inversione (varo),  il sustentaculum tali risale e l’astragalo dorsiflette e adduce; in questa situazione lo scafoide tende ad allinearsi al di sopra del cuboide, la Chopart si serra (“catena cinetica chiusa”) e l’avampiede diventa appunto la leva rigida necessaria per una efficiente propulsione.

La fascia plantare gioca un ruolo importante nella stabilizzazione della struttura “piede” durante la fase di stacco quando è stirata per la dorsiflessione delle dita; essa sottende ciascuna testa metatarsale e si inserisce plantarmente alla base delle falangi prossimali. Interviene, in unico contesto funzionale di stabilizzazione, la muscolatura plantare breve.

 

Il periodo di appoggio è suddiviso in tre fasi:

Iª fase: fase di presa di contatto con il suolo;

IIª fase: fase di appoggio completo;

IIIª fase: fase di stacco con progressione sul piano sagittale e oscillazioni sul piano frontale.

Pure tre fasi nel periodo oscillante in rapporto alla massima estensione dell’anca, alla sua massima flessione, alla discesa del piede.

 

 

L’allenamento ha lo scopo di preparare l’organismo all’esercizio fisico favorendo gli adattamenti energetico, trofico muscolare, vascolare e dell’equilibrio neuromuscolare e della coordinazione motoria, il tutto al fine di ottenere un gesto biomeccanicamente e tecnicamente perfetto: da questo la necessità di rispettare la regola semplice dell’adattare lo sforzo alla situazione funzionale del momento in particolare dopo periodi di inattività.

Così il riscaldamento deve essere protratto, progressivo, adeguato e rapportato al momento della competizione ai gruppi muscolari maggiormente coinvolti, agli eventuali precedenti dell’atleta; tenendo inoltre in conto le condizioni ambientali.

Per quanto riguarda il terreno in cemento è anelastico, il terreno erboso è irregolare, quello sabbioso è instabile, il percorso in salita sollecita il tendine di Achille, quello in pendenza la pronazione o la supinazione.

Calzature non idonee, male adatte, squilibrano il gioco dei muscoli della gamba e possono essere responsabili di patologia cronica, in particolare “malattia delle inserzioni”. Sempre per quanto riguarda la calzatura, l’impatto del terreno al suolo genera un onda di forza che viene trasmessa all’osso ed ai tessuti molli del piede e della gamba cui segue una seconda onda di contraccolpo di minor ampiezza: i materiali viscoelastici riducono l’ampiezza di queste onde e proteggono il sistema muscoloscheletrico.

Ovviamente come concausa principale o concausa possono intervenire, quali fattori biomeccanici, disassetti strutturali o funzionali del piede: assetto in pronazione o in supinazione dell’avampiede, in varo o valgo del retropiede, un Achille breve, un’intratorsione tibiale od un’antiversione d’anca, un piede di Morton o un piede lasso: inoltre disassetti  anche sovrasegmentari assiali e torsionali.

Correre troppo, troppo presto o su terreni rigidi e magari con scarpe inadeguate è di solito appannaggio, e causa di lesioni, per corridori principianti entusiasti, ma inesperti; l’aumentare le distanze troppo velocemente o semplicemente sovraccaricare l’apparato muscolo-scheletrico durante l’allenamento è di solito appannaggio invece di corridori più esperti. Per tutti molto spesso trattamenti empirici fanno tramutare una patologia minore in problema serio.

Con maggiore frequenza comunque le lesioni intervengono nel momento in cui un corridore inizia un programma di corsa o quando passa da un livello di corsa al seguente.

Va ricordato che molti atleti corrono affrontando il suolo con il metatarso mantenendo il piede stabilizzato in equino ed in eversione; in questi casi metatarso e fascia plantare sono particolarmente sottoposti a stress, specialmente poi se pre-esistono variazioni dell’angolo metatarsale.

A differenza del piede normale che alterna fasi in catena cinetica chiusa (irrigidimento) e fasi in catena cinetica aperta (rilasciamento) durante il ciclo del passo e della corsa, il piede cavo si mantiene costantemente rigido in assetto probatorio dell’avampiede con supinazione della sottoastragalica il chè (la sottoastragalica ammortizza pronando) riduce le possibilità ammortizzanti del piede e, quindi, di assorbimento dello shock al momento del suo impatto col suolo; il piede piatto al contrario, assettato in supinazione dell’avampiede con sottoastragalica pronata, è in deficit di stabilizzazione durante la fase di propulsione quando gli sarebbe richiesto di essere una leva rigida e tende a compensare spostando in avanti il baricentro e correndo prevalentemente sugli avampiedi.

