IL VISCONTE DIMEZZATO

    Trama

“Il visconte dimezzato” narra le vicende del giovane Medardo di Terralba che, arruolatosi nell’esercito cristiano per sconfiggere gli Infedeli in Boemia, viene gravemente ferito dopo poco tempo per una potente cannonata che l’aveva colpito in pieno. Di lui sembra inizialmente salvarsi solamente una metà, quella che poi verrà riconosciuta come la ‘metà cattiva di Medardo’, che riesce a tornare miracolosamente a casa con l’ausilio di una gruccia. Rientrato nel suo castello, il visconte inizia a dimostrarsi scortese e a compiere malefatte nei confronti dei suoi sudditi, e in particolare nei confronti delle persone alle quali era particolarmente legato prima di rimanere invalido in guerra. Le sue ire si scatenano soprattutto sul padre Aiolfo, che muore di crepacuore poiché Medardo gli aveva ucciso un’averla, il suo uccello prediletto, e sulla balia Sebastiana, che l’aveva cresciuto fin da piccolo e che viene spedita a Pratofungo con l’accusa infondata di avere la lebbra. Altri bersagli delle cattiverie del visconte sono il nipote (che tra l’altro rappresenta l’io narrante della storia) e il dottor Trelawney, che esercitava la professione di medico a bordo della nave di James Cook e in seguito ad un naufragio si stabili a Terralba, divenendo compagno di avventure del nipote del visconte. Le cose si complicano ulteriormente quando Medardo si invaghisce di Pamela, una giovane e povera pastorella che non vuole assolutamente sposarsi con lui nonostante le costrizioni dei genitori che avevano timore di veder distrutti tutti i loro averi dall’ira dello ‘Zoppo’. Un giorno, mentre il bambino-narratore sta pescando nel laghetto alcune anguille, gli compare davanti la sagoma dello zio, che vedendo che non aveva preso neppure un pesce, vuole compensare questa perdita regalandogli un anello. Il bambino rimane esterrefatto da tanta bontà, quando in quel momento suo zio viene punto da un velenosissimo ragno rosso su una mano. In cerca del dottor Trelawney per trovare un rimedio, il bambino ripensa al fatto, e si rende conto che la mano gonfia era la destra, mentre il visconte che lui conosceva aveva unicamente la mano sinistra. Così nasce in lui e in tutta la contea la consapevolezza che esista un altro mezzo Medardo che, a quanto pare, è estremamente buono. In breve, gli atti di generosità di quest’ultimo acquistano fama in tutto il paese, ma già dopo poco tempo, la gente si stanca di questo eccesso di prodigalità da parte del visconte, perché, come vuole del resto mettere in luce l’autore, spesso le persone troppo buone e piene di buone intenzioni diventano degli insopportabili scocciatori, al pari di quelle troppo cattive. Anche Pamela la pensa così, e quando viene obbligata dai genitori a sposare uno dei due visconti non sa davvero quale sia il peggiore. [1 giorno delle nozze non si è ancora decisa, ma la sorte sembra che le riservi come marito il Buono, dal momento che questi era riuscito ad arrivare in chiesa prima del Gramo, che invece era rotolato col suo cavallo giù da una scarpata, finendo in un fossato. Prima che la cerimonia sia finita, giunge però all’altare anche il Medardo cattivo, rivendicando il proprio diritto di sposarsi con Pamela. 11 battibecco fra le due metà termina con un furioso duello di spada fissato per l’indomani, e a mio parere, Calvino lo descrive benissimo dicendo che ‘... l’uomo s’avventava contro di sé. con entrambe le mani armate d’una spada’. Alla fine, i due rivali riescono reciprocamente a ferirsi, abbattendo ciascuno la propria spada a ridosso della piaga originaria che li aveva precedentemente dimezzati. Il dottor Trelawney riesce a bendare strettamente le due metà insieme, e dopo alcuni giorni in cui si pensava il visconte potesse anche morire, questi riesce invece a salvarsi miracolosamente ancora una volta, ritornando un uomo intero. Come però precisa l’autore, anche se il visconte era tornato perfettamente normale e a Terralba si pensava che si aprisse un’epoca felice e fiorente, ‘è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo’. Comunque Medardo si sposa finalmente con Pamela, da cui ha molti figli, mentre il dottor Trelawney torna a bordo della nave del capitano Cook in cerca di nuove avventure, lasciando solo ai suoi giochi infantili il bambino-narratore del racconto.

