APNEA
L’immersione
in apnea è senza dubbio l’attività subacquea più praticata e dal punto di
vista medico offre degli spunti di riflessione interessanti.
Nel
1965 Agostoni giudicava che, applicando la legge di Boyle la massima profondità
raggiungibile in apnea dopo una massima inspirazione fosse limitata dal rapporto
tra la capacità polmonare totale (TLC) ed il volume residuo (RV). Al di sotto
di tale limite il torace sarebbe imploso (thoracic squeeze) a causa della
pressione idrostatica. I limiti previsti erano così posti a 30-40 mt.
Poco
più tardi (1968) Craig e Schaefer con i loro esperimenti dedussero che, in
immersioni in apnea, un meccanismo compensatorio proteggesse i polmoni dallo
schiacciamento: una quota di sangue proveniente dalla circolazione periferica
veniva richiamato nel torace e, essendo incomprimibile, contrastava la riduzione
del volume polmonare al di sotto del volume residuo.
Blood shift
Oggigiorno
è noto il meccanismo fisiologico definito “blood shift”. Durante la fase
di discesa e di permanenza sul fondo gli organi capaci di sopportare una
temporanea ipossia (apparato intestinale, muscoli, tegumenti) vengono esclusi
dalla circolazione ematica a causa di una vasocostrizione selettiva. Questa ridistribuzione
centripeta del volume ematico (che risparmia organi più vulnerabili quali
il cervello) comporta un aumento della volemia intratoracica ed intrapolmonare
in particolare, finalizzata ad impedire lo schiacciamento della gabbia toracica
e non ostacolare gli scambi gassosi a livello alveolare. Con la pletismografia a
impedenza si è calcolato che l’entità del blood shift può arrivare
a superare i 1000 ml.
In questa fase dell’immersione
il sovraccarico di volume ematico interessa anche le cavità destre del cuore,
in cui, pur aumentando i valori pressori, non si hanno particolari
ripercussioni, data la notevole capacità distensiva delle pareti muscolari. La
ridistribuzione ematica viene comunque rallentata dalla necessità dei muscoli
degli arti inferiori di rifornirsi di ossigeno per sviluppare la potenza
meccanica necessaria durante la pinneggiata.
Nella
fase di risalita e per qualche minuto dopo l’emersione si verifica il
ritorno ematico dai polmoni alla periferia. Se la risalita è troppo rapida la
brusca inversione di movimento della massa ematica provoca un sovraccarico di
volume nel ventricolo sinistro (VS) le cui pareti sono al contrario poco o per
nulla elastiche. Estreme conseguenze di rapide risalite sono il deficit
emodinamico per incapacità del VS a svuotarsi, edema polmonare e sincope.
Il
limite di sicurezza per la discesa è di 1-3 mt al secondo e velocità un pò più
lente in fase di risalita.
Le
gare di apnea sono attualmente regolamentate in tre diverse categorie: assetto
costante, assetto variabile regolamentato ed assetto variabile assoluto,
conosciuto anche come “no limits”.
Milza
La
milza è un organo impari che, insieme ai linfonodi forma il tessuto
linforeticolare. E’ costituita da tessuto connettivo reticolare, a differenza
delle tonsille e del tessuto linfoide della mucosa intestinale, dove si trova
anche epitelio (tessuto linfoepiteliale).
Filtra
il sangue del grande circolo. Al suo interno sono sequestrati e distrutti
eritrociti invecchiati con membrana alterata e si sviluppano macrofagi dai
monociti del tessuto circolatorio. Il 20-30% di tutte le piastrine risiede in
quest’organo. Ciononostante non è di importanza vitale, sostituita nelle sue
funzioni, in caso di asportazione, dal fegato e dal midollo osseo.
Situata
al di sotto del diaframma, ha la forma di un fagiolo appiattito e le sue
dimensioni medie sono cm 11 x 7 x 4. Nell’uomo il peso della milza equivale a
circa lo 0,21% del peso corporeo.
Alcune
osservazioni strumentali (ecografia, TAC) in volontari apneisti hanno dimostrato
la riduzione dello spessore della milza in seguito all’apnea, che tornava alle
dimensioni normali entro 5 minuti dalla fine della prova.
E’
verosimile che la contrazione-spremitura della milza sia da mettere in relazione
al complesso meccanismo del blood shift, che consente la ridistribuzione
del sangue periferico a favore della cavità toracica e degli organi che
risentono in misura marcata dell’ipossia.
Nei
mammiferi marini il peso della milza costituisce fino al 7% del peso corporeo. E’
probabile che una milza proporzionalmente più grande sia uno dei meccanismi
adattativi di tali specie per affrontare apnee prolungate e a profondità
ragguardevoli, essendo quest’organo una riserva di sangue. Alcune balene
potrebbero raggiungere i –900 mt restando sommerse per 1-2 ore.
Diving reflex
Altro
fenomeno conosciuto dell’immersione in apnea è il “diving reflex”, un
riflesso che compare anche in molte specie sia di mammiferi che di uccelli
(cetacei, foche, anatre). Sembra che i meccanismi scatenanti siano mediati da
recettori facciali, dalla vasocostrizione periferica, dalla bassa temperatura,
dall’ipossia, e da recettori polmonari e dei grandi vasi.