Al meccanismo di limitata stabilizzazione in pronazione della sottoastragalica possono essere coinvolti primitivamente o secondariamente i muscoli pronatori, i lunghi e brevi legamenti plantari, la fascia plantare.

Il difetto di assorbimento dello shock a livello del piede può condizionare situazioni patologiche da stress anche a livello del ginocchio, pelvi e rachide lombare per ripercussioni trasmesse attraverso l’arto inferiore.

 

E’ importante, pertanto, la valutazione del tipo di piede poiché ciascuno di essi predispone a determinata patologia.

Il piede cavo, predispone alla tendinite di Achille ed alla fascite plantare; inoltre, da sovraccarico, a callosità metatarsali globali e, per componente in varo del retropiede, a lesioni legamentose periastragaliche (sistema di stabilizzazione laterale della tibio-tarsica ed interosseo astragalo-calcaneale).

Il piede piatto, meno limitativo del piede cavo, predispone a callosità plantari mediali, a patologia legamentose mediale, a sindromi del tunnel tarsale, a tendinite del tibiale posteriore.

Da tenere presente il piede everso che, talvolta piatto, è più spesso cavo-valgo con apparente piattismo, ed intrarotazione tibiale secondaria, per affrontamento al suolo della volta mediale. Predispone alla tendinite del peroneo lungo, del tibiale posteriore e dell’adduttore dell’alluce, alla sofferenza del nervo tibiale, al tunnel tarsale, all’artrosi della Chopart.

 

 

Fratture da durata

 

La sintomatologia è caratterizzata da dolori in regione metatarsale o sovramalleolare che insorgono dopo corse troppo prolungate o troppo veloci, o con calzature inadatte, o su terreni non elastici, o dopo aumento troppo rapido della percorrenza come nel prepararsi ad una maratona passando ad esempio da 60 a 120 Km. la settimana per 2-3 settimane;tutto questo deve sempre far sospettare una frattura da durata anche in presenza di una iniziale (3-4settimane) negatività radiografica.

Il sovraccarico funzionale con sollecitazioni in abituali e ripetitive comporta una “fragilizzazione” localizzata dell’osso (patologia d’adattamento) che si manifesta con dolori inizialmente poco invalidanti, pur se progressivamente accentuatisi, con negatività radiografica.

E’ il momento utile alla diagnosi di stadio prefratturativo” nel quale è di estrema utilità la scintigrafia ossea.

Il trascurare o soprassedere a questo primo stadio proseguendo nell’attività fisica porterà alla frattura da durata, vera soluzione di continuo scheletrica e stadio ultimo di questa patologia.

Anche la RMN è utile alla diagnosi precoce di stadio prefratturativo per variazioni della intensità di segnale nelle scansioni pesate in T1 e T2.

Fattori predisponenti, oltre ai già accennati errori di allenamento, variazioni anatomiche (piede di Morton ad esempio) o strutturali (varo di calcagno, piede cavo o cavo-varo, ecc.) del piede.

Il piede cavo in particolare, nelle sue diverse espressioni, espone con frequenza a lesioni da durata essendo un piede che, in particolare se anche varo (supinazione della sottoastragalica e pronazione del metatarso), è un piede funzionalmente rigido e quindi con ridotte possibilità di assorbimento dello shock all’impatto con il terreno.

Nella patogenesi delle fratture da durata si può parlare di multifattorialità considerando che sono messi in gioco fattori generali quali: la qualità dell’osso; il sistema endocrino, le masse muscolari.

Globalmente le fratture da durata incidono in circa il 6% dei corridori: maggiormente colpite sono le ossa metatarsali (bilateralmente nel 20% dei casi) e l’estremità distale del perone (scafoide e astragalo).

In stadio prefratturativo il trattamento si basa sullo scarico della sede interessata, e la progressiva ripresa funzionale è in rapporto alla scomparsa del dolore.

In fase fratturativa, lo scarico della parte interessata per 6-8 settimane, rimane il trattamento elettivo per i quadri algo-distrofici che molto spesso seguono all’immobilizzazione gessata od all’osteosintesi.

La persistenza clinica del dolore e radiografica del tratto fratturativo indirizzeranno ad una evoluzione pseudoartrosica e potranno porre indicazione chirurgica.

Alla ripresa dell’attività è opportuno valutare eventuali disassetti del piede che possono essere patogeneticamente di rilievo e che vanno compensati (ortesi) o corretti (osteotomia sottotalamica valgizzante di calcagno ad esempio).

 

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