 

    Spazio e tempo        

La vicenda è ambientata geograficamente a Terralba, all’epoca una piccola contea situata nei pressi del golfo di Oristano in Sardegna. Come racconta l’autore, dal castello era possibile vedere il mare e le navi in arrivo, mentre nei dintorni della cittadina si stendevano ampi prati con stagni e ruscelli e anche dei boschetti. Una parte de “Il visconte dimezzato” si svolge anche in un altro paesino (se così si può definire) sempre vicino a Terralba. Si tratta di Pratofungo, il cosiddetto ‘paese dei lebbrosi’, dove tutti coloro che avevano contratto la malattia dovevano andare a vivere. In realtà, pare che gli abitanti di Pratofungo si dessero alla pazza gioia, organizzando per ogni nuovo arrivato delle feste con musiche e danze molto spesso a carattere orgiastico. E proprio a Pratofungo che viene spedita anche la vecchia balia Sebastiana, che Medardo voleva assolutamente mandare via dal castello per attuare i propri progetti. Per quanto riguarda invece la collocazione temporale, l’autore non dice esplicitamente quando abbiano avuto luogo le vicende narrate, ma lo lascia trasparire attraverso alcuni elementi. Per esempio, questi cita più volte il capitano Cook, presso il quale era al servizio il dottor Trelawney: questo grande navigatore ed esploratore inglese era vissuto tra il 1728 e il 1779, e “Il visconte dimezzato” si colloca sicuramente in questo intervallo temporale. Un altro elemento dal quale si può dedurre l’epoca riguarda il fatto che, come racconta Calvino, nei pressi di Terralba viveva una piccola comunità di ugonotti, termine col quale si identificano i protestanti francesi di tendenza calvinista tra il 1560 e il 1629. Dopo vicende alterne, che hanno visto questa minoranza religiosa sostenuta o perseguitata, accadde che, con l’editto di Nantes emanato nel 1685 da Luigi XIV, tutti gli ugonotti dovettero emigrare dalla Francia per trovare rifugio in altri paesi, e forse una parte di essi si era stabilita proprio in Sardegna.

 

