Henri
Cartier-Bresson e Magnum erano radicalmente legati, era il primo tra i cinque
fondatori della gloriosa agenzia, che distribuiva le sue immagini, c'era però
un'altra realtà, anteriore alla nascita dell'agenzia, che faceva da sempre
parte del suo universo, ed era ovviamente Picto. Tutti i negativi di
Cartier-Bresson sono, ancora oggi, archiviati in una cassaforte all'interno del
leggendario laboratorio, che continua anche a fornire tutte le stampe. Una
collaborazione nata nel 1935 dall'incontro tra Henri Cartier-Bresson e Pierre
Gassmann, futuro fondatore di Picto. "Quando ho incontrato Henri, eravamo
membri dell'AAER (Associazione degli artisti e scrittori rivoluzionari)
”racconta Gassmann”. "Allora stampava da solo in bagno. Gli chiesi perché
le sue stampe erano così contrastate, e mi rispose che dipendeva dalla carta
che gli vendevano. Gli proposi allora che ci avrei pensato io e lui accettò. Le
mie stampe gli piacquero e iniziammo una collaborazione che è proseguita anche
da Picto. All'inizio come pagamento mi offriva il caffè, la carta e gli
sviluppi, poi le cose migliorarono perchè iniziò a vendere le sue foto,
soprattutto alla rivista “Regards”. All'epoca Henri non aveva nessuna nozione
tecnica. Scattava con la sua Leica, e la foto poteva venire come non venire.
Perchè la sua caratteristica era la mancanza di volontà di comporre.
Fotografava d'istinto. In effetti, scoprivamo insieme sui contatti ciò che
aveva voluto riprendere. Raramente c'erano più di due o tre foto dello stesso
soggetto. Se non vedeva ciò che voleva lasciava stare. E la leggenda che
rifiutava di tagliare le foto e nata dal fatto che molto difficilmente era
necessario. Aveva il dono raro dei grandi pittori: vedere l'essenziale e non
interessarsi al resto. Parallelamente Henri acquisì anche una padronanza
tecnica, anch’essa istintiva. Operava come un virtuoso del pianoforte che non
ha bisogno di guardare i tasti. Non ha mai utilizzato esposimetri, tranne ogni
tanto per avere una volta per tutte, la lettura della luce del mattino. Era
tutt’uno con la sua Leica, anche se ne ha cambiato diversi modelli. Gli
interessava solo che i comandi fossero nello stesso posto". La
collaborazione tra Cartier-Bresson e Gassmann s’interruppe con la guerra e
riprese quasi per caso dopo la Liberazione. I due si rincontrarono, infatti,
nel 1945, alla presenza di Robert Capa che spingeva Cartier-Bresson sempre di
più verso il fotogiornalismo. Alla fine degli anni `40 fu fondata l'agenzia
Magnum e quasi nello stesso periodo Gassmann aprì il suo laboratorio, Pictorial
Service. "Da quel momento ho lavorato ufficialmente per i fotografi di
Magnum" riprende Gassmann, "tra cui, ovviamente anche
Cartier-Bresson. Ciò che ha sempre reso preziosa ed efficace la nostra
collaborazione è che ho sempre guardato le sue immagini con i suoi occhi e il
suo spirito. Capivo ciò che aveva fatto anche se non ci aveva riflettuto. Per
esempio nel maggio ‘68 era rientrato precipitosamente dagli Stati Uniti
attraverso il Belgio per piombare a Parigi e fotografare gli avvenimenti. Mi
lasciò le pellicole e notai che i contatti non mostravano niente di
straordinario.’Smetti di partecipare e fai delle foto!’ gli dissi. L'indomani
trovai un pacchetto di rulli con un biglietto: ‘Ho pensato a te. Ho smesso di
partecipare’. Conosciamo il seguito. Guardando i provini ho sempre capito
esattamente ciò che aveva voluto esprimere e quale foto aveva cercato.
Il mio gusto non
ha mai avuto nessun’importanza, contava solo la sua visione. D'altra parte la
sua tecnica non ha mai avuto una vera evoluzione, anche perché era già ottima
dal principio. Ogni tanto gli ho fatto conoscere delle carte e gli ho dato dei
consigli sull'uso della pellicola Kodak Tri-X, che gli chiedevo di esporre a
200 Iso per dare più disegno e soprattutto più dettaglio alle ombre. Ma ciò che
conta veramente è ciò che ci ha fatto scoprire, e cioé l'essenziale e
l’accessorio, al punto che l'accessorio diviene il soggetto principale".
Oggi Pierre Gassmann è in pensione, ma molto tempo prima aveva passato il
testimone a un altro stampatore eccezionale di Picto, Georges Fèvre, che ha
stampato le foto di Cartier-Bresson per trent'anni prima di lasciare a sua
volta il posto a Daniel Mordac, allievo di Gassmann e di Philippe Jourda, che
ha avuto il privilegio di lavorare sui negativi del maestro da nove anni.
