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Senato - Disegno di legge 1637 (testo presentato)

 

ONOREVOLI SENATORI. - Il problema di una normativa nazionale per una lotta efficace contro il fenomeno del doping , che andasse oltre le norme già esistenti (vedi legge 26 ottobre 1971, n. 1099), é stato già posto al Parlamento con molto vigore negli anni passati.

Ne fa testo, fra le altre, la proposta di legge del 1988 dei deputati Ceci Bonifazi, Caprili, Bogi ed altri (atto Camera n. 2564, X legislatura), successivamente ripresa nella XI legislatura dai deputati Armellin ed altri (atto Camera n. 1767).

Ne fa testo soprattutto l'indagine conoscitiva sul fenomeno del doping condotta nel 1989 dalla Commissione affari sociali della Camera dei deputati, a cui va il merito di una adeguata messa a punto sul piano scientifico, economico e sociale del complesso fenomeno del doping nello sport ed a cui tuttora possiamo fare riferimento per le informazioni generali che costituiscono premessa del presente disegno di legge.

Sembra peraltro opportuno, di quella indagine, richiamare le conclusioni più significative e cioè:

a) il riconoscimento che il doping é problema riguardante non solo l'etica sportiva ma anche la salute pubblica;

b) che per tale motivo la responsabilità della lotta al doping va bene al di là dei confini del mondo sportivo per diventare tema di politica e di interesse pubblico;

c) che, essendo il doping un problema internazionale, é utile un coordinamento tra i diversi Paesi interessati;

d) che le metodologie di lotta al doping, elaborate e gestite dalle autorità sportive nazionali ed internazionali, non si rivelano idonee a realizzare il risultato di una effettiva contrazione del fenomeno e vanno, pertanto, profondamente innovate.

Su queste linee e per due legislature il Parlamento ha discusso e cercato di portare a termine l'iter legislativo delle proposte di legge richiamate, senza peraltro raggiungere questo risultato.

Riteniamo necessario riprendere oggi quell'iter di fronte all'evidenza di un fenomeno che é sempre più dilagante e meno controllato e ci proponiamo, con il presente disegno di legge, di adeguare l'articolato delle precedenti proposte tenendo conto di quanto nel frattempo l'osservazione puntuale del fenomeno doping sul piano scientifico, sul piano dei risultati e su quello normativo, ci ha insegnato.

Recenti aggiornamenti sul fenomeno del doping: diffusione, controlli, metodologie.

La conoscenza della reale diffusione del doping, sia tra gli atleti sia tra gli sportivi in generale, é ancora frammentaria sì da risultare spesso fuorviante, se non proprio mistificante.

La stampa di settore, che ne rappresenta la fonte più accreditata, ad esempio, é solita occuparsi di doping solo di fronte al caso che fa notizia, o meglio scandalo, che impressiona (tipico l'esempio di Ben Johnson), ma non si occupa, se non di rado, del doping quotidiano, praticato da atleti numerosi ma sconosciuti.

Sono tuttora molto limitati gli studi epidemiologici ad ampia diffusione condotti con adeguate metodologie. L'epidemiologia del doping si é fatta in questi anni con l'anti-doping. Questo metodo di indagine indica che la frequenza di positivi tra gli sportivi "testati" si aggira tra l'1,5-2,5 per cento e questo viene documentato per i test ufficiali eseguiti sia durante le competizioni, sia durante il training o subito prima della competizione.

Anzi, nel periodo 1988-1992, la percentuale di positività dei campioni urinari esaminati in tutto il mondo é scesa dal 2,45 per cento all'1,13 per cento, con un valore medio dell'1,63 per cento ed una prevalenza di positività negli sport non olimpici. In Italia le cose sembrano andare ancora meglio in quanto, nel periodo 1982-1992, la percentuale di positività dei campioni urinari esaminati é scesa dallo 0,51 per cento allo 0,29 per cento, con un valore medio dello 0,41 per cento.

Questo risultato "ufficiale" é ampiamente irrealistico. La frequenza dei positivi ricercati con la stessa metodologia adoperata per i test ufficiali, ma al di fuori dei controlli prescritti per le gare, sale vertiginosamente al 14,24 ed oltre il 40 per cento.

Tuttavia, anche tenendo per buoni i dati ufficiali, si possono trarre indicazioni abbastanza inquietanti. Se é vero infatti che nel periodo 1988-1992 la positività é oscillata fra l'1,02 per cento e lo 0,29 per cento dei controlli eseguiti all'anti-doping, in Italia ciò significa che, su una cifra stimabile di circa 9.500.000 atleti aderenti al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), il numero totale degli atleti potenzialmente positivi all'esame anti-doping sarebbe compreso tra 27.500 e 97.000 per anno.

Se questo dato appare paradossale é solo perché nella realtà i test vengono eseguiti in un numero molto limitato di casi, mentre ben il 99 per cento dei praticanti le attività sportive é assolutamente certo di non essere sottoposto ad alcun controllo anti-doping e, pertanto, rappresenta una popolazione sportiva ad alto ed incontrollato rischio di utilizzo di farmaci "dopanti".