    Personaggi

I  personaggi principali del romanzo sono sicuramente le due metà contrapposte di Medardo, sul cui tema ruota tutto il libro. Calvino descrive la cosiddetta ‘metà cattiva’ del visconte come un figuro ‘vestito di un mantello nero col cappuccio che gli scendeva dal capo fino a terra; dalla parte destra era buttato all’indietro, scoprendo metà del viso e della persona stretta alla stampella, mentre sulla sinistra sembrava che tutto fosse nascosto e avvolto nei lembi e nelle pieghe di quell’ampio drappeggio...’. Questa metà del visconte si aggirava per la contea su di un cavallo nero, pronto sempre a compiere delle malefatte verso tutti gli abitanti. La sua indole cattiva, si scatenò sul nipote, sulla vecchia balia, inizialmente sul dottor Trelawney e in seguito sulla piccola comunità di ugonotti ai margini del paese e sui lebbrosi di Pratofungo, e in breve tempo tutti finirono per odiarlo. Durante un breve dialogo col nipote-narratore, lo Zoppo (così era conosciuto tra la gente) espresse il suo desiderio di vedere tutte le cose intere dimezzate, perché, a suo parere, un essere intero è ‘ottuso e ignorante’, pensa di capire tutto, ma in realtà vede il mondo in modo confuso. Al contrario, un essere diviso a metà, può vedere al di là della comune intelligenza, ed interpretare i fatti e la propria natura in modo più profondo ed autentico. E proprio per questo che Medardo non poteva certo provare vero amore per la pastorella Pamela, ma solamente un sentimento che egli stesso definisce ‘magnifico e terribile’ allo stesso tempo. Altrettanto malvista dagli abitanti della contea è anche però l’altra metà del visconte, quella buona, che si era salvata grazie all’intervento di alcuni eremiti probabilmente saraceni quando si pensava fosse andata perduta. A farne la conoscenza per primo fu il giovane nipote, che inizialmente la scambiò per la metà cattiva: ‘Certo, appariva molto cambiato, con un’espressione non più tesa e crudele, ma languida e accorata (...). Ma era anche il vestiario impolverato e di una foggia un po’ diversa dal solito, a dar quell’impressione: il suo mantello nero era un po’ sbrindellato, con foglie secche e ricci di castagne appiccicati ai lembi; anche l’abito non era del solito velluto nero, ma d’un fustagno spelacchiato e stinto, e la gamba non era più inguainata dall’alto stivale di cuoio, ma da una calza di lana a strisce azzurre e bianche...’. All’inizio, il Buono tentava di riparare tutte le cattiverie del Gramo, e la gente sembrava in un primo momento apprezzare questi suoi interventi. Più tardi ci si rese conto che anche le persone particolarmente buone possono diventare coi propri atti di estrema generosità dei grandi scocciatori, al pari di quelle cattive: quindi non è bene né un eccesso né l’altro. Un lato che a me appare piuttosto comico, rappresenta il fatto che in qualsiasi situazione, la metà buona si mette a compiangere sia colui che è stato leso, che colui che provoca il danno. Ad esempio, quando Pamela raccontò al Medardo buono di come l’altra sua metà la insidiasse, questi si commosse per la povera ragazza, per i suoi genitori che sarebbero rimasti soli e anche per la tristezza senza conforto del Medardo cattivo. Anche il Buono, come del resto il Gramo, sottolineava la necessità di essere dimezzati per poter capire, nel proprio caso, la pena che ogni persona e ogni cosa provano nell’essere incompleti, nel rimanere insoddisfatti dalle circostanze della vita. A poco a poco, la metà buona di Medardo non veniva più considerata alla stregua di un santo, quanto piuttosto di un scocciatore. I lebbrosi di Pratofungo non sopportavano più le sue visite importune che volevano portare un po’ di gioia e che invece finivano per disturbare le loro attività, e perfino la comunità di ugonotti non poteva più soffrire che venissero compatiti i loro sforzi inutili per coltivare la terra. Chi invece non sembra lasciarsi impressionare né dall’eccessiva cattiveria né dall’eccessiva pietà del visconte Medardo è la balia Sebastiana. Questa era stata la levatrice di tutti i componenti della famiglia dei Terralba, compreso l’attuale visconte e il bambino che narra in prima persona le vicende. Sebastiana non voleva affatto riconoscere l’irreparabile crudeltà di Medardo, e non mancava mai di rimproverargli qualche misfatto, come se fosse stato ancora un bambino, ed è proprio per questo motivo che una volta rischiò anche la vita. Condannata a vivere a Pratofungo per i capricci del Gramo, non si lasciò coinvolgere dalla credenza comune che fosse spuntato un nuovo Medardo, molto più gentile e compassionevole del primo, e ogni volta che lo incontrava, seguitava a trattarlo come il suo ‘pargolo’. A