IL BARONE RAMPANTE

    Trama

“Il barone rampante” narra le avventure del giovane Cosimo, figlio secondogenito del barone di Rondò, che, stufo di dover obbedire alle pretese dei genitori e di dover sopportare le cattiverie della sorella Battista, decide di fuggire dalla solita routine quotidiana per rifugiarsi sugli alberi. Come spiega il fratello Biagio, all’inizio si credeva che presto Cosimo si sarebbe stancato di questo genere di vita e sarebbe sceso, ma in realtà non fu così. Anzi, dopo aver trascorso un periodo di scoperta e di esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, affinando le tecniche di caccia e di sopravvivenza, il futuro baronetto diventa il protagonista di una serie di ardimentose imprese che vengono pazientemente raccolte dal fratello minore. Ad esempio, si racconta della sua strana amicizia con Viola D’Onda riva, la figlia dei suoi ricchissimi vicini di casa, attraverso la quale aveva potuto fare anche la conoscenza con la famosa banda dei ladri di frutta, composta da alcuni ragazzini che organizzavano scorribande per tutta la regione. All’epoca, Cosimo aveva appena dodici anni, ma quello che maturò per Viola fu un vero sentimento d’amore, che si spezzò per lui quando quest’ultima dovette trasferirsi da Ombrosa in un altro paese con la sua famiglia. Purtroppo, durante il trasloco accadde che uno dei cani della bambina, per la precisione un bassotto, fu dimenticato alla villa, e Cosimo approfittò dell’occasione per adottare il cucciolo e ribattezzarlo Ottimo Massimo. In questi tempi, la stima che la gente provava per questo nuovo eroe cresceva sempre di più, anche perché Cosimo cercava di rendersi utile ai contadini, magari con mansioni di ‘coordinatore dall’alto’, oppure barattava la sua cacciagione con frutta e verdura, giusto per ampliare la sua dieta. Nonostante se ne stesse sempre sugli alberi, egli non mancava mai di partecipare alle vicende familiari; appollaiandosi su qualche ramo che sporgeva verso la casa poteva assistere ai ricevimenti, oppure, sedendosi sul grande olmo vicino alla chiesa poteva addirittura ascoltare la messa. Un altro episodio interessante della vita di Cosimo, riguarda anche il suo stranissimo incontro col brigante Gian dei Brughi che, all’epoca, si diceva fosse il ladro più testo e spietato di tutta la contea. Il neo-barone di Rondò (suo padre aveva infatti deciso di cedergli comunque il titolo nobiliare, nonostante le sue assurde abitudini) desiderava tanto conoscere questo personaggio, finché un giorno gli capitò di avere la possibilità di aiutarlo a scappare da un inseguitnento della polizia locale. Così iniziò la sua amicizia con Gian dei Brughi, che si scopri poi essere un brigante ormai tramontato, che voleva solamente trascorrere la sua vecchiaia in pace. Fatto sta che Cosimo gli insegnò a leggere e ad apprezzare alcuni classici della letteratura, al punto che il criminale trascorreva le giornate chiuso nel suo nascondiglio a scorrere pagine e a fantasticare. Un giorno, però, alcuni suoi vecchi colleghi di furto convinsero Gian dei Brughi a compiere l’ultimo colpo della sua carriera, che gli fu fatale per essere arrestato. Condannato all’impiccagione, durante i giorni trascorsi in galera, l’ex-brigante pregava l’amico di portargli ugualmente dei libri da leggere con cui ingannare il tempo, e quando fu il momento dell’esecuzione, Cosimo ne fu così addolorato che vegliò sul cadavere per tutta la notte. Un’altra avventura interessante de “Il barone rampante” fa sicuramente riferimento allo zio di Cosimo, il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, che tra l’altro era fratello illegittimo del padre e sul cui passato non si sapeva granché. Una notte, Cosimo lo vide uscire dall’abitazione e, incuriosito, lo seguì fino al porto. Qui, dopo una serie di segnali con le lanterne, sbarcò da una nave ancorata al molo una frotta di pirati arabi, con i quali sicuramente il cavalier avvocato aveva fatto un patto per fare in modo che questi potessero nascondere il bottino. Cosimo decise di andare a chiamare i suoi amici carbonai che vivevano sulle colline, non solo perché potevano aiutarlo a scacciare i Mori, ma anche perché, essendo i più bisognosi e indigenti di tutta Ombrosa, avrebbero potuto trarre profitto dal ricco bottino di quei predoni. Sventato l’attacco dei pirati, Cosimo prese ad inseguirli per mare abbarbicato sull’albero maestro di una barchetta. Intanto, suo zio cercava a tutti i costi di raggiungere la nave araba, ma