Comunque, per meglio conoscere il fenomeno, nel 1990 un gruppo di studio costituito da membri della Commissione anti-doping del CONI, del Consiglio nazionale delle ricerche e di vari istituti di ricerca (clinica neurologica di Pavia, istituto di farmacologia di Pavia, istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri" di Milano, eccetera) con il contributo economico del CONI ha posto in essere con la DOXA una ricerca che ha interessato 1015 atleti italiani. I risultati di questa indagine sono sintetizzati nella tabella 1.

TABELLA 1

Uso di farmaci dopanti secondo 1015 atleti italiani analizzati ad hoc

attraverso una indagine condotta con la DOXA  

 

Porzione di testo non disponibile

 

Certamente questi dati vanno presi con molta cautela, in considerazione del fatto che rispecchiano quanto asserito dagli atleti, senza la dimostrazione empirica della realtà dell'uso ottenuta attraverso valutazioni dei campioni urinari.

Tuttavia, questi risultati confermano che i dati percentuali ottenuti dal campione di soggetti esaminati dai laboratori accreditati dal Comitato internazionale olimpico (CIO) non sono rappresentativi della realtà sportiva.

Appare quindi evidente che occorre operare una netta e chiara distinzione tra il concetto di doping e quello di anti-doping. L'estrema confusione al riguardo nasce dal fatto che per convenzione "sportiva" si definisce come atleta che effettua il doping, "l'atleta che risulta positivo all'anti-doping ". Sulla base di questo assunto il CIO ha compilato una lista di talune di quelle sostanze che risultano più o meno determinabili: quindi, ha definito come doping la messa in evidenza nelle urine di una o più delle sostanze o degli interventi proibiti, limitatamente a quelli compresi nella lista della tabella 2.

TABELLA 2

Sostanze e metodi dopanti secondo il Comitato internazionale olimpico (CIO) 

Porzione di testo non disponibile

 

Non é difficile rilevare che la lista del CIO presenta la forte incongruenza di escludere un numero notevolissimo di medicamenti che avrebbero le stesse caratteristiche dopanti di quelli inclusi nella lista stessa: il CIO, cioè, controlla e punisce l'uso "di alcuni farmaci" e non "dei farmaci".

Occorre quindi avere ben presente il fatto che, se un atleta risulta "negativo" all'esame anti-doping, ciò non dimostra che non ha fatto uso illecito di farmaci, ma indica solamente che non ha assunto in tempi più o meno recenti alcuni dei farmaci compresi nella lista. Infatti la lista del CIO (tabella 2) consente di fatto all'atleta l'uso a scopo di doping di tutti i medicamenti non indicati.

Ciò spiega perché in pratica l'anti-doping identifica una parte estremamente limitata di atleti che effettuano il doping, ma non identifica il fenomeno nel suo insieme.

Basti pensare che:

su un totale di 160 nazioni afferenti al CIO solo 20 sono dotate di laboratori anti-doping omologati alle norme CIO;

su un numero di milioni di cittadini "a rischio" per eseguire il doping, solo 2.000 all'anno in ogni laboratorio, in media, vengono sottoposti a controlli anti-doping (40 per settimana, circa 900-1.700 in totale nel mondo);

su un totale di centinaia di sostanze (praticamente tutti i farmaci) che possono far parte di trattamenti dopanti, solo alcune decine sono comprese nelle liste delle sostanze proibite;

l'efficacia dei controlli, pur eseguiti secondo una corretta metodologia, é fortemente compromessa dall'impiego di metodi di assunzione farmacologica che rendono negativo anche l'atleta che assume regolarmente farmaci.

Per identificare correttamente il doping é quindi necessario abbandonare l'equivalenza doping- anti-doping e prendere in esame l'insieme dei fenomeni clinici, biologici, metodologici, farmacologici che lo contraddistinguono. Abbiamo cioè bisogno di sostituire alla vecchia ed inefficace metodologia dell'anti-doping una nuova metodologia più complessa, che utilizzi la ricerca biomedica avanzata e si strutturi in un insieme che comprenda epidemiologia, clinica, indagini di laboratorio, follow-up degli atleti e così via.

Ciò che noi proponiamo per eliminare ogni disparità e per razionalizzare l'uso dei medicamenti nello sport é prendere come metro la presenza nell'atleta di documentate alterazioni patologiche. Ciò consentirebbe il totale utilizzo dei mezzi medicamentosi per il cittadino-atleta ammalato, mentre, in carenza di alterazioni patologiche, l'utilizzo di farmaci non autorizzati dovrebbe configurarsi come doping. Verrebbe conferito al medico l'obbligo di documentare lo stato di malattia: di tale documentazione il medico stesso si assumerebbe ogni responsabilità in sede sia sportiva sia civile.