mio parere, la presenza di una figura come Sebastiana, cosi semplice, credulona ma fondamentalmente buona, contribuisce a rendere ancora più comico l’evento-chiave del romanzo, ovvero la spaccatura del visconte in due. Un altro personaggio che ricopre un ruolo importante nel corso del libro è sicuramente il nipote di Medardo, di cui non viene mai svelato il nome, che assolve la funzione di narratore interno. Il racconto è quindi leggermente filtrato attraverso la sua ottica di bambino, e alcune volte questo rende ancora più assurdo lo svolgimento dei fatti. Il bambino nacque da una fuga d’amore che la sorella maggiore di Medardo ebbe con un bracconiere. Dopo che morirono entrambi i genitori, il nonno Aiolfo decise di prendersi comunque cura di lui, affidandolo all’educazione della balia Sebastiana, cui anche all’epoca dei fatti egli era particolarmente legato. Il nipote del visconte racconta di come trascorreva il suo tempo giocando da solo, anche se a volte aveva il permesso di partecipare alle attività di ricerca del dottor Trelawney sui fuochi fatui. E narra anche di come, seppur giunto ormai al difficile periodo dell’adolescenza, amasse ancora rintanarsi nel bosco a inventarsi delle storie i cui protagonisti, principi o buffoni che fossero, erano fatti con degli aghi di pino. Come anticipavo già prima, il compagno di giochi principale del nipote del visconte è il dottor Trelawney, arrivato per caso a Terralba a cavallo di una botte dopo che la nave presso la quale lavorava fece naufragio. Questo personaggio non ha che un ruolo secondario, ma è interessante notare come egli si spacciasse per medico e non volesse affatto esercitare la sua professione. Infatti, durante la sua permanenza a Terralba, egli non mosse mai un dito per curare un ammalato, e addirittura aveva il terrore dei lebbrosi, poiché pensava di contrarre la malattia solamente al vederli. Il suo passatempo preferito consisteva nel condurre delle esplorazioni per i territori circostanti, anche se da un po’ di tempo le sue attenzioni si concentravano solamente sui fuochi fatui e sulla loro inspiegabile origine. L’autore, pur lasciandolo trasparire attraverso le parole del bambino, non può far altro che provare compassione e allo stesso tempo disprezzo per un individuo del genere: ‘Aveva orrore del sangue, toccava solo con la punta delle dita gli ammalati, e di fronte ai casi gravi si tamponava il naso con un fazzoletto di seta bagnato nell’aceto. Pudico come una fanciulla, a vedere un corpo nudo arrossiva...’. L’effetto di comicità che, a mio parere, ne deriva, contribuisce però a mettere in evidenza come molto spesso si possano incontrare delle persone che svolgono il proprio mestiere malvolentieri, magari perché costrette: anche se non lo lasciano trasparire come il dottor Trelawney, sono comunque delle persone insoddisfatte, in un certo senso possono anch’esse essere considerate ‘dimezzate’ o incomplete, magari non secondo la linea di frattura bene-male che caratterizza il visconte. Degli altri personaggi che fanno da sfondo alla vicenda sono gli ugonotti, sfuggiti alle persecuzioni francesi e stabilitisi nei pressi di Terralba. Essi vengono visti dall’autore un po’ con commiserazione e un po’ con ironia: infatti di loro si racconta che, dopo essere arrivati a Terralba, non ricordassero neppure una preghiera della propria religione, e addirittura non riuscissero neppure a spiegare in che dogmi credessero. Inoltre, come se il destino fosse loro avverso, essi avevano deciso di stabilirsi a Col Gerbido, una zona che pur con tutta la buona volontà possibile, era particolarmente arida, e di conseguenza l’agricoltura a cui gli ugonotti si dedicavano con tanta perizia produceva poco o niente. Il loro capo era il vecchio Ezechiele, che per tutto il giorno urlava ordini al suo gruppo, e non riuscendo alcune volte a richiamare l’attenzione, si metteva egli stesso a fare anche i lavori più umili e duri. Poiché era il più anziano di tutti, gli spettava anche il compito di intonare salmi e canti, attività che restava sempre la più difficile, visto che a malapena gli ugonotti ne conoscevano l’aria o alcune parole. Fra i personaggi che fanno da cornice a “Il visconte dimezzato si possono inserire anche i lebbrosi di Pratofungo. Il loro ‘leader’ era Galateo, che ogni giorno si recava nella cittadina di Terralba per mendicare un po’ di cibo, annunciando il proprio sgradito arrivo col suono di un campanello. Da quanto ci racconta l’autore, sembra che i lebbrosi conducessero nel loro piccolo mondo un’esistenza piuttosto felice, tanto che ciascuno di loro aveva una propria casetta dove vivere, e ogni nuovo arrivato veniva accolto con canti e danze.