il capitano, considerandolo evidentemente responsabile dell’imboscata, lo decapitò con un colpo di sciabola. Una volta tornato a terra, Cosimo passava le sue giornate sui rami più bassi di un albero in piazza, raccontando alla gente le avventure di quella notte, e per non tradire il segreto dello zio naturale, imbastì una storia talmente bella e appassionante (nella quale Enea Silvio Carrega appariva addirittura come un eroe) che tutti ci credettero nonostante i particolari discordanti. Dopo questo episodio, Cosimo si dedicò ancora anima e corpo all’esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, finché un giorno giunse nei pressi di Olivabassa, dove si diceva che un’intera colonia di Spagnoli vivesse sugli alberi. Costoro erano dei nobilotti spagnoli ribellatisi al re Carlos III per motivi di privilegi feudali, che furono esiliati; per protesta essi non andarono via da Olivabassa, ma si stabilirono semplicemente sugli alberi, fino ad aspettare il momento in cui il sovrano li avrebbe richiamati giù. Qui Cosimo conobbe alcuni personaggi importanti, come Don Sulpicio o Don Frederico, con la cui figlia, Ursula, sperimentò le prime gioie amorose. Accadde però che arrivò il tanto anelato decreto reale con il quale queste famiglie potevano ritornare ai propri possedimenti: nonostante Ursula avesse chiesto a Cosimo di sposarla, questi rifiutò perché altrimenti sarebbe stato costretto a mancare alla promessa fatta ormai tanti anni prima di non scendere mai dagli alberi. Da questo momento, il nuovo barone di Rondò poteva vantare di avere come amanti tutte le più belle donne di Ombrosa che, attratte dal fascino di stare sugli alberi, cedevano immediatamente alle profferte amorose di Cosimo. Alcuni anni più tardi, mori il padre di Cosimo e Biagio, seguito a breve distanza dalla moglie, soprannominata la Generalessa. Così Cosimo divenne ufficialmente barone di Rondò, e grazie all’aiuto del fratello nella gestione economica e familiare, nessun abitante di Ombrosa si lamentò mai del suo operato. La sua felicità fu ancora più completa quando scoprì che anche Viola era tornata nella casa paterna, dal momento che l’uomo che aveva sposato da poco, un nobile ottantenne, era morto. Viola fu anch’ella contentissima di rivedere l’amore della sua infanzia, e si mostrò disponibilissima a salire con lui sugli alberi per occupare i numerosi giacigli che Cosimo aveva costruito per le sue precedenti amanti. Tuttavia, la devozione che egli provava per Viola non era del tutto ricambiata, poiché lei ad ogni occasione si ingraziava sempre nuovi spasimanti, e faceva la civetta con chiunque la degnasse di qualche attenzione. Stanca delle scenate di gelosia di Cosimo, la marchesa Viola decise di ripartire, lasciando nella più completa disperazione e in uno stato di pazzia acuta lo sventurato barone. Un altro evento importante al quale Cosimo partecipò fu la guerra in corso fra gli Austro-sardi e i Francesi in seguito alla Rivoluzione, infatti, ad Ombrosa erano penetrate sia le truppe francesi per proclamare l’annessione alla ‘Grande Nazione Universale’ tanto sostenuta dai Giacobini, sia le truppe austriache, convocate per assicurare la neutralità della Repubblica di Genova. Cosimo, dall’alto dei suoi alberi, poteva scrutare tutti questi movimenti, e come raccontò agli Ombrosoli, in più occasioni boicottò i battaglioni austriaci per aiutare invece nei modi più inconsueti quelli francesi. Alla fine, furono le Armate Repubblicane ad avere la meglio sugli Austriaci, in occasione degli scontri di Dego e di Millesimo, e ad Ombrosa fu finalmente sancita la totale appartenenza alla Francia. Cosimo fu trattato come un vero eroe, al punto che lo stesso Napoleone decise di degnano di una propria visita. Tuttavia, egli non era più quello d’un tempo, e cominciava a diventare vecchio; passava le sue giornate su un albero della piazza, mendicando qua e là qualcosa di caldo da mandare giù. Il fratello fece in modo che negli ultimi giorni della sua vita, Cosimo potesse avere tutte le comodità possibili, e quando arrivò il momento fatale, mandò a chiamare un prete per la benedizione. Ma Cosimo, come preso da una smania inspiegabile, saltò sui rami più alti dell’albero. Proprio in quel momento, passò nel cielo una mongolfiera che aveva problemi neI prendere quota; Cosimo si aggrappò alla fune dell’ancora, e si buttò in mare non appena il velivolo sorvolò il golfo di Genova. Così mantenne la sua promessa di non scendere mai dagli alberi.