"Stampavo le sue foto su carta Ilford Multigrade. Gli piaceva perché
mantengono tutti i valori del grigio senza compromettere i bianchi e i neri. Mi
diceva sempre: ‘Il mio occhio vede tutto, dunque bisogna che tutto si veda"’.
HCB <<L’avventuriero che è in me
si sente obbligato a testimoniare le cicatrici di questo mondo con uno
strumento più rapido del pennello>>
Il Bresson
pensiero è inequivocabile e inesorabile, perché non lascia spazio a
sentimentalismi di sorta verso lo strumento fotografico: "Le scoperte
della chimica e dell’ottica allargano il campo d'azione, sta a noi poi
applicarle alla nostra tecnica per migliorarla. Ma si e sviluppato un vero
feticismo in fatto di tecnica fotografica, che deve essere creata e adattata
unicamente per realizzare una visione; è importante nella misura in cui
dobbiamo impadronircene per rendere ciò che vediamo. È il risultato che conta,
la prova del reato che lascia la foto, altrimenti non si finirebbe mai di
descrivere tutte le foto mancate o che esistono solamente nell'occhio del
fotografo. Il mestiere di reporter ha solo trent'anni, si è perfezionato grazie
alle macchine piccole e maneggevoli, agli obiettivi molto luminosi e alle
pellicole a grana fine molto sensibili realizzate per soddisfare le esigenze
del cinema. L'apparecchio per noi è uno strumento, non un giocattolino
meccanico. E sufficiente trovarsi bene con l'apparecchio più adatto a quello
che vogliamo fare. Le regolazioni, il diaframma, i tempi ecc, devono diventare
un riflesso, come cambiare marcia in automobile, e non c'è molto da commentare
su queste operazioni, anche su quelle più complicate; sono enunciate con
precisione militare nel manuale d'istruzioni fornito dai vari fabbricanti con
l'apparecchio e la custodia in pelle. È necessario superare questo stadio,
almeno nelle conversazioni. Stessa cosa per quanto riguarda la stampa.
Nell'ingrandimento, bisogna rispettare i valori della ripresa e, per
ristabilirli, modificare la stampa secondo
lo spirito che prevaleva
al momento della ripresa. Bisogna ristabilire il bilanciamento tra luce e ombra
che l'occhio esegue automaticamente, per questo gli ultimi istanti della
creazione fotografica si svolgono in laboratorio. Mi diverte sempre l'idea che
molte persone hanno della tecnica fotografica, e che si traduce nel gusto
smodato per la nitidezza dell'immagine: e per la passione del minuzioso,
dell'accuratezza, o forse sperano con questa illusione ottica di catturare la
realtà più da vicino? Sono in realtà lontani dal vero problema quanto
quell'altra generazione che avvolgeva tutti i suoi aneddoti con il flou
artistico."
HCB: << La Leica può essere un grande bacio
caldo, oppure può essere un colpo di pistola o ancora il divano dello
psicanalista>>
Henry Cartier
Bresson ha conosciuto Ernst Leitz,
Ludwig Leitz, Elsie Kuhn-Leitz. Soggiornò nella casa dei Leitz, Haus Friedwart.
La connessione con i Leitz e con la società Leica non si è mai interrotta. Qui
nella foto, è il 1988, il Dr. Werner Simon e un membro della famiglia Leitz si
congratulano per gli ottanta anni, donandogli una M6. Henry, ascolta, poi, con
il suo Summicron 50 cromato, avvicina il prezioso occhio nel mirino, osserva le
accensioni dei Led e verifica l’esposizione, con il Dr. Simon in allerta, pronto
a diradare ogni ragionevole dubbio. Il Dr. Werner Simon nel 1984 era il
presidente della divisione fotografica della Leitz, fu proprio lui che volle
fortemente la M6, la riteneva l’autentica rivoluzione del telemetro, convinto
com’era che con un esposimetro moderno, incorporato, la Leica avrebbe ottenuto
una concreta affermazione nel mercato. Intuizione giusta, nel frattempo ha
lasciato la carica di presidente del Gruppo Leica Camera nell’Ottobre del 1993.
Henri
Cartier-Bresson, continuò comunque a fotografare con la sua M3 laccata nera
(con il nero sempre più rado e l’ottone lucido in evidenza su calotta e
fondello)ed il suo inseparabile Elmar 50 corredato di tappo con cordicella
antismarrimento.
Appeso alla sua
borsa, poi, un paraluce, che all’evenienza era lì pronto ad aiutarlo.
Foto di Martine Franck
(moglie di Henri)
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Giuseppe Ciccarella