 

    Temi e commento

Il filone principale su cui ruota tutto il romanzo è sicuramente quello dell’uomo diviso in due, che viene analizzato dall’autore attraverso molteplici sfaccettature. In primo luogo, la storia si incentra sulla figura del visconte dimezzato anche dal punto di vista fisico, secondo quella che viene definita la ‘linea di frattura bene-male’. Questo tema, pur essendo stato precedentemente trattato da molti altri autori (basti pensare a “Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde” di Stevenson), viene reso da Calvino in modo particolarmente divertente ed ironico. Infatti l’autore ci propone l’immagine di un uomo tagliato in due, continuamente il contrasto con sé stesso, e tale diversità viene accentuata maggiormente proprio per il fatto che una metà è buona, mentre l’altra è cattiva. Grazie a queste innumerevoli situazioni di contrasto, Calvino riesce a rendere, in un certo senso, entrambe le metà di Medardo ugualmente insopportabili. Infatti, se la gente non tollerava più le cattiverie del Gramo, allo stesso modo, dopo un po’ di tempo, non poteva nemmeno più soffrire l’estrema generosità del Buono: ciò significa, come ho già detto precedentemente, che anche le persone che vogliono a tutti i costi essere buone e misericordiose nei confronti degli altri, finiscono per essere comunque dei grandi seccatori. Un altro aspetto interessante della questione consiste, a mio parere, nelle considerazioni che ciascuna metà fa circa la propria condizione. Infatti entrambe ritengono che l’essere divisi a metà comporti per ogni essere vivente dei benefici, nel senso che questi può vedere il mondo solo ed unicamente secondo la propria ottica (buona o cattiva che sia) ed interpretarlo in modo più approfondito ed autentico. Non si può dire che questo modo di pensare sia sbagliato, tuttavia in alcune circostanze è meglio mantenere l’interezza del proprio giudizio piuttosto che filtrarlo attraverso la propria ottica di parte. Ed è proprio ciò che vuole far capire l’autore al termine del romanzo: troppo buono o troppo malvagio non andava bene, ma anche una volta tornato ‘normale’, il visconte non poteva certo portare un periodo di prosperità, come invece la gente sperava. Alla tematica dell’uomo dilaniato dal contrasto bene-male, si unisce anche quella dell’uomo incompleto, dell’uomo che non è stato in grado di realizzarsi totalmente. Nel romanzo, secondo me, si possono trovare, oltre alla figura di Medardo, molti altri personaggi che richiamano questo problema: il dottor Trelawney, pudico e timoroso, oppure anche gli instancabili ugonotti, col loro capo Ezechiele. In un certo senso, tutti questi personaggi potrebbero anche essere considerati degli alienati mentali, poiché, schiacciati dal peso del lavoro o della miseria familiare, non sono riusciti a realizzare completamente sé stessi e le proprie ambizioni, e vanno alla ricerca della propria identità (come il dottor Trelawney con i fuochi fatui). Penso che anche quest’ultimo tema sia molto interessante, nonostante passi in secondo piano per lasciare il posto a quello dell’uomo diviso a metà, che caratterizza l’intero libro. Tutto è comunque condito da una buona dose di ironia e di comicità che emerge dalle situazioni assurde nelle quali i personaggi vengono calati, e quindi il romanzo di Calvino può essere considerato ‘diverso’ (e più divertente) rispetto agli altri classici dai quali si è ispirato.

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