 

    Spazio e tempo

Le vicende narrate ne “Il barone rampante”, si svolgono in un paese immaginario, Ombrosa, che è situato in un punto imprecisato della Riviera ligure. L’autore si preoccupa di fornirci anche delle dettagliate descrizioni paesaggistiche, che derivano forse dalla sua profonda conoscenza di queste zone dove aveva trascorso l’infanzia. il territorio di Ombrosa, oltre ad essere vicino al mare, era composto anche da ampli spazi adibiti all’agricoltura, che si alternavano a immense distese di boschi o alberi da frutto sui quali Cosimo si arrampicava e passava l’intera giornata. Calvino ci lascia immaginare che il territorio fosse gestito da alcune famiglie più o meno nobili che fungevano da piccoli proprietari terrieri costretti a pagare alla Repubblica di Genova (o Ligure, come fu chiamata in seguito all’annessione francese) tasse e decime. Infatti, l’arco temporale in cui si svolgono le vicende narrate parte dal 1767, come dichiara esplicitamente l’autore all’inizio del libro; si tratta di un’epoca molto movimentata della storia, in quanto, solo pochi anni più tardi, hanno luogo la Rivoluzione francese e la guerra condotta da Napoleone contro gli Austriaci. È proprio per questo motivo che anche la cittadina di Ombrosa si trova divisa in due fazioni politiche: da un lato vi sono i Rivoluzionari e i giacobini, tra cui lo stesso Cosimo, che sostengono l’Armata Francese e l’annessione del Genovese alla Francia; dall’altro vi sono invece i più conservatori, che chiedono di preservare la Repubblica neutrale. Altri elementi che permettono comunque di identificare l’epoca in cui si svolgono i fatti, indipendentemente dalle vicende politiche, sono le diverse citazioni di autori famosissimi che Cosimo legge. Si parla infatti dell’Enciclopedia Universale, alla cui stesura collaborarono Voltaire, Diderot, Rosseau e D’Alambert, e di altri celebri scritti dai temi innovatori che proclamavano i principi della Rivoluzione, ovvero libertà, fratellanza e uguaglianza.

