Tecniche operatorie e anestesiologiche

 

Programmazione preoperatoria:

Equipe chirurgica più numerosa (per ridurre i tempi dell’intervento)

Posizionamento per l’intervento

Programmazione delle procedure complesse

Tecniche autologhe (1)

Emodiluizione normovolemica intraoperatoria

Emodiluizione ipervolemica

Recupero intraoperatorio

Anestesia

Anestesia in ipotensione controllata (2)

Ipotermia indotta

Emostasi e tecniche operatorie scrupolose

Criochirurgia

Riduzione dell’afflusso del sangue alla cute

Occlusione meccanica del vaso che sanguina

Terapie che favoriscono la coagulazione

 

(1) Tecniche autologhe. I pazienti sottoposti ad emodiluizione normovolemica vengono a trovarsi in condizioni emodinamiche potenzialmente meno stabili; la riduzione dell’ematocrito riduce infatti le capacità di compenso del soggetto nei confronti di perdite ematiche, specie se importanti ed improvvise. Il chirurgo deve inoltre condurre l’intervento con la consapevolezza che un sanguinamento acuto può scompensare il paziente in poco tempo mentre una perdita minore, se continua, può essere ancora più insidiosa in quanto spesso sottovalutata. Queste circostanze hanno indotto a sperimentare e promuovere l’emodiluizione acuta ipervolemica, che si ottiene somministrando sostituti plasmatici in assenza di rimozione di sangue autologo. I colloidi, in misura pari al 15-20% dell’ematocrito, vengono infusi rapidamente (100 mL/min) prima dell’inizio dell’intervento. Per prevenire gli effetti emodinamici legati allo stato ipervolemico si utilizzano farmaci capaci di indurre vasodilatazione. Inoltre il protocollo risulta più semplice e di facile attuazione con una notevole stabilità emodinamica del paziente (tenendo anche conto del fatto che l’ipervolemia tende a ridursi col progredire dell’intervento in seguito alle perdite ematiche ad esso conseguenti).

Non sono state rilevate differenze significative rispetto all’emodiluizione acuta normovolemica per quanto riguarda i parametri della coagulazione in quanto i presunti vantaggi legati alla reinfusione di sangue intero a fine intervento sembrano in parte sovrastimati. Tali dati vengono mantenuti anche nei giorni successivi. Vengono infine a mancare i rischi legati alla contaminazione della sacca donata e quelli di possibili errori di somministrazione.

Le limitazioni sono rappresentate da criteri di arruolamento più restrittivi (soprattutto nei pazienti con patologie cardiovascolari ischemico-ipertensive) e dalla mancanza di studi clinici controllati per stabilire l’efficacia del protocollo.

 

(2) Ipotensione controllata. Per ipotensione controllata si intende la riduzione intenzionale dei valori pressori al disotto di quelli normalmente utilizzati durante una procedura chirurgica. In pratica, ciò corrisponde ad una riduzione di almeno il 20% rispetto alla pressione sistolica di base, per oltre cinque minuti. Introdotta  per la prima volta da Gardner nel '48, questa tecnica ha come scopo non solo la riduzione delle perdite ematiche intraoperatorie, ma anche il miglioramento delle condizioni chirurgiche (campo operatorio “asciutto”, riduzione della tensione delle pareti durante il clippaggio di aneurismi cerebrali).

Anche se si ritiene che l'ipotensione controllata possa essere utilmente impiegata in alcune procedure chirurgiche particolarmente invasive (come, ad esempio, le malformazioni craniofaciali), non vi sono ancora sufficienti studi comparativi fra la sua efficacia e quella di altre tecniche quali l’emodiluizione acuta normovolemica, il predeposito e il posizionamento del paziente nell’ottenere riduzioni delle perdite ematiche perioperatorie. Inoltre, se non adeguatamente condotta, l’ipotensione controllata può aumentare il rischio di danno tissutale da ipoperfusione.

Essa non può essere pertanto utilizzata quando esista un pericolo anche potenziale di compromissione della funzionalità di parenchimi nobili e, in particolare, in presenza di ipertensione endocranica e ipoperfusione cerebrale, né in associazione ad altre tecniche di risparmio di sangue.

In particolar modo nel paziente sottoposto ad emodiluizione acuta normovolemica si avrebbe un aumento del lavoro cardiaco legato all’ulteriore diluizione necessaria per mantenere un’adeguata volemia.

   

 Copyright© 1999/2005 - Francesco Angelo Zanolli - Ultimo aggiornamento in data 16/11/2005