Il presente disegno di legge nasce quindi dall'esigenza di riportare al centro dell'attenzione l'identità clinico-biologica dell'atleta, riconoscendo che accanto ad un effetto economico-sociale del doping (offesa della lealtà sportiva, alterazione delle regole della libera concorrenza, eccetera) esiste un ben più grave problema etico-sanitario legato all'illecita manipolazione del corpo umano ed ai gravi esiti per la salute che questa manipolazione comporta.

Come é noto, i danni conseguenti al doping possono essere rilevabili a breve ed a lungo termine. Tra i primi, dopo le prime morti da doping causate dalle "vecchie" amfetamine, vanno assumendo rilievo le "nuove" morti sul campo indotte da beta-bloccanti.

I danni a lungo termine possono essere correlati:

a) alla mutagenesi farmacologica (ossia mutazione di una cellula germinale portatrice dei caratteri ereditari) le cui conseguenze possono manifestarsi nella prima generazione o dopo molte generazioni successive;

b) alla cancerogenesi chimica, fenomeno su cui disponiamo di numerosi dati sperimentali comprovanti la comparsa di tumori indotti da sostanze chimiche, tra cui alcuni farmaci, anche a distanza di molti anni;

c) alla teratogenesi farmacologica. In campo sportivo essa riguarda un campione ridotto, ossia le atlete ai primi stadi di gravidanza in cui farmaci teratogeni inducono malformazioni correlate all'epoca di somministrazione.

Ma, come prima detto, questo semplice e razionale concetto "clinico" non risulta al governo sportivo anche se ben trent'anni di applicazione dell'attuale metodologia anti-doping ne evidenziano il drammatico fallimento.

Eppure, in contrasto con queste posizioni interne, sono ormai molti gli interventi a favore di proposte che vedono le autorità pubbliche direttamente impegnate nella lotta al doping. Ad esempio, diversi Paesi quali il Canada, l'Australia, il Belgio ed i Paesi nordici dispongono di programmi indipendenti per il controllo del doping , sostenuti a livello legislativo e gestiti da organi designati dal Governo. Le federazioni sportive in quei Paesi sono già state parzialmente esautorate.

In risposta a tale situazione, nel 1991 il presidente della Federazione internazionale atletica leggera (IAAF) ha inviato nuove istruzioni a tutti i membri dell'IAAF del mondo: "attualmente alcuni governi nazionali hanno creato agenzie nazionali per la lotta al doping, cui spetta la responsabilità dei controlli anti-doping a livello sportivo. Notiamo con una certa preoccupazione che talune di queste agenzie hanno assunto la gestione totale del controllo anti-doping all'interno dei rispettivi Paesi e che queste procedure sono contrarie alle norme IAAF. La Commissione anti-doping IAAF ritiene che i suoi membri dovrebbero fare tutto il possibile per riconquistare il controllo in questo settore".

Ma la strada a livello internazionale sembra essere segnata e va proprio nella direzione indicata dal presente disegno di legge. Infatti nella risoluzione recentemente approvata dal Parlamento europeo (PE. 205.677, nella seduta del maggio 1994) gli Stati membri vengono direttamente chiamati in causa ed invitati ad "adottare norme giuridiche integrative che vietino il doping nello sport e prevedano sanzioni per i singoli atleti, le società e le federazioni sportive (inter)nazionali in caso di violazione" ed inoltre a "rifiutare o revocare le sovvenzioni alle società e federazioni che chiaramente eludono le norme e i regolamenti in materia di doping nello sport e non combattono il fenomeno nelle attività sportive di cui sono responsabili".

Una politica adeguata per la lotta al doping.

A partire dall'esperienza fin qui realizzata, tenuto conto del vivace dibattito in corso tra autorità pubbliche ed organizzazioni sportive, in aderenza alle principali iniziative internazionali (in particolare gli interventi dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa), riteniamo che una efficace politica di lotta contro il doping debba essere basata sui seguenti princìpi:

a) riconoscimento della competenza e della pertinenza di interventi da parte dell'autorità pubblica, chiamata a far fronte al fenomeno del doping in quanto problema di salute pubblica e di rispetto delle vigenti normative in campo sanitario (in particolare leggi di recepimento delle direttive comunitarie su distribuzione, etichettatura, pubblicità, regime di prescrizione dei farmaci);

b) riconoscimento della piena autonomia delle organizzazioni, che scelgono di dotarsi di regolamenti e norme tecniche (per quanto parziali ed inconcludenti possano apparire) che esse considerano "valide ai fini di assicurare il corretto svolgimento della competizione sportiva";

c) obbligo per le organizzazioni sportive, pubbliche e private, di collaborare al corretto espletamento di tutte le iniziative che le autorità sanitarie dovranno assumere a tutela della salute del cittadino-atleta.

Senato della Repubblica

Testi dei disegni di legge

URL: http://www.senato.it/att/ddl/r1637p.htm

 

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