 

    Personaggi

Il personaggio principale de “Il barone rampante” è senza ombra di dubbio Cosimo. L’autore celebra di lui il coraggio e anche la forza di volontà che l’hanno spinto a disobbedire volutamente e a lasciare la famiglia, iniziando una nuova vita di sfide contro gli altri e soprattutto contro sé stesso lassù sugli alberi. L’episodio che è stata ‘la goccia che ha fatto traboccare il vaso’ si riferisce ad un pranzo familiare, in cui Cosimo rifiutò di mangiare le lumache, una delle tante stranezze culinarie preparate dalla sorella Battista. Questo rifiuto segnò il cambiamento totale della sua esistenza; un’esistenza adesso condotta sugli alberi, ma non per questo monotona o stancante, anzi, si potrebbe definire addirittura avventurosa. Tuttavia, pur vivendo in un’altra dimensione, Cosimo non dimentica i propri obblighi familiari, partecipando dalla cima di qualche albero a feste e ricevimenti, e assistendo i propri genitori quando erano ormai in fin di vita. Lo stare sugli alberi rappresenta comunque per lui un pretesto per mantenere tra se e i suoi simili una ‘minima ma invalicabile distanza’, come sostiene l’autore stesso. Infatti, questa immagine di un uomo che si arrampica sulle piante per sfuggire alla solita routine e alla solita gente (pur essendo portata alle estreme conseguenze e presentata da Calvino come un paradosso), rappresenta in un certo senso l’immagine dell’uomo attuale, che, oppresso molto spesso dal lavoro, dalle persone, o semplicemente dalla noiosa quotidianità, decide di trovare una via di scampo e di evadere. Ciò che apprezzo maggiormente in Cosimo è comunque l’ostinazione, qualità (o difetto?) che l’ha fatto perseverare nel suo obiettivo iniziale dì non discendere mai dagli alberi. Infatti, persino in punto di morte, egli ha avuto la forza d’animo di non lasciarsi trasportare giù a terra, e ha preferito agganciarsi alla corda di una mongolfiera di passaggio e di buttarsi in mare, piuttosto che essere sepolto. Un altro personaggio fondamentale del racconto è Biagio, fratello minore di Cosimo, che deve la propria importanza per il fatto di essere l’io narrante delle vicende. All’età della ribellione del fratello, questi aveva appena otto anni, e di conseguenza, nonostante avesse promesso a Cosimo di dargli manforte in qualunque situazione, non aveva avuto il coraggio di abbandonare le comodità familiari. Accusato di codardia, decise di fare il possibile per rendere al fratello più agevole la vita sugli alberi, procurandogli del cibo, delle coperte, degli abiti e persino dei fucili per cacciare. Nonostante avesse cercato più volte di convincerlo a scendere, Cosimo non aveva mai desistito dal suo proposito iniziale, e solo alcuni anni più tardi, Biagio capì che l’ostinazione del fratello celava qualcosa di molto più profondo di un atto di disobbedienza. Inizialmente, quindi, le avventure de “Il barone rampante”, sono leggermente filtrate attraverso l’ottica di un bambino, ovvero Biagio, il quale ci racconta molti episodi riportando le parole, spesso incredibili, di Cosimo. Anche la figura di Biagio, però, a mio parere viene messa in luce dall’autore non solo per evidenziare il contrasto e la diversità di carattere fra lui e Cosimo, ma anche per farci conoscere un ulteriore tipo d’uomo, ovvero quello che nella vita non ha mai voluto schierarsi (per paura o per convenienza) né da una parte né dall’altra, seguendo il corso degli eventi così come procede. In effetti, oltre all’episodio in cui Biagio rifiuta di seguire Cosimo sugli alberi, vi sono altre situazioni in cui questi preferisce rimanere nell’ombra piuttosto che emergere (e quindi rischiare) come il fratello. Ad esempio, durante la guerra fra Francia e Austria, a Ombrosa si erano organizzate alcune riunioni segrete della Massoneria: Cosimo prese parte a tutte per sostenere il proprio ideale, Biagio invece cercò di rimanere sempre abbastanza nascosto, non schierandosi né dalla parte dei conservatori né da quella dei rivoluzionari, proprio per non correre pericoli e rischiare di perdere i beni e la faccia. Quindi, forse da un certo punto di vista si può ritenere più apprezzabile il comportamento di Cosimo, anche se, lo ammetto, io preferirei una via di mezzo. Un altro componente della famiglia dei Rondò è la sorella di Cosimo e Biagio, la primogenita Battista. Dopo una scandalosa fuga d’amore con il marchese Della Mela, i genitori decisero di spedirla in convento, e nonostante non avesse