La
sola apnea provoca una bradicardia, ovvero una diminuzione della
frequenza cardiaca; se il corpo viene immerso in acqua, soprattutto oltre i –20
mt, il fenomeno si accentua,
potendo arrivare anche a soli 20-30 battiti per minuto. Invero il riflesso è in
parte mascherato dalla tachicardia indotta dallo sforzo fisico
necessario per raggiungere il fondo esuccessivamente, la superficie pinneggiando.
Sincope
Durante
la fase di discesa la diminuzione del volume d’aria nei polmoni è bilanciata
dall’aumento della pressione dei gas respiratori, come evidenziato dalla legge
di Dalton. Questo aumento favorisce il passaggio dell’ossigeno dagli alveoli
al sangue e da questo ai tessuti, ma, contemporaneamente, inibisce il rilascio
dell’anidride carbonica dai tessuti al sangue.
In
questa fase, quindi, i tessuti risultano ben ossigenati e nel sangue si mantiene
relativamente bassa la concentrazione di anidride carbonica.
In
risalita si ha un brusco cambio delle pressioni dei gas respiratori che provoca
una diminuzione della cessione del poco ossigeno rimasto ai tessuti, fino a
poter arrivare ad un inversione di tendenza, con l’ossigeno che abbandona i
tessuti per ritornare al sangue e quindi agli alveoli (effetto Bohr). L’anidride
carbonica intanto abbandona i tessuti, satura il sangue, ma diffonde molto
lentamente verso gli alveoli polmonari. Ne consegue una situazione di temporanea
ipossiemia arteriosa e di ipercapnia.
Se
interviene prima l’ipercapnia vengono stimolati i chemiocettori inducendo un
forzato atto inspiratorio con aspirazione di acqua e seri rischi di annegamento
(sincope anossica umida); se invece la deficienza di ossigeno precede l’eccessivo
aumento dell’anidride carbonica non sarà possibile avvertire le contrazioni
diaframmatiche in quanto l’atleta avrà già perduto conoscenza (sincope
anossica secca).
Anche
la posizione della testa rivolta verso l’alto nell’atto di scorgere la
superficie può avere un ruolo nel determinare la sincope, facendo diminuire l’irrorazione
preferenziale al cervello e stirando il seno carotideo.
Questi
meccanismi stanno alla base degli incidenti in cui possono incorrere gli
apneisti in fase di risalita, soprattutto negli ultimi metri e ancor più se si
espira durante l’apnea, in modo tanto più marcato quanto maggiore è stata l’iperventilazione
in superficie.
Se
vengono ripristinate le normali condizioni di ossigenazione e circolazione entro
i primi 6 minuti di totale anossia l’attività cerebrale riprende entro 30
minuti senza danni postumi. Se invece si superano gli 8 minuti di anossia il
cervello riprende solo parzialmente, residuando danni cerebrali irreversibili.
Si
è oggi concordi nel consigliare di non prolungare l’iperventilazione
volontaria in superficie per non più di 4 atti respiratori profondi; in tal
modo il punto di rottura dell’apnea, che è il più importante avviso per l’apneista
del sopraggiunto momento della risalita, giunge circa a metà del tempo totale
di apnea.
Limiti
L’aumento
della pressione ambientale, se si rispettano certe condizioni, anche se portata
a valori molto elevati non produce danni agli organismi. Numerose ricerche
sperimentali hanno infatti dimostrato come si possano portare animali a
pressioni di oltre 100 atmosfere assolute, corrispondenti ad un profondità di
oltre 1000 mt, senza evidenziarne patologie, fintanto che l’aria abbia accesso
a tutte le superfici corporee e sia mantenuto l’equilibrio pressorio tra
ambiente esterno e cavità corporee (cavità craniche, polmoni, digerente).
Basta
però una differenza di pressione tra le superfici libere del corpo di 50 mmHg
(circa 65 cm d’acqua) per alterare i tessuti ed indurre edema, congestione e
dolore.
Uno
dei fattori limitanti la prestazione è quindi la possibilità di mantenere all’interno
del torace una pressione equivalente a quella esterna, anche se non si conoscono
fino in fondo i limiti nelle variazioni emodinamiche endotoraciche e gli effetti
di un loro eventuale superamento a carico di strutture quali i vasi.
Negli
atleti allenati alle grandi profondità è stata dimostratala intercomunicazione
tra i comparti aerei dell’ipofaringe e della trachea ad opera di un piccolo
iato posto in vicinanza del triangolo crioaritenoideo laterale e una buona
ampiezza dell’apertura nel canale osseo del condotto uditivo medio (3 mm),
capaci di favorire una buona compensazione in situazioni di iperbarismo.
Anche
in apnea i processi vitali cellulari si mantengono attivi e l’anidride
carbonica continua ad essere prodotta in relazione al tipo ed all’intensità
dell’esercizio svolto; saturandosi i sistemi tampone a disposizione dell’organismo,
che non può scambiare gas con l’esterno, è inevitabile l’avvicinamento
della fatica muscolare e del punto di rottura dell’apnea.