preso i voti per la sua dubbia vocazione, Battista tornò a casa. Così ella cercò di scaricare la propria tensione e la propria malinconia dedicandosi all’arte culinaria in un modo tutto suo: pare infatti che squartasse gli animali, o comunque preparasse dei piatti assai macabri. In cantina, teneva un barilotto pieno di lumache, che cucinava in tutte le salse, e una volta che Cosimo e Biagio le liberarono per pietà, accadde il finimondo: furono puniti e stettero per più di una settimana in castigo. A dire la verità, il comportamento di Battista non si può neppure biasimare: anche la sua si può in un certo senso definire una forma di ‘evasione’ dagli obblighi impostategli dai genitori. Comunque, per lei le cose vanno a finire bene, poiché durante un ricevimento a casa, conobbe un nobilotto locale, e i genitori acconsentirono piuttosto di buon grado prima al fidanzamento e poi al matrimonio. Un altra figura importante del romanzo è certamente il barone Arminio Piovasco di Rondò, ovvero il padre di Cosimo, Battista e Biagio. Nel libro viene certamente sottolineata la sua preoccupazione quasi morbosa per la gestione di Ombrosa: infatti, come racconta Biagio: “Il barone nostro padre era un uomo noioso, questo è certo, anche se non cattivo: noioso perché la sua vita era dominata da pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso. L’agitazione dei tempi a molti comunica un bisogno d’agitarsi anche loro, ma tutto all’incontrano, fuori strada: così nostro padre, con quello che bolliva allora in pentola, vantava pretese al titolo di duca d’Ombrosa, e non pensava ad altro che a genealogie e successioni e rivalità e alleanze con i potentati vicini e lontani”. Forse, queste sue preoccupazioni eccessive per la politica, ebbero delle conseguenze negative sui figli soprattutto su Cosimo, la cui disobbedienza si potrebbe interpretare anche come una carenza d’affetto da parte del padre. Da questo punto di vista, però, non è da meno neppure la madre, Konradine von Kurtewutz, soprannominata la Generalessa per via del suo carattere estremamente autoritario. Konradine era figlia di un generale tedesco, e dopo la morte della madre, fu costretta a seguire il padre da un accampamento all’altro, acquisendo quella sicurezza di sé e quel modo di comandare che si possono coltivare solamente in un ambiente militare. Anche dopo il matrimonio, forse per protesta nei confronti del marito, le era comunque rimasta la paterna passione militare, al punto che si racconta realizzasse degli splendidi ricami al tombolo che rappresentavano mappe di zone in cui si era svolta una qualche guerra, e che venivano poi addirittura ornati con delle bandierine che segnalavano i vari appostamenti e la posizione delle truppe nemiche. Lo stesso rigore che la Generalessa aveva nell’ esercito, lo portò quindi anche nella famiglia, scaricandolo in modo particolare sui figli, cui dedicava sicuramente poche attenzioni. Forse l’esempio di Calvino viene portato un po’ all’eccesso, ma è anche vero che molto spesso, le persone che tendono ad essere un po’ troppo rigide e abitudinarie e che vogliono rientrare a tutti i costi entro determinati schemi, sono anche le più cieche, quelle che non vedono più in là del proprio naso. Per Konradine il meccanismo è stato lo stesso: dopo la decisione di Cosimo di rimanere sugli alberi, ella non si preoccupò più di tanto; anzi era addirittura contenta perché così poteva seguire tutto il giorno gli spostamenti del figlio col binocolo, segnalandoli poi su una cartina, e risvegliando in sé la passione militare che si era un po’ affievolita con la morte del padre. Un altro personaggio che appartiene alla famiglia dei Rondò. è il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, fratello naturale del barone. Del suo passato si sa poco o niente: pare che fosse stato addirittura in Turchia, come testimonia la sua conoscenza della lingua e il suo sfoggio di abiti tipicamente orientali. Ci viene immediatamente presentato come un tipo piuttosto riservato, e poiché era stato salvato dal fratello illegittimo da una sicura condanna a morte, cercava di dimostrarsi a tutti i costi docile e servizievole nei suoi confronti, occupandosi dei problemi di irrigazione e di idraulica dei territori di Ombrosa. In realtà, questo personaggio nasconde una doppia vita, che viene scoperta da Cosimo una notte in cui il cavalier avvocato doveva sigillare la propria alleanza coi pirati musulmani permettendo loro di nascondere la refurtiva nei pressi del porto di Ombrosa. Anche questo personaggio non ha però una fine felice: accusato di tradimento dal capitano della nave araba, viene decapitato e gettato in mare. L’ultimo personaggio che fa parte della famiglia di Cosimo è l’abbate Fauchelafleur, un vecchietto secco e grinzoso di cui la gente lodava il carattere rigoroso e la severità interiore. Così era stato ingaggiato come precettore di Cosimo e Biagio, anche se, in realtà, era una persona totalmente diversa da quello che si credeva: si perdeva in lunghe meditazioni con gli occhi fissi nel vuoto, quasi stesse ripensando alla fonte della sua vocazione, ed era così disinteressato a ciò che accadeva ai ragazzi, che questi se la svignavano senza che lui nemmeno se ne accorgesse. La cosa assurda è che, quando Cosimo sugli alberi decise di dedicarsi alla letteratura, pregò il povero vecchio di salire con lui per essere illuminato su alcuni autori di cui, a dire la verità, conosceva più lui che non quello che sarebbe dovuto essere il suo maestro. Prendendo in considerazione i personaggi, non si può tralasciare neppure il grande amore di Cosimo: Viola. Il suo incontro con lei risaliva a molti anni prima, quando, esplorando i dintorni ‘arborei’ della propria villa, Cosimo notò una bambina che si dondolava sull’altalena: “Era una bambina bionda, con un’alta pettinatura un po’ buffa per una bimba, un vestito azzurro anche quello troppo da grande, la gonna che ora, sollevata sull’altalena, traboccava di trine. La bambina guardava a occhi socchiusi e naso in su, come per un suo vezzo di far la dama, e mangiava una mela a morsi, piegando il capo ogni volta verso la mano che doveva insieme reggere la mela e reggersi alla fune dell’altalena, e si dava spinte colpendo con la punta degli scarpini il terreno (...)“. Già da queste poche righe, si profila il carattere di Viola che, nobile di nascita, o stenta forse un’eleganza e una pomposità un po’ eccessive. Dal momento che i suoi genitori erano molto impegnati e non potevano badare a lei, Viola era per così dire uno ‘spirito libero’: poteva uscire dalla sua proprietà quando voleva, e poteva persino frequentare la gente che voleva, come i ragazzini della famosa banda dei ladri di frutta, che la consideravano alla stregua di una principessa da proteggere e di cui contendersi le attenzioni. A dire il vero, Viola era ben contenta di stare a questo gioco, e spesso si comportava da vera e propria tiranna miei confronti dei suoi amici. Lo stesso trattamento era stato riservato anche allo sventurato Cosimo, che alla prima occasione veniva preso in giro e ferito nel suo orgoglio per l’abbigliamento inadeguato o per la sua strana abitudine di spostarsi sugli alberi. Tuttavia Cosimo rimase addirittura colpito da questo atteggiamento di sfida della ragazzina, e forse fu già dal primo giorno che la incontrò che se ne innamorò. Una volta cresciuto, il destino volle che la stessa Viola ritornasse ad Ombrosa come vedova di un ricco ottantenne, e si prestasse molto volentieri alle attenzioni dedicatele da Cosimo. Ma fu proprio l’atteggiamento volubile di Viola (che la spingeva a cercare sempre nuovi amanti fra i numerosi pretendenti), che condusse il povero barone di Rondò alla pazzia, pazzia che trovò un sfogo solamente in occasione della guerra contro gli Austriaci. Un altro personaggio, che forse ricopre un ruolo solamente secondario, è il brigante Gian dei Brughi, famoso bandito che, si diceva, depredava le campagne circostanti ad Ombrosa. Come già raccontato, Cosimo lo conobbe in un’occasione molto strana, ma capi fin dall’inizio che era inoffensivo. Decise così di iniziarlo alla lettura di alcuni libri e testi all’epoca molto famosi, e Gian dei Brughi, completamente preso da questa nuova occupazione, finì per abbandonare il furto per dedicarsi anima e corpo a sfogliare pagina su pagina. Cosimo si prodigava per procurargli sempre nuove letture, e rimase sconcertato quando, su ricatto, l’ex-brigante fu costretto a compiere un ultimo colpo e fu colto in flagrante. Nonostante fosse imprigionato in attesa dell’impiccagione, Gian dei Brughi continuò a leggere di nascosto fino alla fine, e secondo me, anche se la sua presenza nel romanzo non è fondamentale, rappresenta comunque la testimonianza che Cosimo, nella sua carriera di barone, in fin dei conti combinò qualcosa di buono, anzi, forse più di ciò che avrebbe potuto fare se fosse vissuto normalmente sulla terra.

 

    Temi e commento

A mio parere, i temi che si intrecciano ne “Il barone rampante”, sono molteplici e possono essere interpretati personalmente in vari modi. Forse il filone attorno al quale gravitano tutti gli eventi di Cosimo è quello della fuga; fuga che qui viene concretizzata come una reale sparizione dalla vita quotidiana per rifugiarsi sugli alberi, ma che allude teoricamente alla fuga o al desiderio di evasione che ciascuna persona porta insita nel proprio carattere. Cosimo è stanco di essere rimproverato dai genitori e di dover subire le angherie della sorella, e così fugge, promettendo di non tornare più; allo stesso modo l’uomo, pressato dalla routine quotidiana, dal lavoro o semplicemente dalla noia, spesso decide di fuggire per ritirarsi in un mondo tutto suo. Un commento dell’autore della presentazione del libro dice che “La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più ardua e rigorosa di quella a cui ci si ribella.”. Secondo me, questo è vero, perché Cosimo ha anche il coraggio e la perseveranza di rimanere coerente con gli impegni presi, e alla fine, quello che inizia come un semplice atteggiamento di sfida nei confronti dei genitori, diventa una vera e propria dottrina di vita, con delle scadenze che forse sono ancora più difficili da mantenere rispetto a quelle date dai genitori. Ancora, il comportamento di Cosimo, oltre che come un atto di esplicita disobbedienza, potrebbe anche essere considerato come un vero e proprio atto di pazzia, come dichiarano tutti gli stessi compaesani di Ombrosa. Quindi, da questo punto dì vista, Cosimo potrebbe addirittura incarnare la figura dell’ ‘alienato mentale’ che viene decantato, ad esempio, in molte delle novelle di Pirandello. Tuttavia, se si considerano le motivazioni per cui Cosimo ha raggiunto la follia, il suo atteggiamento di fronte alla vita diventa immediatamente comprensibile e tollerabile agli occhi degli altri, e addirittura in molti personaggi del romanzo si possono cogliere delle note di pietà e compassione per il protagonista. In fin dei conti, questa stessa tematica si ripercuote anche sugli altri personaggi de “Il barone rampante”, anche se magari con minore incisività rispetto a Cosimo. Ad esempio, non si può dire che i genitori di Cosimo abbiano anche loro ‘tutte le rotelle a posto’: basti pensare, ad esempio, al loro comportamento di fronte alla decisione del figlio di vivere sugli alberi e alla facilità con cui hanno accettato questa situazione. Anche la stessa Battista, sorella di Cosimo, potrebbe essere considerata ‘un’alienata’, vedendo le sue strane abitudini culinarie e il suo istinto di impallinare qualcuno ogni qual volta si contestasse una sua pietanza. D’altro canto, però, bisogna osservare anche il motivo di questa sua follia, che deriva certamente dall’imposizione da parte dei genitori, di farsi monaca per riparare alla sua ingiustificata fuga d’amore col marchese. Quindi, a mio parere, all’interno di questo libro non bisogna concentrare l’attenzione solo sul personaggio di Cosimo, perché si intrecciano molteplici altre vicende interessanti che rispecchiano, nel loro piccolo, le stesse motivazioni e lo stesso desiderio di fuga dalla realtà che ha il protagonista. Io però preferisco credere che l’atteggiamento di Cosimo non sia quello di un pazzo, ma semplicemente quello di una persona particolarmente furba e ponderata, che constatando che nel mondo non c’è posto per lei, decide di farsi notare in un altro modo, appunto conducendo una vita diversa e cercando di mantenere fra sé e i propri simili una minima ma invalicabile distanza che le permetta di avere sempre il controllo della situazione.

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